Chiamata in causa dell’assicurazione del Condominio e pagamento delle spese giudiziali

Chiamata in causa dell’assicurazione del Condominio e pagamento delle spese giudiziali

In applicazione del principio di causalità, l’onere delle spese giudiziali sostenute dal terzo chiamato in garanzia, va posto a carico della parte soccombente che ha provocato la chiamata, una volta rigettata la domanda principale, anche se l’attore soccombente non ha formulato alcuna domanda nei confronti del terzo. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza n. 511/2021, depositata il 14 gennaio. 

Il caso. Un appartamento adibito a B&B veniva allagato da liquidi provenienti dalla fognatura condominiale così i titolari della società (conduttori del bene) citavano in giudizio sia la proprietà che il Condominio, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti. Innanzi al Tribunale competente, oltre alla compagnia di assicurazione del Condominio, intervenivano anche i singoli condomini dello stabile. Il Tribunale condannava il Condominio al risarcimento del danno e l’assicurazione a tenere quest’ultimo indenne dalla condanna. Tra conduttore e locatari veniva dichiarata la cessata materia del contendere posto che, nelle more, era tra di loro intervenuta una transazione.

Avverso tale sentenza l’Assicurazione interponeva gravame  contestando la sussistenza della chiamata in garanzia, i soci del B&B (società medio tempore cessata e cancellata dal registro delle imprese) formulavano autonomo appello, in cui si dolevano del quantum del risarcimento e i singoli condomini resistevano agli appelli. La Corte d’Appello distrettuale accoglieva le eccezioni della Compagnia assicuratrice, rigettando quelle dei danneggiati, che venivano anche condannati, in solido con i condomini e il Condominio, al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio, in favore dell’assicurazione; sui medesimi soci, inoltre, veniva addossato l’onere della refusione delle spese del giudizio di appello, in favore dei condomini.

Avverso tale sentenza i soci del B&B proponevano ricorso per cassazione con due motivi di diritto. Con il primo motivo denunciavano la violazione degli artt. 91 c.p.c. e 92 c.p.c., secondo la modifica introdotta nel 2014, contestando la condanna al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore dell’assicurazione e dei condomini e deducendo che la questione trattata con riferimento alla posizione dei soci di società cancellata, era da qualificare come di assoluta novità. Conseguentemente la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare la compensazione delle spese di lite.

Sul punto, la Corte aveva rilevato l’inammissibilità della doglianza, in quanto alla fattispecie non risultava applicabile la previsione di cui all’art. 92 c.p.c. nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2014, occorrendo invece far riferimento alla originaria formulazione della norma che richiedeva la presenza di giusti motivi, andava ribadito il costante orientamento della Corte secondo cui (Cass. n. 11329/2019) “la facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (conf. Cass. S.U. n. 14989/2005; Cass. n. 7607/2006). Con il secondo motivo veniva denunciata la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 106 c.p.c., in merito alla condanna in solido alla refusione delle spese in favore della chiamata, rilevando che in parziale riforma della pronuncia di primo grado, l’assicurazione era stata ritenuta esclusa dall’onere di manleva del Condominio, ma quest’ultimo era comunque stato condannato al risarcimento del danno, in entrambi i gradi di giudizio. Le spese di lite andavano, pertanto, poste a carico dei soccombenti (Condominio e condomini) poiché la domanda del B&B era stata accolta e le spese della terza chiamata in garanzia dovevano gravare sulla parte che aveva provveduto alla stessa chiamata. Tale ragionamento veniva ritenuto fondato dalla Suprema Corte il quale aveva confermato il consolidato orientamento secondo il quale le spese processuali sostenute dal chiamato in causa, dovevano essere rifuse dalla parte soccombente che aveva azionato una pretesa rivelatasi infondata, ovvero, da quella che aveva resistito ad una pretesa rivelatasi fondata. Colui che aveva visto accogliere la propria richiesta, seppure parzialmente, non poteva, pertanto, essere condannato a rimborsare le spese di lite sostenute dal terzo chiamato in garanzia, laddove venisse rigettata la domanda di manleva formulata dal convenuto, nei confronti del chiamato.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il secondo motivo di ricorso, e dichiarato inammissibile il primo motivo, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito, poneva le spese del giudizio di primo grado, come liquidate dal giudice di appello in favore della Compagnia di assicurazione, in solido a carico del Condominio e dei condomini intervenuti.

 Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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D. Conto corrente bancario: da quando decorre la prescrizione della ripetizione dell’indebito?

D. Conto corrente bancario: da quando decorre la prescrizione della ripetizione dell’indebito?

R. In materia di contratto di conto corrente bancario, la decorrenza della prescrizione delle rimesse solutorie, operate cioè su di un conto in passivo, quando non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure su di un conto scoperto, essendo i versamenti destinati a coprire quella parte del passivo eccedente il limite dell’accreditamento, matura sempre dalla data del pagamento.

(Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 29411/20; depositata il 23 dicembre)

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Le buste paga costituiscono prove valide del credito retributivo?

Le buste paga costituiscono prove valide del credito retributivo?

Con riferimento al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, in base ai principi in materia di efficacia probatoria delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro, esse sono pienamente valide ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 74/2021, depositata il 7 gennaio.

Il caso. Il Tribunale competente rigettava l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 98 L. Fall., avverso lo stato passivo del fallimento della società, da cui era stata escluso il credito, dalla medesima insinuato, di Euro 10.244,85 a titolo di T.f.r. e ultime tre mensilità. Esso ne riteneva il difetto di prova per la mancata sottoscrizione delle buste paga prodotte, in violazione della L. n. 4 del 1953, art. 1, nell’inapplicabilità dell’art. 2735 c.c. e nella loro inopponibilità, in assenza di data certa, al curatore avente qualità di terzo in sede di accertamento dello stato passivo.

Avverso tale sentenza la lavoratrice proponeva ricorso per cassazione. Il Supremo Collegio, in via di premessa, ribadiva il principio generale di terzietà del curatore in sede di accertamento del passivo (Cass. 12 agosto 2016, n. 17080; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21273; Cass. s.u. 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass. s.u. 28 agosto 1990, n. 8879), essendo peraltro noto che l’inopponibilità riguardasse la data della scrittura prodotta, ma non il negozio: “sicché, esso e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso” (Cass. 7 ottobre 1963, n. 2664; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4705; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2319; Cass. 22 marzo 2018, n. 7207). Secondo gli Ermellini il Tribunale aveva correttamente applicato i principi in materia di efficacia probatoria, “in merito al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro e pienamente valide come prova, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro (Cass. 1 settembre 2015, n. 17413): ferma restando, tuttavia, la facoltà della curatela controparte di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice” (Cass. 5 luglio 2019, n. 18169; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32395).

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la lavoratrice alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

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D. L’uso più intenso delle parti comuni può essere fatto se comporta un danno per gli altri condomini?

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R. L’uso più intenso della cosa comune è consentito, ma questo non deve comportare una violazione dell’equilibrio statico e della sicurezza dello stabile, né prevaricare gli altri condomini dalla possibilità di realizzare un uso quanto meno paritetico del bene. Nel caso vengano violati i predetti principi di gestione, non si assiste ad un uso più intenso, ma vera e propria occupazione abusiva delle parti comuni.

(Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 97/21; depositata l’8 gennaio)

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D. Se l’atto non viene depositato in giacenza presso l’ufficio postale la notifica è nulla?

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R. «La notifica ex art. 140 c.p.c. può ritenersi valida se nell’avviso di ricevimento della raccomandata informativa risulti o la consegna al destinatario o la sua conoscenza in ragione della fictio giuridica, che deve ritenersi esclusa laddove dallo stesso avviso di evinca il trasferimento o il decesso del destinatario, oppure, ancora, se l’avviso contenga attestazione di irreperibilità assoluta con conseguente consegna dell’atto al mittente, anziché suo deposito presso l’ufficio postale».  

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza n. 464/21; depositata il 14 gennaio)

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D. I creditori del singolo coniuge possono pignorare la quota di patrimonio spettante allo stesso?

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R. Il bene in comunione è aggredibile per intero se pure nel limite di valore della quota del singolo debitore.  

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