Condominio: si contano le teste o il numero dei diritti sugli immobili?

Condominio: si contano le teste o il numero dei diritti sugli immobili?

Laddove i condomini legittimati a partecipare all’assemblea siano solo due e manchi l’unanimità, essi sono costretti a ricorrere all’autorità giudiziaria come sostenuto anche dagli artt. 1105 e 1139 c.c.. Il voto di ciascun condomino deve infatti essere conteggiato singolarmente e non deve essere conteggiato secondo il numero di diritti vantati sugli immobili dell’edificio. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 25558/2020, depositata il 12 novembre.

Il caso. Due condomini, comproprietari di una unità immobiliare facente parte di un Condominio, con ricorso ex art. 1137 c.c., impugnavano davanti al Tribunale competente la delibera assembleare chiedendone la declaratoria di nullità e/o annullabilità. In particolare, essi sostenevano il mancato rispetto da parte del Condominio delle maggioranze previste dal codice civile per la costituzione e la votazione dell’assemblea e, conseguentemente, ritenevano invalida la deliberazione. Altri due condomini dello stabile erano una condomina proprietaria del proprio immobile e usufruttuaria di un secondo e altri due che erano nudi proprietari dell’appartamento occupato dalla prima citata. Il Tribunale rigettava il ricorso e, altresì, condannava i ricorrenti alla refusione delle spese processuali nella forma aggravata di cui all’articolo 96 c.p.c.

Avverso tale sentenza il ricorrenti interponevano appello domandando, in integrale riforma della sentenza di primo grado, l’accoglimento della domanda, con restituzione di quanto corrisposto a seguito della condanna del Tribunale, o in subordine la caducazione della condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3. La Corte d’Appello distrettuale rigettava il gravame, condannava gli appellanti a pagare le spese di lite ed eliminava solo la condanna pronunciata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Avverso tale decisione i soccombenti proponevano ricorso per cassazione. Con l’unico motivo, i ricorrenti lamentavano la “illegittimità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norma di diritto, in relazione all’art. 1136 c.c., comma 3 e art. 67 disp. att. c.c., comma 3 (nella formulazione antecedente alla riforma intervenuta con la L. n. 220 del 2012)”, relativamente all’erroneo computo della maggioranza “per teste” prescritta ai fini della approvazione delle delibere condominiali da parte dell’assemblea in seconda convocazione. Secondo il Supremo Collegio, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi avevano rigettato l’impugnazione delle suddette delibere condominiali, erroneamente calcolando come condomini l’usufruttuaria, i nudi proprietari (ovviamente per una testa) e gli attori (odierni ricorrenti) ovviamente anch’essi per una testa. In “alternativa” la Corte distrettuale indicava come l’usufruttuaria per due teste – in quanto proprietaria di un appartamento e usufruttuaria di un altro – e i ricorrenti, cosicché sarebbero stati sempre tre i condomini e, quindi, sarebbe stata rispettata la maggioranza di un terzo dei partecipanti al condominio. Questa Corte aveva posto i principi secondo i quali, per la validità delle deliberazioni in materia di Condominio la legge (anteriore alla novella di cui alla citata L. n. 220 del 2012) richiedeva in ogni caso che esse fossero prese a maggioranza di voti, per cui intanto una deliberazione diventava obbligatoria per tutti i condomini, compresi i dissenzienti, in quanto il numero di coloro che avevano votato a favore, e l’entità degli interessi da essi rappresentati, superassero il numero dei condomini. Dunque, “In tema di condominio negli edifici la regola posta dall’art. 1136 c.c., comma 3, secondo la quale la deliberazione assunta dall’assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio, va intesa nel senso che, coloro che abbiano votato contro l’approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore, atteso che l’intero art. 1136 c.c., privilegia il criterio della maggioranza del valore dell’edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza del giudice del merito che aveva ritenuto sufficiente il raggiungimento di una maggioranza di voti favorevoli, pari ad un terzo dei presenti, unitamente alla condizione che essi rappresentassero almeno un terzo della proprietà, ritenendo del tutto irrilevante che la parte contraria alla Delibera detenesse un valore della proprietà superiore a quello della maggioranza del voto personale) (Cass. n. 6625 del 2004)”. Alla luce di quanto esposto, risultava, pertanto, da escludere che potesse operarsi una finzione per cui una sola persona fisica (nella specie l’usufruttaria) venisse conteggiata come due teste. Laddove, peraltro, la giurisprudenza era chiarissima nel sostenere che, quando i condomini legittimati a partecipare ed a votare nell’assemblea fossero soltanto due e mancasse la unanimità o comunque vi fosse una situazione di parità, l’unica strada percorribile per deliberare fosse quella del ricorso alla autorità giudiziaria, come previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 c.c. (cfr. Cass., sez. un., n. 2046 del 2006; Cass. n. 5288 del 2012).

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il motivo di ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte d’appello distrettuale per una nuova valutazione sul merito.

Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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D. La volontà di distruggere il testamento implica necessariamente la volontà di revoca?

D. La volontà di distruggere il testamento implica necessariamente la volontà di revoca?

R. L’irreperibilità del testamento, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla distruzione. L’onus probandi che esso fu distrutto da persona diversa dal testatore, oppure che costui non aveva intenzione di revocarlo, incombe su chi vi ha interesse.

(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 22191/20; depositata il 14 ottobre)

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D. La nuova relazione dell’ex moglie influisce sull’assegno divorzile?

D. La nuova relazione dell’ex moglie influisce sull’assegno divorzile?

R. Deve essere annullata la pronuncia con cui i giudici di merito abbiano riconosciuto la sussistenza di un obbligo di contribuzione mensile a carico dell’ex marito laddove l’ex moglie abbia instaurato una nuova relazione con il nuovo compagno ed il giudice non abbia fornito adeguata motivazione in relazione ai requisiti di stabilità e continuità della stessa.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 22604/20; depositata il 16 ottobre)

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D. La casa dev’essere assegnata all’ex moglie se il figlio maggiorenne e non autosufficiente economicamente sta con lei nei week-end?

D. La casa dev’essere assegnata all’ex moglie se il figlio maggiorenne e non autosufficiente economicamente sta con lei nei week-end?

R. Piccola vittoria per l’ex marito, che vede ridotto l’assegno in favore della consorte. Per quanto concerne la casa coniugale, però, i Giudici confermano l’assegnazione alla ex moglie. Decisiva la presenza nei week-end del figlio maggiorenne ma non autosufficiente economicamente.  

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 23473/20; depositata il 27 ottobre)

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D. Impugnazione del testamento: quando può essere disconosciuto l’interesse del successibile ex lege?

R. La Suprema Corte afferma il principio di diritto in base al quale l’interesse del successibile ex lege ad impugnare il testamento non può essere negato a causa della considerazione solo teorica che sussistano altri successibili che lo precedano nell’ordine successorio, dovendo questi ultimi essere “noti”.  

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza n. 25077/20; depositata il 9 novembre)

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D. Si ha diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana se il matrimonio viene dichiarato nullo ab origine?

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R. Se il matrimonio contratto da un cittadino italiano e da una straniera – che dopo le nozze presenta istanza volta al riconoscimento della cittadinanza italiana – viene dichiarato nullo, ai sensi dell’art. 122, comma 3, n. 1, c.c., per fatti e comportamenti preesistenti al matrimonio, ignoti al marito ma imputabili e conosciuti dalla moglie, la mala fede di quest’ultima, consapevole dell’esistenza di una causa di invalidità, comporta che il matrimonio, rispetto alla richiedente, deve considerarsi nullo fin dalla sua origine. Manca quindi l’elemento indispensabile perché la cittadinanza richiesta possa essere riconosciuta.

(Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 25441/20; depositata l’11 novembre)

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