D. Casco protettivo: quello a “scodella”, in luogo dell’integrale omologato, impedisce il risarcimento?

D. Casco protettivo: quello a “scodella”, in luogo dell’integrale omologato, impedisce il risarcimento?

R. Il collegio della III Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 6161/20, ha negato il risarcimento dei danni subìti da una donna, trasportata a bordo di un motoveicolo, a seguito della caduta dovuta ad un improvviso attraversamento di cani sulla carreggiata: la donna indossava un casco a “scodella” anziché il casco protettivo integrale omologato.

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 6161/20; depositata il 5 marzo)

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D. Condanna alle spese e principio della domanda: il giudice può liquidare un importo superiore rispetto a quello indicato nella nota spese?

D. Condanna alle spese e principio della domanda: il giudice può liquidare un importo superiore rispetto a quello indicato nella nota spese?

R. La nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c. funge da limite al potere del giudice di liquidazione dei compensi alla parte vittoriosa in quanto, quando la parte presenta la nota spese specificando la somma domandata, il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore. Tale valenza vincolante della nota spese permane anche nel caso in cui medio tempore siano stati modificati per legge i parametri cui il giudice è tenuto a fare riferimento, in difetto di una specifica attività della parte interessata.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 6345/20; depositata il 5 marzo)

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Quando ha diritto il condomino a visionare i documenti contabili?

Quando ha diritto il condomino a visionare i documenti contabili?

Il condomino ha diritto di ottenere l’accesso alla documentazione contabile in vista della consapevole partecipazione all’assemblea condominiale. Pertanto, l’amministrazione deve predisporre un’organizzazione che consenta l’esercizio della sopradetta facoltà, spettando a lui anche provare l’eventuale inesigibilità della richiesta. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 4445/20 depositata il 20 febbraio.

Il caso. Un condomino impugnava la delibera assembleare, assunta dal Condominio di cui faceva parte, per sentir dichiarare la nullità e/o annullabilità della stessa, lamentando la violazione del proprio diritto di esaminare la documentazione contabile, posta a fondamento dell’adottata delibera di approvazione del bilancio consuntivo e di quello preventivo con i relativi riparti. Il Giudice di primo grado rigettava la domanda rilevando che dagli atti non risultava che fosse stata impedita al condomino l’analisi della documentazione.

Avverso tale sentenza il condomino interponeva appello. La Corte d’Appello territoriale rigettava il gravame rigettava il gravame sul presupposto che la richiesta avanzata dall’appellante fosse tardiva in vista della data fissata per l’assemblea.

Avverso la decisione il condomino proponeva ricorso per cassazione lamentando, tra le altre cose, che la Corte di merito avesse disatteso l’orientamento giurisprudenziale secondo cui ogni condomino poteva domandare e ottenere dall’amministrazione l’esibizione dei documenti contabili in ogni momento e non solo in sede di rendiconto annuale e di approvazione assembleare del bilancio, a condizione che questo non ostacolasse l’attività dell’amministrazione. Gli Ermellini, ritenendo fondato il motivo di ricorso, rilevavano che il condomino era stato regolarmente convocato per l’assemblea con raccomandata semplice ed egli aveva richiesto per iscritto all’amministratore di visionare i documenti a ridosso dell’assemblea (nello specifico il giorno prima). E, sulla base di tale considerazione, la Corte stessa aveva rilevato che ciò fosse incompatibile con il diritto del condomino di esaminare la documentazione contabile prima della stessa seduta assembleare e che, pertanto, i tempi della richiesta non avrebbero permesso la visione dei documenti contabili prima dell’assemblea e che l’accoglimento della richiesta medesima avrebbe di certo ostacolato l’attività di amministrazione comportando il rinvio dell’assemblea stessa; sarebbe stato opportuno, pertanto, che il ricorrente avesse formulato per tempo detta richiesta e non avesse aspettato la convocazione dell’assemblea per consultare i documenti.  Secondo il Supremo Collegio la Corte d’appello aveva correttamente richiamato il consolidato principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in tema di comunione dei diritti reali, ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea) e senza l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), purché l’esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo all’attività di amministrazione, non sia contrario ai principi di correttezza, e non si risolva in un onere economico per il condominio (dovendo i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti)”. Tuttavia la Suprema Corte osservava che, di tale principio, la Corte di merito non aveva fatto altrettanto corretta applicazione, avendo trascurato la contestuale affermazione della Corte di legittimità, per la quale “il condomino ha senz’altro il diritto di accedere alla documentazione contabile in vista della consapevole partecipazione all’assemblea condominiale e che a tale diritto corrisponde l’onere dell’amministratore di predisporre un’organizzazione, sia pur minima, che consenta la possibilità di esercizio di tale diritto e della esistenza della quale i condomini siano informati. Con il che, deve ritenersi che a fronte della richiesta del condomino di accedere alla documentazione contabile per gli indicati fini di partecipazione consapevole ad un’assemblea che su quei documenti debba esprimersi, l’onere della prova (che nella specie non risulta assolto) della inesigibilità della richiesta e della sua non compatibilità con le modalità previamente comunicate incombe sull’amministratore e, quindi, in sede di impugnazione della delibera assembleare, al Condominio, ove intenda resistere all’azione del condomino dissenziente”.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa ad altra Corte d’appello di Catania.

Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa ad altra Corte d’appello di Catania.

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Diritto di sopraelevazione? No se pregiudica le condizioni statiche dell’edificio

Diritto di sopraelevazione? No se pregiudica le condizioni statiche dell’edificio

CIn tema di sopraelevazioni, le condizioni statiche dell’edificio costituiscono un limite all’esistenza stessa del diritto di sopraelevazione di cui all’art. 1127 c.c. e non l’oggetto di verificazione e di consolidamento per il futuro esercizio dello stesso. Questo è quanto stabilito dalla Corte di , sez. II Civile, ordinanza n. 2000/20, depositata il 29 gennaio.

Il caso. Il Tribunale adito accoglieva la domanda proposta da un Condominio dichiarando contrario ai limiti posti dall’art. 1127 c.c., comma 2, il manufatto realizzato sulla terrazza di copertura dell’edificio e comunicante con il sottostante appartamento di proprietà della convenuta e conseguentemente ne ordinava rimessione in pristino.

Avverso tale sentenza, la convenuta interponeva appello. La Corte d’Appello territoriale confermava la decisione  di primo grado qualificando la nuova opera , ovvero un bagno con ripostiglio al quale si accedeva tramite scala a chiocciola aperta con foratura del solaio, come “sopraelevazione” realizzata in carenza di verifiche dinamiche sulle condizioni statiche dell’edificio anche in considerazione della normativa regionale antisismica.

Avverso tale sentenza, l’appellante proponeva ricorso per cassazione. La Suprema Corte innanzitutto affermava che la Corte d’appello aveva correttamente qualificato come “sopraelevazione”, agli effetti dell’art. 1127 c.c., il manufatto realizzato dalla ricorrente sulla terrazza di copertura dell’edificio condominiale. Difatti, “Ai fini dell’art. 1127 c.c., la sopraelevazione di edificio condominiale è, infatti, costituita dalla realizzazione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell’area sovrastante il fabbricato, per cui l’originaria altezza dell’edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche”. Nella definizione enunciata dalla stessa Corte “la nozione di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. comprende, peraltro, non solo il caso della realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche quello della trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie, seppur indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato”. Inoltre, “l’art. 1127 c.c. sottopone, poi, il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell’edificio che non la consentono, ovvero dall’aspetto architettonico dell’edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di arie e luce per i piani sottostanti”. In riferimento al limite delle condizioni statiche, la giurisprudenza aveva, altresì, chiarito l’assolutezza del divieto “cui è possibile ovviare soltanto se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato all’esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo il fabbricato a sopportare il peso della nuova costruzione. Ne consegue che le condizioni statiche dell’edificio rappresentano un limite all’esistenza stessa del diritto di sopraelevazione, e non già l’oggetto di verificazione e di consolidamento per il futuro esercizio dello stesso, limite che si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione, il cui accertamento costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato”.

Nel caso in esame, la ricorrente aveva omesso di verificare la conformità del fabbricato alle prescrizioni tecniche previste dalla legislazione speciale antisismica, e, in sede di giudizio, avrebbe dovuto produrre elementi sufficienti a dimostrarne la sicurezza in tal senso secondo un’indagine rimessa al giudice di merito, correttamente motivata e dunque sottratta alle censure.

Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al rimborso delle spese sostenute dal Condominio controricorrente.

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D. Il mancato deposito nel termine di legge dell’attestazione di conformità all’originale della copia analogica della relata di notifica rende improcedibile il ricorso?

D. Il mancato deposito nel termine di legge dell’attestazione di conformità all’originale della copia analogica della relata di notifica rende improcedibile il ricorso?

R. Il deposito in cancelleria, entro il termine di 20 giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione se il controricorrente, nel costituirsi, depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata. Invece, se il suddetto deposito non avvenga neanche entro l’adunanza in camera di consiglio il ricorso è improcedibile.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 3715/20; depositata il 14 febbraio)

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D. Se deposito e pubblicazione non coincidono, qual è il termine a quo per l’impugnazione della sentenza?

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R. Il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico, con assegnazione del numero identificativo: in quel momento la sentenza diviene conoscibile e dunque impugnabile ai sensi dell’art. 327 c.p.c.. Ove i due momenti del deposito e della pubblicazione risultino impropriamente scissi, il giudice deve accertare – mediante istruttoria documentale, o, nel caso, attraverso presunzioni semplici o secondo la regola che, ex art. 2697 c.c., impone alla parte di provare la tempestività dell’impugnazione – il momento in cui la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale con l’inserimento nell’elenco cronologico e l’assegnazione del numero identificativo. Una sentenza può dirsi depositata solo a seguito del suo inserimento nell’elenco cronologico, con conseguente assegnazione del numero identificativo.  

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 3536/20; depositata il 13 febbraio)

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