La richiesta di un terzo che, agendo avverso un Condominio,
si affermi esclusivo proprietario di un locale e pretenda di farlo con la
proposizione di una domanda volta al giudicato di accertamento e di condanna al
rilascio del locale medesimo, si deve svolgere in contraddittorio con tutti i
condomini. Questa è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione II
Civile, ordinanza n. 26208/2019, depositata il 16 ottobre.
Il caso. Con atto di
citazione il proprietario di un box conveniva in giudizio il Condominio,
chiedendo che venisse accertato il suo esclusivo diritto di proprietà sul
locale terraneo adibito a box, facente parte del fabbricato condominiale, con
conseguente condanna del Condominio al rilascio e allo sgombero dello stesso.
Il convenuto, costituendosi, eccepiva il proprio difetto di legittimazione
passiva, dovendo la causa essere istaurata nei confronti dei singoli condomini
e, nel merito, deduceva che il bene rivendicato era di proprietà condominiale. Il Tribunale competente rigettava l’eccezione di legittimazione e accoglieva
la domanda, accertando il diritto di piena proprietà dell’attore sul bene
oggetto di causa e condannando il Condominio all’immediato rilascio dello
stesso.
Avverso tale sentenza, Il Condominio interponeva
appello. La Corte d’appello territoriale riteneva
fondata l’eccezione, formulata dall’appellato, di difetto di legittimazione
dell’amministratore del Condominio per mancanza di deliberazione autorizzativa
dell’assemblea alla proposizione dell’impugnazione, non trattandosi di causa
che l’amministratore poteva autonomamente proporre ex art. 1130 c.c., n. 4 e
dichiarava così inammissibile l’appello.
Avverso tale sentenza, il Condominio proponeva ricorso
per cassazione con un unico motivo di doglianza con cui si denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1130,
1131 c.c. e art. 75 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello
ritenuto necessaria, ai fini della proposizione dell’appello da parte
dell’amministratore del Condominio, la previa deliberazione dell’assemblea dei
condomini o, quantomeno, la ratifica successiva del suo operato, non rientrando
la controversia tra quelle che l’amministratore poteva autonomamente proporre –
era il rilievo della non integrità del contraddittorio. Secondo gli Ermellini, << la domanda di un terzo il quale, agendo contro il
condominio, si affermi proprietario esclusivo e pretenda di farlo con una
domanda mirante al giudicato di accertamento e di condanna al rilascio del bene
si deve svolgere in contraddittorio con tutti i condomini, “stante la
condizione di comproprietari dei beni comuni e la portata delle azioni reali, che
incidono sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, avente reale
interesse a contraddire” >>. Pertanto, dovevano dichiararsi nulli i procedimenti
instaurati nei primi due gradi di giudizio per mancata instaurazione del
contraddittorio nei confronti dei singoli condomini.
Per tali motivi la Corte di Cassazione cassava la sentenza impugnata con rinvio.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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R. Nell’ipotesi in cui la causa venga rimessa al giudice di primo grado non sussiste alcun interesse sostanziale delle parti ai fini dell’impugnazione, considerato che il merito della domanda sarà deciso in quella sede, non configurandosi, dunque, nessuna soccombenza. Da ciò deriva la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 26246/19; depositata il 16 ottobre)
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R. La registrazione al sito e l’inserimento dei dati personali della donna sono avvenuti con un ‘IP’ riconducibile all’utenza telefonica mobile del partner. Indiscutibile, quindi, la condotta da lui tenuta, consistita in un illecito trattamento dei dati personali della ex compagna.
(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 42565/19; depositata il 17 ottobre)
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R. Sacrosanta la pretesa del titolare della struttura che ha ospitato il ricevimento nuziale: egli dovrà percepire l’intera cifra pattuita cogli sposi. Irrilevanti le lamentele della coppia per la scarsa qualità del cibo e del servizio: tale elemento non basta per parlare di danno esistenziale. Peraltro, aggiungono i Giudici, moglie e marito avrebbero dovuto essere più tempestivi e segnalare la loro insoddisfazione entro 60 giorni dal ricevimento.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 26485/19; depositata il 17 ottobre)
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Tutti i
condomini devono partecipare alle spese di conservazione del tetto le parti dell’edificio condominiale
volte a preservarlo da agenti atmosferici e da infiltrazioni di acqua piovana o
sotterranea rientrano tra le cose comuni, proprio per la loro funzione necessaria
all’uso collettivo. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez.
VI Civile – 2, ordinanza n. 24927/2019, depositata il 7 ottobre.
Il caso. La
Corte territoriale confermava quanto deciso dal Tribunale competente sulla
impugnativa della delibera assembleare, ravvisando l’obbligo della condomina
ricorrente di concorrere alle spese di manutenzione del tetto del fabbricato,
in quanto strutturalmente destinato anche alla protezione dell’atrio comune,
seppur non sovrastante alcuna unità immobiliare di proprietà esclusiva della
stessa. La ricorrente evidenziava che i giudici di secondo grado si erano posti
in contrasto col principio affermato dalla Corte di Cassazione n. 11484/2017,
non rinvenendosi alcuna “comunione della copertura” ex art. 1117
c.c., coinvolgente le sue proprietà, in relazione al tetto, in quanto le unità
immobiliari appartenenti alla stessa non si trovavano al di sotto della
proiezione verticale del medesimo tetto oggetto di ristrutturazione.
Avverso
tale sentenza la ricorrente proponeva ricorso per cassazione. Secondo un ormai consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità “le
parti dell’edificio in condominio – quali, nella specie, muri e tetti (art.
1117 c.c., n. 1), ovvero le opere ed i manufatti fognature, canali di scarico e
simili (art. 1117 c.c., n. 3), deputati a preservare l’edificio condominiale da
agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d’acqua, piovana o sotterranea,
rientrano, per la loro funzione necessaria all’uso collettivo, fra le cose
comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in
misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi
della prima parte dell’art. 1123 c.c., non ricomprendendosi, per contro, fra
quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura
diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui
all’art. 1123 c.c., commi 2 e 3. La ripartizione delle spese di manutenzione
proporzionate all’uso delle cose comuni o correlate all’utilità che se ne
tragga non si giustifica, infatti, con riferimento a quelle parti, come il
tetto (o la facciata), che costituiscono le strutture essenziali ai fini
dell’esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato e che sono
destinate a servire in maniera eguale ed indifferenziata le varie unità
immobiliari dell’edificio”. Continuavano gli Ermellini affermando che “in un
risalente precedente, si spiegava ancor meglio come il principio della
proporzione fra quota di proprietà e concorso nei vantaggi e nei pesi della
cosa comune vige allo stato puro nella comunione, mentre non è sufficiente nel
condominio, giacché, essendo tale istituto caratterizzato dalla coesistenza di
un regime di comunione con molteplici proprietà individuali, l’intensità del
godimento delle cose ed impianti comuni da parte dei condomini può obiettivamente
risultare diversa a seconda del rapporto in cui con quelle cose ed impianti si
trova (di fatto) il bene oggetto di proprietà esclusiva; di tal che, in sede di
riparto delle spese di manutenzione del tetto, quel che veramente rileva non è
tanto l’appartenenza del tetto medesimo ad alcuni o a tutti i condomini, quanto
la funzione di copertura, senza che con ciò, peraltro, si possa dire che solo i
proprietari dei vani posti nella verticale sottostante alla zona da riparare
siano tenuti alla relativa spesa, poiché non può, almeno in linea generale,
ammettersi una ripartizione per zone di un medesimo tetto”. Ed ancora. Nel caso
de quo, neppure trovava perciò applicazione il regime sulle spese stabilito
dall’art. 1126 c.c., (cui si riferiva Cass. Sez. 6 – 2, 10/05/2017, n. 11484),
il quale disciplinava soltanto le riparazioni o ricostruzioni del lastrico
solare, propriamente inteso, di uso esclusivo, ossia di quella superficie
terminale dell’edificio dotata di accessibilità ed adibita, quale accessorio, oltre
che alla funzione di copertura, alla utilizzazione esclusiva di uno degli
appartamenti in forza di diritto, di carattere reale o personale, che risultava
dal titolo. Solo allorquando il tetto dell’edificio in Condominio fosse di
proprietà esclusiva di uno dei partecipanti, si era ritenuto in giurisprudenza
che le spese di manutenzione dello stesso dovessero ripartirsi con i criteri di
cui all’art. 1126 c.c., come, appunto, stabilito per i lastrici solari di uso
esclusivo.
Per tali
motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
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R. Ai fini della validità della notifica eseguita ai sensi dell’art. 139 c.p.c. è da considerarsi persona “addetta all’ufficio” colui che si qualifichi come collega di studio dell’avvocato destinatario dell’atto in quanto la natura del rapporto stabilmente intercorrente fra detti soggetti fa presumere che il consegnatario, essendo stato rinvenuto nello studio comune al destinatario ed avendo accettato di ricevere la copia dell’atto, provvederà ad effettuare la consegna al destinatario medesimo.
(Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 25477/19; depositata il 10 ottobre)
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