R. La drammatica vicenda che ha portato all’affermazione del principio da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è svolta in Lituania qualche anno fa, quando una ragazza di 17 anni fu rapita, violentata e rinchiusa nel bagagliaio di un’auto dove venne poi bruciata viva. Inutili sono state le varie telefonate al numero di emergenza unico europeo 112 per chiedere aiuto: il centro di raccolta delle chiamate non ha infatti potuto provvedere a localizzare la ragazza.
(Corte di Giustizia UE, Quarta Sezione, sentenza 5 settembre 2019, causa C-417/18)
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R. Ai fini del riconoscimento dell’indennità di cassa alla dipendente licenziata illegittimamente, ciò che rileva è l’autonomia nell’espletamento delle mansioni di cassiere e la continuità e non occasionalità delle stesse.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 22294/19; depositata il 5 settembre)
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VI criteri per la divisione di un Condominio in Condomini autonomi non sono dati dalla presenza delle parti comuni ad una unità immobiliare, ma dalle caratteristiche strutturali della costruzione. Le parti prima oggetto di diritto di comunione ex art. 1117 c.c. possono infatti, nel perdurare della loro fruizione, divenire poi oggetto di diverso regime giuridico quale quello fondato sul diritto di servitù. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 22041/2019, depositata il 3 settembre.
Il caso. Alcuni condomini
convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale competente, gli altri condomini
del Condominio deducendo di rappresentare oltre un terzo dei comproprietari
previsto dall’art. 61 disp. att. c.c. e, poiché l’attuale consistenza
condominiale era iniqua ed inutilmente complessa, imponendo la partecipazione
dei condomini a spese per spazi e servizi da cui non traevano alcuna utilità,
sebbene non potessero reputarsi comuni, chiedevano che, attesa l’autonomia
strutturale dei vari corpi di fabbrica presenti nel Condominio, fosse disposto
lo scioglimento dello stesso Condominio e la sua scomposizione in cinque unità
autonome, provvedendosi in ogni caso a dichiarare la nullità delle tabelle
millesimali attualmente applicate, in quanto errate e prive di fondamento ex
art. 69 disp. att. c.c., provvedendosi alla stesura delle nuove tabelle e con
il riconoscimento del diritto degli attori alla ripetizione delle somme
indebitamente versate sulla scorta delle tabelle errate. Disposta C.T.U., il
Tribunale adito rigettava la domanda di scioglimento del Condominio, stante
l’accertata esistenza di compenetrazioni ed intersezioni tra le varie unità
immobiliari, tali da comportare che le stesse sarebbero ricadute in due
distinti condomini, attesa anche l’anomalia rappresentata dalla permanenza dei
contatori dell’acqua e del gas di uno dei futuri Condomini nell’androne di un
altro Condominio. Conseguentemente, anche la domanda relativa alle tabelle
millesimali veniva rigettata.
Avverso tale sentenza
le originarie parti attrici interponevano gravame e la Corte d’Appello
territoriale rigettava l’impugnazione per assenza di due condizioni
prescritte dall’art. 61 disp. att. c.c.: 1. era assente il quorum, in quanto
dal riparto operato dalla ctu, risultava che la collocazione di una delle unità
immobiliari (sviluppantesi in verticale) impediva il raggiungimento del quorum
richiesto dalla legge (un terzo dei comproprietari della parte dell’edificio di
cui era richiesta la separazione), che era presente solo per una delle quattro
parti risultanti dal riparto; 2. era assente quello dell’autonomia delle parti
oggetto di divisione ex art. 61 disp. att. c.c.: il supplemento di ctu
evidenziava che ben otto unità immobiliari sarebbero rientrate in due diversi
condomini (“con una evidente situazione di interferenze e sovrapposizioni”). La
carenza di autonomia strutturale non era nemmeno superabile con la
predisposizione di nuove tabelle millesimali. Inoltre, la domanda relativa alla
nullità delle stesse tabelle veniva respinta, non in quanto ritenuta assorbita
dalla domanda principale (diversamente da quanto concluso dal tribunale), ma in
quanto erronea: le tabelle erano state approvate all’unanimità nel 1995. Una volta esclusa, alla luce della giurisprudenza delle
Sezioni Unite (Cass.
18477/2010), la necessità dell’unanimità
dei condomini per approvare le tabelle, essendo sufficiente anche la maggioranza
qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, era carente l’allegazione posta
a supporto della domanda, mancando la puntuale individuazione delle ragioni per
le quali i valori millesimali di cui alla tabella sarebbero errati e non
corrispondenti all’effettivo assetto proprietario.
Avverso
tale sentenza le originarie parti appellanti proponevano ricorso per
cassazione. I ricorrenti affermavano
la violazione degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. e 1117 cc. e cioè che: in
realtà dalla ctu risultava che le parti dell’attuale Condominio erano distinte
e facilmente identificabili e la divisione non aveva creato problemi nella gestione
delle parti comuni; altresì, affermavano che il calcolo del quorum operato
dalla Corte d’appello avesse violato la prescrizione dell’art. 1117 c.c.,
avendo essa escluso che la collocazione di un immobile nella proiezione verticale
di altro Condominio potesse essere operata sulla base della presenza di scale,
ingresso e androni necessari ad accedere allo stesso. Preliminarmente, la
censura circa l’errato calcolo del quorum veniva disattesa. In primis veniva
rilevato che si trattava di un accertamento di fatto operato dal giudice di
merito – il quale aveva rilevato che l’unità in questione, pur accedendo dal Condominio
indicato con il n. 3, andava poi a svilupparsi in direzione verticale nel Condominio
indicato con il n. 4 – nell’ambito dell’indagine volta a verificare la presenza
di autonomia strutturale delle parti ai fini della divisione del Condominio in
via giudiziale. Secondo i ricorrenti, la presenza di parti comuni quali scale,
androne, ingresso etc. doveva portare a includere l’immobile nel condominio cui
le dette parti appartenevano. La Suprema Corte rilevava come sfuggiva, a tale
prospettazione, la circostanza che tale valutazione qui era operata nel momento
in cui il Condominio era ancora unico, non diviso, “con la conseguenza che ogni
singola unità immobiliare ivi inclusa può vantare diritti di comunione sui beni
rientranti nel novero di cui all’art. 1117 c.c. laddove posti a servizio della
stessa”. Andava, altresì, escluso che
ricorresse la dedotta violazione delle norme in tema di scioglimento del
Condominio. A tal fine veniva richiamata la costante giurisprudenza della Corte
che, già a far data da Cass. n. 1964/1963, aveva affermato che “a norma degli
artt. 61 e 62 disp. att. c.c., lo scioglimento del Condominio di un edificio o
di un gruppo di edifici, appartenenti per piani o porzioni di piano a
proprietari diversi, in tanto può dare luogo alla costituzione di condomini
separati, in quanto l’immobile o gli immobili oggetto del condominio
originario, possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di
edifici autonomi, quand’anche restino in comune con gli originari partecipanti
alcune delle cose indicate dall’art. 1117 c.c..” Il tenore della norma,
riferito all’espressione “edifici autonomi” escludeva di per sé che
il risultato della separazione si concreti in un’autonomia meramente
amministrativa, giacché, più che ad un concetto di gestione, il termine
“edificio” andava riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla
costituzione di più Condomini, doveva essere suscettibile di divisione in parti
distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente
dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola estensione che
poteva consentirsi a tale interpretazione era quella prevista dall’art. 62
citato, il quale faceva riferimento all’art. 1117 c.c. (parti comuni
dell’edificio in quanto destinate in modo permanente al servizio generale e
alla conservazione dell’immobile, riguardato sia nel suo complesso unitario che
nella separazione di edifici autonomi). In questo ultimo caso, l’istituzione di
nuovi Condomini non era impedita dalla permanenza, in comune delle cose
indicate dall’art. 1117 c.c., la cui disciplina d’uso avrebbe potuto formare
oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri
relativi. Al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo
espressamente previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare
non poteva attuarsi se non mediante interferenze ben più gravi, interessanti la
sfera giuridica propria di altri Condomini, alla cui proprietà verrebbero ad
imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, era da
escludere, in tale ipotesi che l’edificio scorporando potesse avere una propria
autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di
esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa. Trattasi di
principi assolutamente condivisibili e che sono stati ripresi anche dalla più
recente giurisprudenza che aveva ribadito che (Cass. n. 27507/2011) “l’autorità
giudiziaria può disporre lo scioglimento di un condominio solo quando il
complesso immobiliare sia suscettibile di divisione, senza che si debba attuare
una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi ciascuna una propria
autonomia strutturale, mentre, laddove la divisione non sia possibile senza
previa modifica dello stato delle cose mediante ristrutturazione, lo
scioglimento e la costituzione di più condomini separati possono essere
approvati soltanto dall’assemblea con un numero di voti che sia espressione di
due terzi del valore dell’edificio e rappresenti la maggioranza dei
partecipanti al condominio”. era necessario vedere anche la Cass. n. 21686/2014
che aveva affermato che “l’espressione “edifici autonomi”, non
consente di accedere all’esito interpretativo secondo cui il risultato della
separazione si possa concretizzare in una autonomia meramente amministrativa,
giacché, più che ad un concetto di gestione, il termine “edificio” va
riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più
condomini, deve essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi
ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici
esigenze di carattere amministrativo”. Il Supremo Collegio, poi, ribadiva come l’assenza di autonomia
strutturale prescritta dalla legge non potesse essere sopperita dalla creazione
di nuove tabelle millesimali, realizzando così una mera divisione
amministrativa. La Corte, infine, escludeva la pertinenza del richiamo al
precedente di cui Cass. n. 4439/1982, relativo ad un caso di unione, mediante
abbattimento di un muro, di due unità dello stesso proprietario e successiva
divisione del Condominio, dove si affermava che, dato il carattere ricognitivo
dello scioglimento del Condomino ex artt. 61 e 62 disp. att. c.c., con
la divisione del Condominio, quel Condomino potesse ritenersi obbligato a
ripristinare la separazione ovvero autore di un’indebita imposizione di
servitù, salvo che non si desse prova dell’esistenza di un unico edificio. I
due casi non sono assimilabili, osservavano i giudici di legittimità, in quanto
in quello di specie non era data prova che la sovrapposizione delle unità
immobiliari fosse stata operata illegittimamente dopo la costruzione o non
fosse invece da ricondursi alla costruzione originaria e dunque alla volontà
del costruttore di dare vita ad un edificio dove i corpi di fabbrica erano privi
di autonomia. In assenza di tali prove non poteva discutersi circa la
legittimità delle attuali costruzioni e dunque lo stato di fatto precludeva la
divisione del Condominio. Ove diversamente si concludesse per la divisione
delle singole unità, si imporrebbero alle proprietà individuali limitazioni
incompatibili con i presupposti richiesti dalla legge per la divisione del Condominio.
Per tali
motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti,
in solido tra loro, al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in
favore dei controricorrenti.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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R. L’ambito di operatività della scriminante del diritto di esercizio della difesa in giudizio, prevista dall’art. 598 c.p. e concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti processuali e nei discorsi pronunciati nell’ambito del giudizio ordinario o amministrativo, è limitata al solo caso in cui esse risultino funzionali all’esercizio del diritto di difesa e a condizione che siano pertinenti all’oggetto del giudizio, con la conseguenza che essa non opera, qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede.
(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 22184/19; depositata il 5 settembre)
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R. Tutti i curatori interessati hanno diritto di partecipare al procedimento di liquidazione. Se si succedono più curatori si applica il principio proporzionale.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 22272/19; depositata il 5 settembre)
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È inevitabile la condanna per “frode commerciale” del titolare del ristorante che utilizza prodotti congelati non segnalati e prodotti differenti da quelli indicati nel menù. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 36640/2019, depositata il 29 agosto.
Il caso. La
Corte d’appello territoriale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale
competente, confermava la condanna, rideterminando la pena, del titolare di un
esercizio pubblico operante nel settore della ristorazione, poiché aveva posto
in essere atti diretti in modo non equivoco a somministrare agli avventori,
prodotti diversi da quelli pubblicizzati nei menù; in particolare, aveva
utilizzato per le preparazioni pesci ghiaccio al posto dei pubblicizzati
bianchetti e prodotti congelati senza la relativa specifica indicazione sul
menù.
L’imputato proponeva
ricorso per cassazione. La decisone dei giudici di merito veniva condivisa e confermata dalla Suprema
Corte. A suo parere, infatti, era inequivoco il quadro emerso grazie al blitz
nel locale: gli Operanti avevano
verificato che gli alimenti giacevano nei fricongelatori senza alcuna
protezione ed alla rinfusa, erano ricoperti di liquidi rappresi e presentavano
tracce di rifiuti non identificati nonché tracce di bruciatura da freddo, erano
ricoperti altresì di brina, segno di una lenta penetrazione del freddo con la
creazione dei macrocristalli. In cucina vi era un frigorifero abbattitore di
temperatura che, all’atto ispettivo, era spento ed utilizzato come dispensa.
Hanno altresì verificato che non erano stati rinvenuti alimenti freschi, ma
solo congelati e che a disposizione dei clienti vi erano due menù. Su uno dei
due, per i gamberi, era riportata l’espressione “a seconda del mercato
potrebbero essere surgelati”, mentre sull’altro era indicato che “alcuni
prodotti potrebbero essere congelati”, senza indicare quali; tra gli
antipasti erano poi indicati “pesci bianchetti fritti”, ma, dal
controllo degli alimenti, non se n’erano rinvenuti, sicché era stata utilizzata
una confezione parzialmente utilizzata di “pesci ghiaccio congelati”,
che risultavano visibilmente simili ai bianchetti. Nessun dubbio, quindi, sulla
responsabilità del titolare del ristorante per la frode messa in atto ai danni
dei clienti. E questa constatazione, secondo gli Ermellini, non poteva essere messa
in discussione dalla “acquisita dimostrazione” grazie ad alcune fatture del “quotidiano
approvvigionamento di alimenti freschi” nonché del “loro costante utilizzo”:
tale dato “non elide il risultato ispettivo” emerso in occasione del blitz nel
locale.
Per tali
motivi la Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso e condannava
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro
2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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