D. Figlio maggiorenne ma invalido: è confermato l’obbligo del padre al mantenimento?

D. Figlio maggiorenne ma invalido: è confermato l’obbligo del padre al mantenimento?

R. Respinte definitivamente le contestazioni mosse dal padre. Decisiva è la constatazione della condizione patologica del figlio, che non può rendersi autonomo economicamente e deve coabitare con la madre.  

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 13109/19; depositata il 16 maggio)

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Alla compagnia telefonica occorre il consenso unanime per installare le antenne sul lastrico solare?

Alla compagnia telefonica occorre il consenso unanime per installare le antenne sul lastrico solare?

CAi sensi dell’art. 1108, comma 3, c.c. «È necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni». Tale norma è quindi applicabile nel caso un condominio decida di concedere in godimento a un terzo dietro il pagamento di un corrispettivo il lastrico solare per consentirgli l’installazione di antenne e impianti che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al terzo di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti istallati? Su tale quesito ha risposto la Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria n. 8943/2019, depositata il 29 marzo.

Il caso. Un Condominio agiva nei confronti di una società condomina contestando la concessione effettuata da quest’ultima, tempo addietro, ad una società telefonica. Quando il Condominio era formato da due soli condomini, la società convenuta aveva concesso alla compagnia telefonica l’installazione sul lastrico solare di antenne e strumentazioni inerenti alla trasmissione di dati di telefoni cellulari. Ciò era stata fatto con il tacito assenso dell’altra condomina e, tale operazione, veniva incorporata nel regolamento condominiale come servitù nei confronti dell’azienda di telecomunicazioni. Pertanto, mancando il consenso del Condominio, lo stesso  domandava giudizialmente la rimozione degli impianti. Si costituiva in giudizio la compagnia telefonica, allegando di avere sottoscritto un contratto di locazione con la stessa citata condomina. Il Giudice di primo grado respingeva la domanda attorea.

Avverso tale sentenza, il Condominio interponeva appello. La Corte d’Appello territoriale accoglieva le richieste della parte appellante, accertava l’inesistenza del diritto delle parti appellate al mantenimento delle opere e dei manufatti e condannava la società telefonica alla rimozione degli impianti e manufatti oggetto di causa.

Avverso tale sentenza, la società che aveva concesso il lastrico solare proponeva ricorso per cassazione, mentre la società di telecomunicazioni depositava controricorso. Tutte e due le azioni giudiziarie vertevano sul far riconoscere al giudice la legittimità dell’atto dispositivo del lastrico solare e la concessione dello stesso, qualificata come locazione o come concessione di servitù. Il Supremo Collegio iniziava la propria decisione dall’analisi della fattispecie in atti e dal tentativo di qualificazione del contratto intercorso tra la condomina e la compagnia telefonica. Gli Ermellini  affermavano che, “nell’ambito di un condominio edilizio, l’uso indiretto di una parte comune mediante locazione può essere disposto con deliberazione a maggioranza, sempre che non sia possibile l’uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di frazionamento degli spazi o di turni temporali, costituendo, dunque, l’indivisibilità del godimento o l’impossibilità dell’uso diretto il presupposto per l’insorgenza del potere assembleare circa l’uso indiretto (Cass. Sez. 2, 27/10/2011, n. 22435; Cass. Sez. 2, 22/03/2001, n. 4131; Cass. Sez. 2, 21/10/1998, n. 10446). Quando la maggioranza dei condomini deliberi di locare la cosa comune ad un terzo, non si pone proprio questione di violazione dell’art. 1102 c.c., in quanto tale norma tutela l’uso diretto di ciascun condomino sulla medesima e non quello indiretto (arg. da Cass. Sez. 2, 22/03/2001, n. 4131)”. Altresì, sostenevano che “il singolo condomino, analogamente a quanto avviene in tema di comunione ordinaria, nell’esercizio del diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune, ex art. 1105 c.c., possa concedere in locazione la stessa senza necessità di espresso assenso degli altri condomini, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione che si presume fino a prova contraria compiuto nell’interesse di tutti e che trova disciplina nelle disposizioni in tema di gestione d’affari non rappresentativa (Cass. Sez. 3, 23/04/1996, n. 3831; Cass. Sez. 3, 27/01/2005, n. 1662; Cass. Sez. U, 04/07/2012, n. 11135). Per riconoscere, peraltro, al singolo condomino il potere di concedere in locazione una parte condominiale, anche senza l’espresso assenso degli altri partecipanti, occorre che lo stesso agisca quale utile gestore o mandatario tacito nell’interesse degli altri condomini o, quanto meno della maggioranza di essi, mentre è necessaria l’espressa adesione di tutti i condomini quando la locazione non sia diretta alla tutela degli interessi collettivi ma miri a soddisfare un proprio esclusivo interesse, che può essere anche in contrasto con quello degli altri”. La questione sottesa era quella di qualificare il “contratto col quale un condomino conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l’installazione di infrastrutture e impianti che comportino la trasformazione dell’area, garantendo comunque al detentore del lastrico di acquisire e conservare la proprietà dei manufatti sia nel corso del rapporto che alla cessazione di esso”. Ancora, ragionavano i Supremi Giudici, sulla qualità di bene mobiliare o immobiliare di detti impianti, propendendo per quest’ultima sulla base del vincolo di incorporazione con il condominio e della necessità di dotarsi di permesso amministrativo di costruzione per l’installazione degli stessi. Sembrerebbe la Corte di Cassazione propendere per qualificare il contratto oggetto di causa come una locazione, sussistendone i requisiti di cui all’art. 1571 c.c. ovvero la concessione temporanea del godimento dalla quale era possibile trarre un’utilità e relativo obbligo di pagare il canone per l’uso stabilito, e sancire come questo rapporto afferisse alla locazione tuttavia, proseguiva la Cassazione, poneva il problema dell’accessione. Infatti, ai sensi dell’art. 934 c.c., “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge”. Sostanzialmente, si poneva il problema di valutare se il contratto di locazione fosse di per sé titolo sufficiente ad impedire che gli impianti divenissero, a seguito della costruzione, di proprietà del condominio, anche in ragione del fatto che il “titolo” ex art. 934 c.c. che annulla l’accessione doveva avere comunque un carattere “reale” e quindi la mera locazione sarebbe risultata insufficiente (così in Cass. SS. UU. 16/02/2018 n. 3873). Più difficile, invece, qualificare tale concessione come un contratto costitutivo di servitù, stante l’assenza del carattere di predialità sancito dall’art. 1027 c.c. ossia l’esistenza di un peso sopportato dal fondo servente e l’assenza dell’unanimità degli aventi diritto ex art. 1108 c.c.. Si interrogavano i Giudici di legittimità sulla necessità per stipulare detti accordi dell’assenso di tutti i condomini. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, “la questione che si pone è se è necessario il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell’art. 1103 comma 3 , c.c. per l’approvazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie necessari per l’esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come alla fine dello stesso”.

Per tali motivi, attesa la particolare importanza della questione di massima, la Corte di Cassazione disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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D. E’ sanzionabile disciplinarmente l’avvocato che non sa del decesso della parte assistita?

D. E’ sanzionabile disciplinarmente l’avvocato che non sa del decesso della parte assistita?

R. E’ configurabile la violazione dell’obbligo di informazione della parte assistita sullo svolgimento del mandato nel caso in cui l’avvocato abbia proseguito il procedimento nell’inconsapevolezza del decesso del cliente avvenuto diversi anni prima.  

(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 12636/19; depositata il 13 maggio)

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D. E’ obbligatorio misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero di ciascun dipendente?

D. E’ obbligatorio misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero di ciascun dipendente?

R. Gli artt. 3, 5 e 6, Direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, letti alla luce degli artt. 31 §. 2 Carta di Nizza, 4 §.1, 11 §.3 e 16 §.3, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro che, secondo l’interpretazione che ne è data dalla giurisprudenza nazionale, non impone ai datori di lavoro l’obbligo di istituire un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore.  

(Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza 14 maggio 2019, causa C-55/18)

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Il condomino ha una facoltà di provvedere ai lavori urgenti di manutenzione dell’edificio

Il condomino ha una facoltà di provvedere ai lavori urgenti di manutenzione dell’edificio

VAi sensi dell’art. 1134 c.c., il condomino non ha un obbligo di provvedere ai lavori urgenti di manutenzione dell’edificio, bensì una mera facoltà e il mancato esercizio non può comportare responsabilità per lo stesso condomino. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 10587/2019, depositata il 16 aprile.

Il caso. Un condomino agiva in giudizio avverso i proprietari dell’appartamento soprastante il suo lamentando che questi avevano effettuato, senza alcuna autorizzazione, lavori di ristrutturazione sul tetto dello stabile condominiale, creando varchi per le acque meteoriche, le cui infiltrazioni avevano provocato danni all’appartamento del ricorrente. Con tale ricorso, dunque, il condomino aveva chiesto la conferma nel merito del ricorso nunciatorio con il quale aveva in precedenza chiesto, e ottenuto, il ripristino del tetto condominiale. Si costituivano in giudizio i condomini del piano superiore sostenendo la necessità dei lavori di ripristino del tetto e negando di avere cagionato dei danni al condomino dell’appartamento del piano sottostante. Il Giudice di primo grado accoglieva il ricorso rilevando che non era stata provata, in causa, l’esistenza di un accordo fra i condomini per la ristrutturazione del tetto crollato e che da ciò derivava il fatto che i condomini del piano superiore erano intervenuti di loro spontanea volontà e, pertanto, questi non avevano diritto alla restituzione delle spese effettuate per il condominio e dovevano rispondere dei danni causati in quanto custodi ex art. 2051 c.c. del cantiere.

Avverso tale sentenza, i condomini soccombenti interponevano appello. La Corte di Appello territoriale rigettava l’appello e confermava integralmente la sentenza impugnata.

Avverso tale sentenza, i soccombenti proponevano ricorso per cassazione su quattro motivi. Con il primo motivo i ricorrenti lamentavano che i giudici di secondo grado non avevano correttamente valutato l’istruttoria processuale, ritenendo provato il nesso causale tra i lavori eseguiti sul tetto e le infiltrazioni di acqua nell’appartamento sottostante. Tale motivo veniva dichiarato inammissibile perché si risolveva nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali, non proponibile nel giudizio di cassazione. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentavano che la sentenza impugnata era viziata di legittimità perché era posto a fondamento della decisione un fatto specificamente contestato da parte convenuta e, cioè, che le infiltrazioni de quibus erano state originate dal crollo del tetto avvenuto in precedenza e non dai lavori realizzati dai ricorrenti. Anche questo motivo veniva dichiarato inammissibile in quanto, secondo il Supremo Collegio, i Giudici di seconde cure avevano rigettato nel merito tale eccezione, in ragione della quale le infiltrazioni erano state prodotte solo a causa del crollo del tetto, anche per l’assenza di prova su tale affermata circostanza. Con il terzo motivo i ricorrenti sostenevano la loro facoltà di eseguire i lavori di riparazione del tetto, ex art. 1134 c.c., anche senza alcuna autorizzazione dell’altro condomino trattandosi all’evidenza di spesa urgente; quindi, doveva respingersi il ricorso nunciatorio ex art. 1172 c.c. della controparte in quanto questi non aveva in alcun modo giustificato la sua inerzia nel provvedere alle opere di rifacimento del tetto. Anche questo motivo veniva dichiarato inammissibile. Secondo i Giudici di legittimità, il ragionamento dei ricorrenti non poteva essere accolto nella parte in cui non riconoscevano che la loro controparte, pure condomino, non aveva un obbligo di provvedere ai lavori di rifacimento del tetto, bensì una mera facoltà. Il suo mancato esercizio non poteva comportare responsabilità per lo stesso. Con il quarto motivo i ricorrenti rilevavano che la Corte d’Appello territoriale aveva immotivatamente omesso di rinnovare la CTU nonostante la loro istanza in tal senso e in ogni caso omesso di valutare le osservazioni dei consulenti tecnici di parte. Secondo la Corte di Cassazione, i ricorrenti avevano errato nel valutare la decisione di secondo grado. Nell’impugnata sentenza, i Giudici avevano valutato come le consulenze tecniche eseguite in corso di causa erano state tutte valutate ed erano tutte giunte alla medesima conclusione, tenendo peraltro conto delle osservazioni dei tecnici di parte. Alla stregua di tale ragionamento, pertanto, la Corte d’Appello territoriale aveva valutato di non rinnovare la CTU. Anche questo motivo veniva dichiarato inammissibile da una parte rivendicando la corretta azione della Corte d’Appello e, dall’altra, sottolineando come i ricorrenti non avevano neanche provveduto a evidenziare le osservazioni dei loro tecnici di parte le quali erano state secondo loro immotivatamente ignorate dal CTU.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la parte soccombente alla refusione delle spese di causa alla controparte.

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D. I provvedimenti provvisori emessi nei giudizi de potestate sono reclamabili?

D. I provvedimenti provvisori emessi nei giudizi de potestate sono reclamabili?

R. I provvedimenti provvisori, emessi dal Giudice minorile nell’ambito dei procedimenti ex art. 330/336 c.p.c., sono reclamabili ex art. 739 c.p.c. innanzi alla Corte d’Appello, giacché idonei a produrre effetti pregiudizievoli per i minori, incidendo su diritti personalissimi e di primario rango costituzionale.

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