R. Confermata la condanna dell’uomo, punito con nove mesi e quindici giorni di reclusione, e 950 euro di multa. Evidente il fatto che egli non abbia rispettato i propri obblighi nei confronti dei figli minori. Irrilevante, invece, il richiamo difensivo alla solidità economica della moglie, che, secondo l’uomo, porta ad escludere che la prole si sia trovata in difficoltà. Per i Giudici, difatti, i mezzi di sussistenza non includono più solo vitto e alloggio.
(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 17766/19; depositata il 29 aprile)
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R. La Corte di Cassazione, in questa recente sentenza, ha ribadito il principio affermato, seppur obiter dictum nella giurisprudenza in tema di conflitto di interessi nelle azioni di stato e della tutela del minore legittimato passivo, che la madre è litisconsorte necessario nel giudizio promosso per impugnazione del difetto di veridicità del riconoscimento del figlio.
(Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 10775/19; depositata il 17 aprile)
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R. Respinta definitivamente la pretesa della moglie, che puntava a vedere riconosciute le responsabilità del coniuge per la rottura definitiva del loro matrimonio. Per i Giudici, difatti, il dato dell’abbandono del tetto coniugale non è sufficiente, poiché va dimostrato che esso ha determinato la crisi definitiva della coppia.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 11162/19; depositata il 23 aprile)
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In tema di Condominio negli edifici, la responsabilità solidale dell’acquirente di una porzione di proprietà esclusiva per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal condomino venditore è limitata al biennio precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63 disp. att. c.c., (già) comma 2, e non già l’art. 1104 c.c., atteso che, ai sensi dell’art. 1139 c.c., le norme sulla comunione in generale si estendono al condominio soltanto in mancanza di apposita disciplina. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 10346/2019, depositata il 12 aprile.
Il caso. L’acquirente di un appartamento adiva il Tribunale competente chiedendo la declaratoria
di nullità delle delibere assembleari con cui il Condominio aveva provveduto ad addebitargli le
morosità del precedente proprietario. Tali delibere trovavano il proprio
fondamento nell’art. 11 del Regolamento
del Condominio che poneva a carico del nuovo proprietario anche i debiti per
contributi condominiali maturati dal precedente condomino. Il Giudice di prime cure riteneva la nullità
della succitata clausola regolamentare e dichiarava la nullità della delibera
impugnata.
Avverso
tale sentenza, il Condominio interponeva appello chiedendone la riforma. La
Corte di Appello territoriale, in riforma dell’impugnata decisione del
Tribunale di prima istanza, accoglieva l’appello del Condominio e rigettava la
domanda proposta dalla parte appellata affermando il principio secondo il quale
<<l’accollo al condomino avente causa degli oneri condominiali
inadempiuti, di cui all’art. 63 disp. att. c.c., è norma inderogabile ex art.
72 disp. att. c.c., nel senso che alcuna disposizione contrattuale o
regolamentare può esonerare il condomino avente causa dall’obbligo suddetto nel
limite minimo dei contributi omessi per l’anno in corso e quello precedente,
mentre è riconducibile all’autonomia del regolamento condominiale di natura
contrattuale di disporre a carico dell’acquirente condomino l’accollo di debiti
maturati, costituenti “obligationes propter rem”, dal condomino dante
causa in esercizi precedenti>>.
Avverso tale
sentenza, parte appellata propone ricorso per cassazione. Parte ricorrente censurava il vizio di violazione, falsa ed errata
applicazione di norme di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3
e 5. In particolare lamentava la violazione dell’art. 63 disp. cit.,
deducendosi l’erroneità, in diritto, della gravata decisione fondata su una non
condivisa ed illogica interpretazione della medesima norma; il tutto, secondo
parte ricorrente, in base ad una modifica della volontà della legge, effettuata
in via interpretativa, in palese contrasto col chiaro disposto normativo ex
art. 63 cit., non abbisognevole affatto di tale tipo di interpretazione. Il
Supremo Collegio riteneva fondato il motivo per la parte relativa alla invocata
violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 nel senso che il decisum della Corte
distrettuale si fondava sulla ricostruzione della portata della disposizione
dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 4 (come, da ultimo modificato ex L. n. 220
del 2012). Alla stregua di tale ricostruzione operata dal Giudice di appello,
in riforma di quella svolta dal Tribunale di prime cure, si tendeva
all’affermazione di un principio, invero innovativo, per cui il limite
temporale (biennale) per il pagamento dei contributi condominiali pregressi da
parte del condomino subentrate a precedente condomino moroso avrebbe costituito
un limite inderogabile ma solo nel limite e non nel massimo. Si ipotizzava,
quindi, la possibilità di deroga per affermare la possibile responsabilità del
nuovo condomino anche per le morosità condominiali arretrate oltre il biennio
precedente all’acquisto dell’unità immobiliare condominiale. L’affermazione
della impugnata sentenza non poteva essere condivisa sotto un duplice profilo.
Innanzitutto la stessa, con un’interpretazione additiva ed estensiva rispetto
alla chiara volontà della norma de qua, ampliava oltremodo i margini temporali
retroattivi della responsabilità solidale dell’acquirente di una proprietà
condominiale. Così facendo la decisione impugnata finiva per creare, con
l’artificioso ricorso ed il riferimento all’autonomia regolamentare
condominiale ed alle obligationes propter rem, una estensione non prevista
dalla legge del particolare tipo di responsabilità solidale del nuovo
condomino. Quest’ultimo, giovava ricordare, era comunque estraneo – prima
dell’acquisto – al regolamento condominiale, la cui autonomia non poteva mai
esercitarsi contro una ben precisa inderogabilità voluta dalla citata norma di
attuazione del c.c. anche all’evidente fine di non alimentare incertezze sui
limiti della responsabilità de qua in concreto oltremodo ostativi alla
circolazione dei beni (che era bene ancorare a certezza del diritto e non ad
incertezze interpretative). In secondo luogo ed ancor più decisivamente la
Suprema Corte osservava come tutto il ragionamento su cui era fondato il dictum
della Corte territoriale poggiava su una ricostruzione della parziale
inderogabilità (solo nel minimo) del predetto limite ex art. 63 cit., in via
interpretativa e sul un fondante presupposto espressamente affermato: “il
regolamento condominiale di natura contrattuale può disporre a carico
dell’acquirente condomino l’accollo di debiti maturati, costituenti “obligationes
propter rem”, da parte del condomino dante causa in esercizio
precedenti” all’acquisto. La decisione era, dunque, fondata sulla
possibilità di configurare i predetti debiti come obligationes propter rem. Sennonché
– aspetto questo, decisivo, ma eluso dalla valutazione della Corte a quo – la
predetta configurabilità dei medesimi debiti come era del tutto ed univocamente
esclusa dalla giurisprudenza della Corte di legittimità. Giovava, all’uopo,
rammentare i principi – già affermati dalla Suprema Corte – per cui, “in
tema di condominio negli edifici, la responsabilità solidale dell’acquirente di
una porzione di proprietà esclusiva per il pagamento dei contributi dovuti al
condominio dal condomino venditore è limitata al biennio precedente all’acquisto,
trovando applicazione l’art. 63 disp. att. c.c., (già) comma 2, e non già
l’art. 1104 c.c., atteso che, ai sensi dell’art. 1139 c.c., le norme sulla
comunione in generale si estendono al condominio soltanto in mancanza di
apposita disciplina” (Cass. 27 febbraio 2012, n. 2979). Anche questo
aspetto, doveva, quindi, ritenersi fondato e accolto.
Per tali motivi, la Corte di
Cassazione accoglieva il ricorso, cassava l’impugna sentenza e rinviava, anche
per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello territoriale.
Avvocato
Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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La trasformazione del giardino comune, realizzata mediante abbattimento dei muretti e delle essenze verdi, livellamento del suolo e spostamento dei punti di illuminazione, in funzione della nuova destinazione dell’area a parcheggio, costituisce innovazione e come tale deve essere assoggettata al regime previsto dall’art. 1120, primo e secondo comma, c.c.. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile-2, ordinanza n. 10077/2019, depositata il 10 aprile.
Il caso. Con ricorso, due condomine invocavano la declaratoria
di nullità, ovvero l’annullamento, delle deliberazioni dell’assemblea del
Condominio di cui facevano parte, assumendo in particolare che dette
deliberazioni, con le quali erano state deliberate innovazioni alle cose comuni
(specificamente, alle aree scoperte già destinate a giardino, delle quali era
stata decisa la trasformazione a parcheggio) erano da ritenersi vietate ai
sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2, e comunque, assunte senza il rispetto delle
maggioranze previste dall’art. 1120 c.c., comma 1. Si costituiva in giudizio il
Condominio, contestando le argomentazioni delle condomine e domandandone il
rigetto. L’adito Tribunale, all’esito del giudizio, respingeva il ricorso e
condannava le condomine a sostenere le spese di lite.
Avverso tale sentenza, le soccombenti interponevano appello. La Corte
d’Appello territoriale respingeva il gravame condannando le appellanti alle
spese del grado, ritenendo in particolare che il regolamento condominiale
prevedesse la destinazione a parcheggio di tutte le aree scoperte comuni e non
ravvisava, pertanto, alcuna innovazione nelle delibere contestate che di
conseguenza riteneva pienamente legittime.
Avverso tale sentenza, le appellanti proponevano ricorso per cassazione su
due doglianze. In prima battuta le ricorrenti rilevavano come la Corte
d’Appello avesse errato nel valutare la clausola del regolamento condominiale
secondo cui “Sono di proprietà ed uso comune ed indivisibile a tutti i
condomini: a) il suolo su cui sorge l’intero edificio, il relativo sottosuolo e
le aree scoperte destinate a parcheggio” e, secondo le stesse, ciò non
doveva essere interpretato in senso di considerare automaticamente tutte le
aree scoperte come funzionalmente destinate al parcheggio dei veicoli. Il secondo
motivo, invece, riguardava la presunta violazione dell’art. 1120 c.c. nella
parte in cui la Corte d’Appello non aveva correttamente valutato che la
trasformazione del giardino condominiale in un parcheggio realizzava una
innovazione non consentita ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2, e, comunque,
soggetta all’approvazione della maggioranza qualificata di cui all’art. 1120
c.c., comma 1 (nel testo in vigore anteriormente all’entrata in vigore della L.
11 dicembre 2012, n. 220, applicabile ratione temporis). I due motivi,
esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi, venivano ritenuti
fondati. Il Supremo Collegio affermava come “In tema di condominio negli
edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all’entità e
qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione
della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico
deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma
solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o
ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a
potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano
immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti
interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso
suddetto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11936 del 23/10/1999; Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 5101 del 20/08/1986; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15460 del
05/11/2002). Nel caso de quo, gli interventi deliberati comportavano
l’abbattimento delle piante del giardino, rimozione di lampioni e muretti e
livellamento al suolo delle parti interessate. Tali opere, secondo la Suprema
Corte, non potevano costituire mera modifica della cosa, ma vera e propria
innovazione, data la modifica della concreta destinazione del bene in oggetto. Sulla
base di tale principio i Giudici di legittimità affermavano che “Costituisce
innovazione qualsiasi intervento modificativo eseguito sulle parti comuni di un
edificio o su impianti o cose comuni che ne alteri l’identità materiale
operandone la trasformazione, ovvero ne modifichi la destinazione di fatto, nel
senso che detti beni, a seguito delle opere eseguite su di essi, presentino
caratteristiche oggettive, abbiano una consistenza materiale o comunque
siano utilizzati per fini di versi da quelli precedenti all’intervento di guisa
che le opere predette precludono la concreta utilizzazione della cosa comune in
modo conforme alla sua naturale e precedente fruibilità (in tal senso, cfr.
Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8622 del 29/08/1998). Detti principi, che meritano di
essere ribaditi, consentono di affermare che la trasformazione del giardino
comune, realizzata mediante abbattimento dei muretti e delle essenze verdi,
livellamento del suolo e spostamento dei punti di illuminazione, in funzione
della nuova destinazione dell’area a parcheggio, costituisce innovazione, che
come tale dev’essere assoggettata al regime previsto dall’art. 1120 c.c., commi
1 e 2, nel testo in vigore anteriormente all’entrata in vigore della L. 11
dicembre 2012, n. 220, applicabile ratione temporis alla fattispecie”.
Le delibere assembleari impugnate, quindi, avevano effettivamente dei vizi
nella misura in cui intervenivano con innovazioni vietate dall’art. 1120 c.c.,
comma 2, e con una maggioranza inferiore a quella prevista dall’art. 1120 c.c.,
comma 1, così come prospettato dalle ricorrenti sin dal primo grado di
giudizio.
Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la
decisione impugnata e rinviava la causa alla Corte d’Appello per una nuova
valutazione nel merito.
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Il rifiuto a sottoporsi ad esami immuno-ematologici per attestare la paternità, per avere valore indiziario, deve essere effettivo e persistente al momento della decisione da parte del giudice di merito. La revoca di tale rifiuto da parte… (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 10779/19; depositata il 17 aprile)
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