Relazione extraconiugale e donazione

Relazione extraconiugale e donazione

D. La relazione extraconiugale consente la revoca della donazione?

R. Una coppia in crisi, ormai separata di fatto. Lei inizia una relazione con un personaggio famoso e la storia finisce in pasto ai mass media. Il marito, che aveva pagato interamente l’appartamento milanese intestato poi alla coniuge, prova ad ottenere la revoca della donazione. Ma, secondo i Giudici, il comportamento della donna non costituisce un’ingiuria grave. (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 24965/18; depositata il 10 ottobre)

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Tumore, decesso provocati dalle sigarette e risarcimento

Tumore, decesso provocati dalle sigarette e risarcimento

D. Tumore e decesso provocati dalle sigarette: si ha diritto al risarcimento?

R. Respinta la richiesta presentata dalla moglie di un fumatore incallito. Esclusa la responsabilità dell’azienda produttrice di ‘bionde’. Decisiva la constatazione che l’uomo ha scelto liberamente di consumare anche due pacchetti di sigarette al giorno.  (Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 25161/18; depositata l’11 ottobre)

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Corte condominiale non servibile e risarcimento

Corte condominiale non servibile e risarcimento

Sì al risarcimento se l’installazione dell’ascensore rende inservibile la corte

La delibera dell’assemblea di condominio, che privi un singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo; quest’ultimo, lamentando la nullità della suddetta delibera, ha perciò la facoltà di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, dovendosi imputare alla collettività condominiale gli atti compiuti e l’attività svolta in suo nome, nonché le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo. Essendo la nullità della delibera dell’assemblea fatto ostativo all’insorgere del potere – dovere dell’amministratore di eseguire la stessa, l’azione risarcitoria del singolo partecipante nei confronti del condominio è ravvisabile non soltanto come scelta subordinata alla tutela demolitoria ex art. 1137 c.c., ma anche come opzione del tutto autonoma. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 23076/2018,  depositata il 26 settembre.

Il caso. Con atto di citazione la proprietaria di unità immobiliare compresa in un Condominio, conveniva  in giudizio quest’ultimo per vedersi risarcire il danno cagionatole dalla realizzazione di un ascensore nella corte interna dell’edificio condominiale, danno consistente nella riduzione di luce e aria all’appartamento dell’attrice posto al piano terra, e nell’impedimento all’uso di una rilevante porzione della suddetta corte.  L’adito Tribunale rigettava la domanda attorea.

Avverso la sentenza del Tribunale, l’attrice, reiterando le domande risarcitorie prospettate in primo grado, proponeva appello. La Corte d’Appello territoriale, confermando la sentenza del giudice di primo grado, rigettava il gravame, sul presupposto che le delibere che avevano deciso l’installazione dell’impianto di ascensore non erano state impugnate precedentemente dall’appellante, a nulla rilevando l’omessa convocazione della stessa alle relative assemblee, in quanto soltanto in sede di impugnativa ex art. 1137 c.c. sarebbe stato possibile dedurre l’invalidità delle decisioni assembleari, causa del ravvisato pregiudizio della proprietà esclusiva della singola condomina. Tali delibere sarebbero, pertanto, risultate tuttora valide e vincolanti anche per l’appellante, con conseguente carenza dei presupposti per l’azione di risarcimento, ex art. 2043 c.c.

Avverso la sentenza di secondo grado, l’appellante proponeva ricorso per cassazione con due motivi di doglianza. Con il primo motivo, la ricorrente denunciava l’erronea applicazione dell’art. 1137 c.c., atteso che tale disposizione avrebbe riguardato i condomini in quanto tali, mentre la stessa, mai convocata all’assemblee inerenti all’impianto di ascensore, mai notiziata delle delibere al riguardo adottate e mai coinvolta nella divisione delle rispettive spese, non avrebbe potuto dirsi “condomina” rispetto all’impianto. Con il secondo motivo di ricorso denunciava l’erronea e omessa applicazione dell’art. 2043 c.c. in quanto, seppur la delibera nulla poteva produrre effetti perché non impugnata, non poteva negarsi che essa fosse causa di conseguenze dannose per la ricorrente e dunque fonte di responsabilità civile. I giudici di legittimità ritenevano fondato il secondo motivo di ricorso, e l’accoglimento dello stesso determinava l’assorbimento del primo motivo. Ricordavano che “In tema di condominio, l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, della l. n. 13 del 1989, va approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, commi 2 e 3, c.c. (ovvero che, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap), comunque osservando i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2 (Cass. Sez. 6 – 2, 09/03/2017, n. 6129; Cass. Sez. 2, 25/10/2012, n. 18334; Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930). Poiché resta dunque fermo il disposto dell’art. 1120, comma 2, c.c. (formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione della comunione. Tale concetto di inservibilità della parte comune non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della “res communis” secondo la sua naturale fruibilità, ovvero dalla sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. Sez. 2, 12/07/2011, n. 15308; Cass. Sez. 2, 25/10/2005, n. 20639)”. Nel caso di specie, la ricorrente sosteneva, a fondamento della sua pretesa risarcitoria, che la realizzazione dell’impianto di ascensore nella corte interna dell’edificio condominiale, deliberata dall’assemblea, le impediva di far uso di una rilevante porzione di tale area comune, ed avesse, altresì, ridotto la luce e l’aria fruibili dal suo appartamento, così prospettando che l’innovazione fosse lesiva del divieto posto dall’art. 1120, comma 2, c.c., in quanto alla possibilità dell’originario godimento della cosa comune sarebbe stato sostituito un godimento di diverso contenuto. Dunque, era certamente nulla la deliberazione, vietata dall’art. 1120 c.c., che fosse lesiva dei diritti individuali di un condomino su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, trattandosi di delibera avente oggetto che non rientrasse nella competenza dell’assemblea. Il supremo Collegio continuava sostenendo che “La nullità di una deliberazione dell’assemblea condominiale comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilità, non implichi la necessità di tempestiva impugnazione nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c. Una deliberazione nulla, secondo i principi generali degli organi collegiali, non può, pertanto, finché (o perché) non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, come si afferma per le deliberazioni soltanto annullabili. La nullità della deliberazione assembleare costituisce, perciò, fatto ostativo all’insorgere del potere-dovere dell’amministratore, ex art. 1130, n. 1, c.c., di darne attuazione, differentemente dalle ipotesi di mera annullabilità, non incidendo questa sul carattere vincolante delle decisioni del collegio dei condomini per l’organo di gestione fino a quando non siano rimosse con pronuncia di accoglimento dell’impugnazione proposta a norma dell’art. 1137 c.c. Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica, peraltro, il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d’appello, il potere di rilevarne d’ufficio la nullità, ogni qual volta la validità (o l’invalidità) dell’atto collegiale rientri tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere”. Pertanto, la Suprema Corte enunciava il principio secondo il quale “La delibera dell’assemblea di condominio, che privi un singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo; quest’ultimo, lamentando la nullità della suddetta delibera, ha perciò la facoltà di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, dovendosi imputare alla collettività condominiale gli atti compiuti e l’attività svolta in suo nome, nonché le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo. 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Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il secondo motivo di ricorso, dichiarava assorbito il primo motivo, cassava la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinviava ad altra sezione della Corte d’Appello territoriale, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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Assegnazione della casa familiare

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D. L’assegnazione della casa familiare spetta al genitore cui vengono affidati i figli?

R. In materia di separazione o divorzio, l’assegnazione della casa familiare è finalizzata alla sola tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 24254/18; depositata il 4 ottobre)

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Assicurazione RC avvocati

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D. Assicurazione RC avvocati: l’obbligo indennitario investe anche le spese processuali?

R. La compagnia di assicurazione deve garantire il legale, sempre nei limiti del massimale, di tutto il risarcimento da questi dovuto alla avversa parte vittoriosa, perciò, anche delle spese processuali quali accessori della somma liquidata in favore del terzo danneggiato. (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 24159/18; depositata il 4 ottobre)

 

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Aspetto architettonico del Condominio e sopraelevazione

Aspetto architettonico del Condominio e sopraelevazione

Aspetto architettonico del Condominio e sopraelevazione

Perché rilevi la tutela dell’aspetto architettonico di un fabbricato, agli effetti dell’art. 1127, comma 3, c.c., non occorre che l’edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicché la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia. Perciò deve considerarsi illecita ogni alterazione produttiva di tale conseguenza, anche se la fisionomia dello stabile risulti già in parte lesa da altre preesistenti modifiche, salvo che lo stesso, per le modalità costruttive o le modificazioni apportate, non si presenti in uno stato di tale degrado complessivo da rendere ininfluente allo sguardo ogni ulteriore intervento. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – n.  22156/18, depositata il 12 settembre.

Il caso. Un Condominio adiva innanzi al Tribunale competente chiedendo la demolizione di una veranda costruita da una condomina sul terrazzo di copertura dell’unità immobiliare di sua proprietà. Il giudice di prime cure accoglieva la domanda del Condominio.

Avverso tale sentenza, proponeva appello la condomina. La Corte d’Appello territoriale qualificava l’opera come sopraelevazione, con superfici interamente vetrate e profili in alluminio anodizzato bianco, in evidente distonia con i ritmi architettonici del fabbricato, per l’alterazione della scansione delle aperture del prospetto, perfettamente visibile dalle strade su cui prospetta l’edificio stesso. Da ciò, i giudici di seconde cure ritenevano provata non solo la lesione del decoro architettonico dello stabile condominiale, di cui all’art. 1120 c.c., ma anche dell’aspetto architettonico, ex art. 1127 c.c..

Avverso la sentenza di secondo grado, la condomina proponeva ricorso per cassazione censurando il riferimento alla nozione di decoro architettonico, non operando, secondo la stessa, nel caso in esame, la disciplina dell’art. 1120 c.c.. Sottolineava, infatti, la situazione di degrado del decoro del fabbricato per preesistenti modificazioni e contestava che il palazzo era già dotato di verande sin dal lontano 1969 proprio nel suo appartamento. Secondo gli Ermellini, “è noto come l’art. 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell’edificio che non la consentono, ovvero dall’aspetto architettonico dell’edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti. L’aspetto architettonico, cui si riferisce l’art. 1127, comma 3, c.c., quale limite alle sopraelevazioni, sottende, peraltro, una nozione sicuramente diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dagli artt. 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore. Il giudizio relativo all’impatto della sopraelevazione sull’aspetto architettonico dell’edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale, e verificando l’esistenza di un danno economico valutabile, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se, come nel caso in esame, congruamente motivato (cfr. Cass. Sez. 6-2, 28/06/2017, n. 16258; Cass. Sez. 2, 15/11/2016, n. 23256; Cass. Sez. 2, 24/04/2013, n. 10048; Cass. Sez. 2, 07/02/2008, n. 2865; Cass. Sez. 2, 22/01/2004, n. 1025; Cass. Sez. 2, 27/04/1989, n. 1947)”. D’altro canto, la Suprema Corte aveva anche affermato che le nozioni di aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. e di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., pur differenti, erano strettamente complementari e non potevano prescindere l’una dall’altra, sicché anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione doveva rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista. Infine, precisavano i giudici di legittimità che “perché rilevi la tutela dell’aspetto architettonico di un fabbricato, agli effetti, come nella specie, dell’art. 1127, comma 3, c.c., non occorre che l’edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicché la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia”. Perciò, doveva considerarsi illecita ogni alterazione produttiva di tale conseguenza, anche se la fisionomia dello stabile risultasse già in parte lesa da altre preesistenti modifiche, salvo che lo stesso, per le modalità costruttive o le modificazioni apportate, non si presentasse in uno stato di tale degrado complessivo da rendere ininfluente allo sguardo ogni ulteriore intervento. Secondo il Supremo Collegio, la Corte d’Appello, riconoscendo alla veranda il carattere lesivo dell’aspetto architettonico dell’edificio aveva correttamente applicato i richiamati principi.

Per tali motivi la corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

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