D. Il C.N.F. condannato dall’Antitrust alla sanzione di quasi 1 milione di euro, per violazione delle norme sulla libera concorrenza, ha visto rigettata dal Consiglio di Stato la sua tesi difensiva?

R. Si! I Giudici di Palazzo Spada hanno accolto l’appello dell’Antitrust. Il Consiglio di Stato, chiudendo la partita sul piano amministrativo, ha infatti confermato la condanna a un milione di euro inflitta nell’ottobre 2014 al Consiglio nazionale forense per l’adozione di due decisioni che, secondo l’impianto “accusatorio”, avevano l’effetto di comprimere l’autonomia degli avvocati, da una parte limitando l’utilizzo di un canale per la diffusione di informazioni sulla propria attività professionale, dall’altra reintroducendo vincoli sui minimi tariffari. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza del 22 marzo 2016 n. 1164).

Come si ricorderà l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con provvedimento 22 ottobre 2014, ha inflitto al Consiglio nazionale forense la sanzione di € 912.536,40 per asserita violazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), consistente in un’intesa restrittiva della concorrenza dovuta all’adozione di due decisioni volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, invitando il CNF anche a porre termine all’infrazione dandone adeguata comunicazione agli iscritti, ad astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata e a comunicare, entro il 28 febbraio 2015, l’adozione delle misure richieste.

Scrivono i Giudici del CdS: In definitiva, si è in presenza di una nuova modalità di pubblicità dell’attività professionale che, per quanto si discosti, in alcune sue componenti, dai modelli tradizionali, presenta i caratteri di una attività lecita espressione dei principi di libera concorrenza.”

Ed ancora:  “L’art. 2, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale) ha disposto che: «In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato (…) sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali», tra l’altro, «l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti». Il successivo comma 3 ha disposto che: «Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007».

La successiva evoluzione legislativa ha confermato e generalizzato anche per altre professioni le tariffe professionali: art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27; art. 13 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento forense).”

“Da quanto esposto risulta che il CNF, nonostante la palese contrarietà della circolare alle nuove regole di tutela della concorrenza, ha continuato ad inserire detta circolare sul proprio sito e poi nella banca dati.”

Il Consiglio di Stato così ha deciso: “P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, riuniti i giudizi:

a) rigetta l’appello proposto dal Consiglio nazionale forense, con l’atto indicato in epigrafe;

b) accoglie l’appello proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato;”.

 Il Consiglio di Stato, chiudendo la partita sul piano amministrativo, ha infatti confermato la condanna a un milione di euro inflitta nell’ottobre 2014 al Consiglio nazionale forense per l’adozione di due decisioni che, secondo l’impianto “accusatorio”, avevano l’effetto di comprimere l’autonomia degli avvocati, da una parte limitando l’utilizzo di un canale per la diffusione di informazioni sulla propria attività professionale, dall’altra reintroducendo vincoli sui minimi tariffari.