D. Chi decide in merito alla nullità della delibera condominiale?

Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica il principio dettato in materia di contratti dell’art. 1421 c.c. secondo cui è attribuito al giudice il potere di rilevare d’ufficio la nullità. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 22678/2017, depositata il 27 settembre.

Il caso. Un condomino agiva innanzi al Tribunale competente nei confronti del Condominio affinché venisse accertata la nullità della delibera condominiale con la quale il Condominio aveva annullato una precedente delibera che lo autorizzava alla realizzazione di una tettoia (pergolato) nel cortile condominiale da utilizzare quale copertura del posto auto. I Giudici di primo grado rigettavano la domanda posta dall’attore e nel contempo accoglievano la domanda riconvenzionale del Condominio per ottenere la declaratoria di illegittimità della costruzione.

Avverso la sentenza di primo grado l’attore proponeva ricorso in appello sostenendo l’illegittimità della condizione apposta alla delibera iniziale, ossia l’assenso per la costruzione della tettoia da parte dell’Istituto Autonomo per le case popolari, proprietario di oltre un terzo dell’edificio, e l’assenza di modifiche nella destinazione dell’area. La Corte d’Appello territoriale dichiarava inammissibile il gravame a causa delle novità delle questioni addotte con l’atto di appello.

Avverso la sentenza di secondo grado, l’attore proponeva ricorso per cassazione con due motivi: la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e il vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In merito al primo motivo lamentato, la Suprema Corte precisava che la questione attinente la nullità della delibera condominiale derivante dall’illiceità della condizione apposta alla prima delibera, che subordinava l’autorizzazione alla realizzazione del pergolato al consenso dello I.A.C.P., non poteva ritenersi nuova ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. e, quindi, inammissibile. Pertanto, doveva escludersi la novità della domanda, agli effetti dell’art. 345 c.p.c in quanto la domanda posta nel giudizio di appello era comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio con la citazione introduttiva e per questo motivo non aveva determinato né la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, né l’allungamento di tempi processuali. Altresì, aveva chiarito che “Il divieto di proporre domande nuove in appello implica che è preclusa la facoltà di avanzare pretese che involgano la trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda proposta in primo grado, ma non quella di prospettare rilievi che importino una diversa qualificazione giuridica del rapporto e l’applicazione di una norma di diritto non invocata in primo grado, tanto più quando la nuova ragione giuridica dedotta in sede di gravame derivi da una norma di legge che il giudice è tenuto ad applicare”. Anche il secondo motivo di doglianza veniva accolto sulla base del fatto che il ricorrente, con l’appello, aveva prospettato un presunto ulteriore vizio di nullità della delibera condominiale, rispetto a quelli fatti valere con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado. Secondo gli Ermellini, anche alle delibere condominiali, si applicava il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 c.c. secondo il quale era attribuito al giudice il potere di rilevare d’ufficio ogni possibile causa di nullità e di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante.

Per questi motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’Appello.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

 

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