Condominio: fino a prova contraria, androne e terrazzo sono parti comuni

La presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 cod. civ. può essere superata se la cosa (nel caso di specie androne e terrazzo) per obiettive caratteristiche strutturali serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile-2, ordinanza n. 23300/2017, depositata il 5 ottobre.

Il caso. Un condomino, comproprietario con le convenute delle parti comuni dell’edificio, conveniva in giudizio davanti al Tribunale competente le stesse lamentando che a seguito della modifica delle chiavi del portoncino di ingresso a loro iniziativa gli era stato precluso l’accesso all’androne condominiale, ove erano collocati i contatori dell’acqua, nonché l’accesso al terrazzo dello stesso edificio, ove era installata la propria antenna televisiva e, pertanto, chiedeva che venisse dichiarato il proprio diritto ad accedere liberamente, uti dominus, nelle parti comuni di tale edificio.

Si costituivano le convenute, contestando le domande di parte attrice e chiedendo il rigetto, rilevando che l’attore non aveva alcun diritto sulle parti comuni dello stabile, essendo tale edificio di loro proprietà esclusiva ed, eccependo, in subordine, l’avvenuta usucapione.

Il Tribunale rigettava le domande dell’attore e lo condannava al pagamento delle spese del giudizio.

Il soccombente, quindi, appellava la predetta sentenza. La Corte di territoriale, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava il diritto dell’appellante ad accedere all’androne ed al terrazzo di copertura dell’edificio oggetto del giudizio e condannava le appellate al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. In particolare, i giudici di secondo grado affermavano che le parti in oggetto, androne e terrazzo di copertura, erano pacificamente parti comuni ai sensi e per gli effetti dell’art. 1117 c.c. e, quindi, le convenute non avevano alcun diritto di escludere l’appellante dal godimento di detti beni.
Avverso tale sentenza, le soccombenti proponevano ricorso per cassazione con due motivi di doglianza.
Il primo motivo di doglianza consisteva nel lamentare come i giudici di seconde cure non avessero tenuto conto, nella propria sentenza, della circostanza che la presunzione ex art. 1117 c.c. potesse comunque essere superata se “la cosa per obiettive caratteristiche strutturali serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile venendo meno in questi casi il presupposto di una contitolarità necessaria”. Secondo le ricorrenti, dunque, nel caso in questione il terrazzo e l’androne sarebbero stati asserviti unicamente a loro, consentendo di escludere la comunione di cui al codice civile.

Con il secondo di motivo di doglianza, poi, le ricorrenti lamentavano come la Corte d’appello non avesse tenuto conto delle caratteristiche strutturale delle summenzionate strutture, che a loro detta avrebbero comprovato la proprietà esclusiva.
I giudici di legittimità rigettavano il primo motivo di ricorso essenzialmente perché l’assunta violazione di legge si basava e presupponeva una diversa valutazione e ricostruzione delle risultanze acquisiste nel giudizio di merito, censurabile – e solo entro certi limiti – sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detto motivo. Il Supremo Collegio affermava che ”in tema di ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa”. A prescindere dalla validità delle eccezioni, quindi, il ricorso in Cassazione doveva  necessariamente vertere sulla valutazione delle norme applicate, mentre domandare un riesame delle circostanze di fatto portava necessariamente al rigetto del ricorso. Nel caso de quo, quindi, le ricorrenti non potevano domandare alla Suprema Corte una diversa valutazione in merito alla proprietà privata del terrazzo e dell’androne, dato che tale argomentazione avrebbe dovuto essere fatta nei primi due gradi di giudizio. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la Corte distrettuale, aveva accertato che i beni di che trattasi erano destinati all’uso comune, specificando che neppure le appellate (odierne ricorrenti) avevano contestato l’oggettiva destinazione all’uso comune dell’area dell’ingresso e del terrazzo. Infine, il secondo motivo veniva interamente assorbito dal primo.

Per tali motivi la Cassazione rigettava integralmente il ricorso e condannava i soccombenti a risarcire le spese processuali.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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