Licenziamento disciplinare:  l’immediatezza della contestazione è relativa

In caso di licenziamento disciplinare, il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poiché si deve tenere conto della complessità dell’organizzazione aziendale e delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 29056/2017, depositata il 5 dicembre.

Il caso. La Corte di Appello territoriale confermava la pronuncia emessa dal Tribunale competente con la quale era stato dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato da una società ad un proprio dirigente che impugnava il provvedimento espulsivo lamentando in primis la tardività della contestazione disciplinare rispetto all’addebito e in secundis la sproporzionalità tra addebito e sanzione disciplinare espulsiva.

Avverso tale sentenza la ricorrente proponeva ricorso per cassazione con due motivi. Con il primo motivo la società ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. (art. 7 St. lav. e artt. 27 CCNL Dirigenti 25.11.1009 e 61 CCNL Attività Ferroviario del 16.4.2003) in ordine alla tempestività della contestazione disciplinare. In sostanza deduceva che erroneamente la Corte territoriale aveva individuato il momento della conoscibilità dei fatti, da cui far discendere la verifica sulla tempestività dell’incolpazione, che andava individuato nel giugno 2010 e non in precedenza (febbraio 2009). Con il secondo motivo la società censurava la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. (artt. 2119 e 2106 c.c.) in ordine alla legittimità e proporzionalità del licenziamento. Sosteneva, infatti, l’erroneità della gravata sentenza nella parte in cui non era stato ritenuto legittimo per giusta causa il recesso che doveva essere valutato, quanto alle mancanze addebitate al lavoratore, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo; precisava, in seguito, che anche se non si fosse voluta ritenere operante la previsione di cui all’art. 2119 c.c., comunque il licenziamento avrebbe dovuto considerarsi giustificato.

Il primo motivo veniva ritenuto infondato dalla Suprema Corte, la quale riaffermava un principio ormai consolidato dalla giurisprudenza in materia di licenziamento disciplinare ovvero” l’immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida (cfr. tra le altre Cass. n. 19115/2013). Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per potere contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (cfr. Cass. n. 13167 del 2009)”. Il Supremo Collegio continuava affermando che  “il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poiché si deve tenere conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessità dell’organizzazione aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata priva di vizi logici (cfr. tra le altre Cass. 12.1.2016 n. 281)”. Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva avuto contezza del fatto suscettibile di sanzione disciplinare già nel dicembre 2008, grazie ad una relazione della Commissione di Inchiesta, poi integrata nel febbraio 2009, tuttavia la contestazione era intervenuta solo nel luglio 2010, impedendo una buona difesa del lavoratore (i fatti contestati erano molto lontani nel tempo) e instaurando in lui la ragionevole convinzione che il fatto potesse non avere rilevanza disciplinare. Ne conseguiva che, ove la contestazione fosse tardiva, l’esercizio del potere disciplinare era precluso e la sanzione irrogata era illegittima. Nel caso di specie, quindi, era illegittimo il licenziamento.

Con riguardo al secondo motivo, questo veniva dichiarato assorbito dal primo. Gli Ermellini ritenevano che qualsiasi eccezione sulla sproporzionalità della sanzione espulsiva rispetto all’addebito contestato era irrilevante o assorbibile e, se la contestazione non era immediata, il potere disciplinare non poteva essere esercitato. Quindi, la violazione delle garanzie procedurali previste dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori precludeva la possibilità di valutare le condotte che avevano causato il licenziamento (o comunque la sanzione disciplinare conservativa).

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il primo motivo, dichiarava assorbito il secondo e condannava la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità. 

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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