D. E’ esclusa la punibilità per aver agito in presenza di un pericolo grave e inevitabile per la libertà ol’onere creato dallo stesso agente?

D. E’ esclusa la punibilità per aver agito in presenza di un pericolo grave e inevitabile per la libertà ol’onere creato dallo stesso agente?

R. La causa di non punibilità di cui all’art. 3847, comma 1, c.p. è applicabile anche laddove lo stato di pericolo per la libertà o l’onore sia stato cagionato volontariamente dall’agente.  

(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 34543/19; depositata il 29 luglio)

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Cessa la locazione con il pignoramento?

Cessa la locazione con il pignoramento?

CIl pignoramento di alcune quote di proprietà dell’immobile determina l’automatica cessazione di efficacia del contratto di locazione, in situazione di libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale, laddove manchi l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dall’art. 560, comma 2, c.p.c.. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 19522/2019, depositata il 19 luglio.

Il caso. Il fatto de quo risale al 31.5.2015, data di scadenza naturale di un contratto di locazione di un immobile appartenente a tre comproprietari ed il 50% delle quote, prima della citata data, era stato sottoposto a pignoramento. Conseguentemente, nei termini di legge, il titolare del residuo 50% delle quote aveva manifestato al conduttore la propria volontà di non rinnovare il rapporto alla seconda scadenza. Successivamente, lo stesso aveva agito in giudizio per far rilevare l’intervenuta, automatica, cessazione del contratto, non essendo intervenuta l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la rinnovazione della locazione, ex art. 560 c.p.c.. Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda.

Avverso tale sentenza, il conduttore interponeva appello. La Corte d’Appello territoriale riformava l’appellata sentenza e in merito al rilievo del documentato dissenso dei comunisti titolari delle quote pignorate aveva ritenuto carente di legittimazione attiva il terzo locatore, in assenza dell’autorizzazione del giudice, prevista dall’art. 1105 c.c., per il caso di dissenso tra i comunisti, in ordine alla gestione della cosa comune.

Avverso tale sentenza, il locatore proponeva ricorso per cassazione con tre motivi di doglianza: 1. omesso esame e vizio di motivazione in ordine all’inammissibilità dell’appello, per difetto dei requisiti di forma e contenuto; 2. omesso esame di un fatto decisivo controverso, costituito dall’applicazione ed interpretazione degli artt. 560 e 632 c.p.c., nonché per omesso esame del tema della mancata autorizzazione del giudice dell’esecuzione alla rinnovazione della locazione;  3. violazione dell’art. 1105 c.c., per mancata correlazione con l’art. 560 c.p.c. ed omessa applicazione dell’art. 1105 c.c. Il Supremo Collegio, riteneva inammissibile il primo motivo poiché l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integrava una violazione dell’art 112 c.p.c. da far valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., mentre, esaminati congiuntamente gli altri due motivi di doglianza, li accoglieva. I Giudici di legittimità, preliminarmente consideravano come, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, “la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione, ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 28 e 29, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dell’art. 560 c.p.c., comma 2 (Sez. U, Sentenza n. 11830 del 16/05/2013)”. In coerenza a tale premessa, avevano quindi ritenuto (sempre in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo) che la rinnovazione tacita del contratto alla seconda scadenza contrattuale, a seguito del mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di disdetta (non motivata) del rapporto ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 28, comma 1, costituiva una libera manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della menzionata facoltà da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dall’art. 560 c.p.c., comma 2 (Sez. 3, Sentenza n. 11168 del 29/05/2015)”. In forza di tali premesse, era agevole concludere che, nel caso di specie, in corrispondenza del terzo rinnovo della locazione, ovvero, in situazione di libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale, sopravvenuto il pignoramento di alcune quote di comproprietà, il mancato intervento di alcuna autorizzazione del giudice dell’esecuzione, doveva ritenersi tale da aver determinato l’automatica cessazione di efficacia del contratto, poiché la comune volontà dei comproprietari locatori si sarebbe dovuta necessariamente formare previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione. La Suprema Corte, infine, affermava che “allo stesso modo, nessun rilievo può essere attribuito (al prospettato fine di far rivivere, a seguito dell’intercorsa estinzione della procedura esecutiva, il contratto di locazione nelle more definitivamente cessato) alla previsione dell’art. 632 c.p.c. (che sancisce l’inefficacia degli atti compiuti, là dove l’estinzione del processo esecutivo si verifichi prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione dei beni staggiti), non essendo stato nella specie propriamente compiuto alcun atto della procedura in ipotesi destinato a determinare la cessazione dell’efficacia del contratto di locazione (e di cui predicare l’eventuale inefficacia ai sensi dell’art. 632 c.p.c.) e dovendo in ogni caso ritenersi (in forza di un elementare principio di certezza delle situazioni giuridiche sostanziali) che l’estinzione del procedimento esecutivo non valga a comportare l’inefficacia degli atti ritualmente posti in essere nel corso del processo esecutivo, là dove dal relativo compimento sia eventualmente derivata la legittima attribuzione di diritti in favore di terzi”.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il secondo e il terzo motivo; dichiarava inammissibile il primo; cassava la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava alla Corte d’appello territoriale, in diversa composizione, cui era altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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D.Apre con mossa fulminea la borsa della vittima e preleva il portafogli: è furto con destrezza?

D.Apre con mossa fulminea la borsa della vittima e preleva il portafogli: è furto con destrezza?

R. L’episodio si è verificato su un autobus della Capitale. La donna che ha messo a segno il colpo è stata prontamente fermata ed è finita sotto processo per furto. Inevitabile la condanna, alla luce del quadro probatorio. Riconosciuta anche l’aggravante della destrezza.  

(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 34825/19; depositata il 30 luglio)

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D. In caso di mancato pagamento della fattura, l’IVA va comunque versata?

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R. In tema di delitto di omesso versamento dell’IVA, previsto e punito dall’art. 10-ter, d.lgs. n. 74/2000, l’emissione della fattura, anche se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta, sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura, né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo.

(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 35193/19; depositata il 1° agosto)

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D. Auto danneggiata ripresa dalla videosorveglianza: sussiste l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede?

D. Auto danneggiata ripresa dalla videosorveglianza: sussiste l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede?

R. La sussistenza di un sistema di videosorveglianza in grado di registrare il delitto di danneggiamento di un’autovettura parcheggiata su una strada pubblica non esclude l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, così come il fatto che l’auto sia parcheggiata di fronte all’abitazione del proprietario.  

(Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 35400/19; depositata il 1° agosto)

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È valida la lettera di licenziamento inviata al vecchio indirizzo?

È valida la lettera di licenziamento inviata al vecchio indirizzo?

VIn tema di procedimento disciplinare e comunicazione degli addebiti, nonché del conclusivo licenziamento, laddove le lettere raccomandate non vengano consegnate al lavoratore per assenza sua e delle altre persone abilitate a riceverle presso il domicilio dichiarato al datore di lavoro, la comunicazione si presume conosciuta alla data in cui viene rilasciato l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale. Questo è quanto stabilito dalla  Corte di Cassazione, sez. Lavoro,  sentenza n. 20519/2019, depositata il 30 luglio.

Il caso. La Corte d’Appello territoriale confermava la decisione del Tribunale competente che aveva rigettato il ricorso di un lavoratore che aveva chiesto si accertasse l’illegittimità del licenziamento intimatogli dal datore di lavoro per prolungate assenze ingiustificate. Secondo i Giudici di seconde cure, gli atti del procedimento disciplinare e la conclusiva lettera di licenziamento erano stati inviati agli indirizzi via via dichiarati dal lavoratore all’azienda e dunque, pertanto, in applicazione dell’art. 1335 c.c., dovevano ritenersi conosciuti o comunque conoscibili da parte del lavoratore tenuto conto anche del fatto che la società datrice aveva inviato tutte le comunicazioni ad entrambi gli indirizzi conosciuti. Inoltre, ravvisavano nella condotta tenuta dal lavoratore un comportamento negligente e pregiudizievole della regolare organizzazione dell’attività produttiva dell’azienda.

Avverso tale sentenza, il lavoratore proponeva ricorso per cassazione. Secondo i Giudici di legittimità, andava ribadito che “ai sensi dell’art. 1335 c.c., ogni dichiarazione diretta a una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui perviene all’indirizzo di questa. Si tratta di presunzione che opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione in detto luogo, sicché ne consegue che, ove l’invio avvenga con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al lavoratore per l’assenza sua e delle persone abilitate a riceverla, la stessa si presume conosciuta alla data in cui, al suddetto indirizzo, è rilasciato l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale (cfr. Cass. 28/09/2018 n. 23589) con la conseguenza che incombe al destinatario l’onere di superare la presunzione di conoscenza provando di essersi trovato, senza propria colpa, nell’impossibilità di avere conoscenza della dichiarazione medesima, fornendo la dimostrazione di un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà quale la forzata lontananza in luogo non conosciuto o non raggiungibile. Tale impossibilità non è configurabile nell’ipotesi in cui il collegamento del soggetto con il luogo di destinazione della dichiarazione non rimanga interrotto in modo assoluto (cfr. Cass. 28/01/1985 n. 450, 02/2/1982 n. 6559). Tale presunzione non opera nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia a conoscenza dell’allontanamento del lavoratore dal domicilio e dunque dell’impedimento dello stesso a prendere conoscenza della contestazione inviata (cfr. Cass. 27/02/2015 n. 3984)”. Nel caso de quo, i Giudici di prime e seconde cure, avevano accertato che il lavoratore che ne era onerato non aveva provveduto a comunicare alla società il cambio di residenza secondo la procedura contrattualmente prevista. Altresì, il giudice di appello aveva verificato che le certificazioni telematiche temporalmente contestuali all’invio della contestazione di addebito recavano quale “residenza e domicilio abituale” del lavoratore proprio l’indirizzo a cui la contestazione era stata inviata. In tale situazione di fatto non poteva essere addebitata al datore di lavoro, che peraltro nel caso di specie si era fatto carico di comunicare gli atti del procedimento a tutti gli indirizzi a lui conosciuti, una condotta che violasse i canoni di correttezza e buona fede che dovevano assistere l’esecuzione del rapporto e la presunzione di conoscenza stabilita dall’art. 1335 c.c., operava per il solo fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione all’indirizzo del destinatario, dovendosi per tale intendere il luogo più idoneo per la ricezione e cioè il luogo che, in base ad un criterio di collegamento ordinario (dimora o domicilio) o di normale frequenza (luogo di esplicazione di un’attività lavorativa) o per preventiva comunicazione o pattuizione dell’interessato, risulti in concreto nella sfera di dominio o controllo del destinatario. Pertanto, veniva escluso ogni dubbio sulla regolarità del procedimento che aveva portato al licenziamento.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

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