Rifacimento facciata,benefici fiscali e ratifica dell’assemblea delle spese autorizzate dai condomini

Rifacimento facciata,benefici fiscali e ratifica dell’assemblea delle spese autorizzate dai condomini

In caso di mancata nomina dell’amministratore, l’assemblea, ai sensi dell’art. 1135 c.c., ha sempre il potere di ratificare la spesa effettuata direttamente da parte di alcuni condomini in ordine ai lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni, ancorché non indifferibili ed urgenti. Ne consegue che, in caso di ritardo nella partecipazione delle spese di riparazione e la conseguente impossibilità di documentarle, non spetta il risarcimento per la mancata fruizione dei benefici fiscali. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 6,  ordinanza n. 10845/2020 depositata l’8 giugno.

Il caso. La Corte d’Appello distrettuale accoglieva l’appello formulato dal Condominio contro la sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale competente e respingeva l’opposizione avanzata dalla condomina contro il decreto ingiuntivo relativo ai contributi per il rifacimento della facciata condominiale, come da delibera assembleare. In particolare, secondo la Corte territoriale, era stata raggiunta la prova della imputabilità al Condominio della spesa per il rifacimento della facciata condominiale, in quanto, seppur il contratto d’appalto aveva inizialmente visto come committenti alcuni singoli condomini, di seguito era stato nominato un amministratore del Condominio che aveva curato l’esecuzione del rapporto con l’impresa incaricata. Ad avviso della Corte d’Appello, le opere di manutenzione straordinaria della facciata erano comunque essenziali e necessarie, per lo stato in cui versava la stessa, sicché era legittima la delibera dell’assemblea volta a ripartire le relative spese benché l’intervento non fosse stato inizialmente approvato collegialmente. La legittimità di tale delibera veniva ricavata anche dal passaggio in giudicato della sentenza con cui il Giudice di prime cure aveva rigettato l’impugnativa della deliberazione in questione. Pertanto, la Corte d’Appello riteneva infondata la domanda riconvenzionale risarcitoria della condomina per la mancata fruizione dei benefici fiscali, dovendo la stessa, ove davvero non fosse più in grado di beneficiare delle agevolazioni, imputare a se stessa il ritardo nella partecipazione delle spese di riparazione e la conseguente impossibilità di documentarle. 

Avverso tale sentenza la condomina proponeva ricorso per cassazione eccependo, con il primo motivo, che “le prove raccolte, ivi comprese le fatture emesse dalla ditta appaltatrice e dal Direttore dei Lavori” erano in direzione contraria alla imputabilità della spesa di manutenzione della facciata al Condominio, invece ravvisata dalla Corte d’Appello. In particolare, evidenziava la ricorrente che le fatture emesse dall’impresa appaltatrice erano state intestate al Condominio, pur provenendo i pagamenti dai singoli condomini, e non dall’amministratore; del resto, la rappresentanza formale del Condominio, con la nomina di un amministratore, si sarebbe perfezionata soltanto dopo la conclusione dei lavori. L’assemblea, secondo la ricorrente, avrebbe dunque ratificato spese sostenute non dall’amministratore, ma dai singoli condomini committenti, sicché soltanto costoro avrebbero potuto agire per il rimborso. Con il secondo motivo, la ricorrente precisava di aver rilevato la nullità della delibera in questione, in quanto inerente altresì a lavori sui balconi di proprietà esclusiva, sicché tale nullità non poteva dirsi coperta dal giudicato maturato sulla impugnazione della medesima deliberazione. Con il terzo motivo, la ricorrente eccepiva che la Corte d’Appello aveva erroneamente escluso il nesso causale tra il comportamento messo in atto dai condomini, che avevano affidato i lavori di rifacimento della facciata senza approvazione assembleare, e la decadenza dal beneficio delle detrazioni fiscali. Secondo il Supremo Collegio, “l’assemblea, ai sensi dell’art. 1135 c.c., nell’esercizio dei poteri di gestione del condominio, ha sempre il potere di ratificare la spesa effettuata dall’amministratore, ovvero, in caso di mancata nomina dello stesso, direttamente da parte di alcuni condomini (come si assume avvenuto nel caso in esame) in ordine a lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni, ancorché non indifferibili ed urgenti. Non viene infatti in gioco, nel presente giudizio, la pretesa di rimborso azionata dai singoli condomini, in base a quanto previsto dall’art. 1134 c.c., ma proprio il potere assembleare di approvazione, seppur in via di ratifica, delle opere di manutenzione straordinaria e di ripartizione delle rispettive spese tra tutti i partecipanti”. Non assumeva alcuna decisività la circostanza che il Condominio avesse proceduto alla nomina dell’amministratore soltanto dopo la conclusione dei lavori, in quanto l’Amministratore, per effetto della nomina ex art. 1129 c.c., aveva soltanto una rappresentanza “ex mandato” dei vari condomini; sicché, la sua mancata nomina non privava questi ultimi del potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti, trovando piuttosto applicazione l’art. 1105 c.c., il quale stabiliva le regole di amministrazione della cosa comune (applicabile, in forza del rinvio contenuto nell’art. 1139 c.c. in materia condominiale), ferma la configurabilità di una ratifica assembleare dell’operato negoziale dei singoli partecipanti mediante approvazione del riparto dei rendiconti di spesa (Cass. Sez. 6-2, 03/04/2012, n. 5288). Al riguardo, la Corte territoriale aveva giustamente affermato che la ricorrente doveva imputare a sé il ritardo nella partecipazione delle spese e la conseguente impossibilità di documentare le stesse allo scopo di poter beneficiare delle detrazioni fiscali. Infatti, il singolo condomino che, in ipotesi di lavori eseguiti su parti condominiali, non avesse in concreto provveduto ai relativi pagamenti, contestando la sussistenza del proprio obbligo di contribuzione (per essere state le opere di manutenzione commissionate da altri comproprietari), e non si fosse potuto perciò avvalere delle detrazioni in ragione della spesa sostenuta per l’intervento edilizio, in forza dell’art. 1 della L. n.  449/1997, non poteva accampare alcuna pretesa risarcitoria nei confronti dell’intero Condominio, essendo stato proprio l’inadempimento dell’interessato la causa che aveva determinato la perdita della facoltà di detrarre il relativo costo dall’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di legittimità.

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Condominio: chi risponde per i debiti pregressi relativi all’unità immobiliare?

Condominio: chi risponde per i debiti pregressi relativi all’unità immobiliare?

L’acquirente dell’unità immobiliare che sia subentrato nel Condominio, non può essere ritenuto obbligato in via diretta verso il terzo creditore relativamente ai debiti sorti in un momento precedente  all’acquisto. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2 ordinanza n. 12580/2020, depositata il 25 giugno.

Il caso. Un condomino, partecipante ad un Condominio, proponeva opposizione al precetto notificatogli da un avvocato per il pagamento della somma di Euro 8.270,66, quale quota millesimale di sua competenza del maggior credito di Euro 99.124,98 riconosciuto a favore del medesimo avvocato nel decreto ingiuntivo emesso a carico del Condomino a titolo di corrispettivo di attività giudiziali e stragiudiziali svolte tra il 2002 ed il 2008. A fondamento dell’opposizione il condomino sosteneva, tra le altre ragioni, di non essere tenuto al pagamento pro quota del suddetto debito condominiale per essere tale debito sorto quando egli non era ancora condomino, avendo acquistato il proprio immobile nel 2013. Il Tribunale competente accoglieva l’opposizione al precetto.

Avverso tale sentenza l’avvocato  interponeva gravame. La Corte d’Appello distrettuale riformava interamente la sentenza di primo grado. Il Giudice di seconde cure fondava il proprio convincimento su una serie di considerazioni che facevano propendere la bilancia a favore del creditore. Dopo aver premesso che l’art. 63 disp. att. c.c. opererebbe solo nei rapporti tra condomino e Condominio e non anche nei rapporti tra Condomino e terzi creditori del Condominio, riteneva il condomino fosse obbligato nei confronti dell’avv. in forza del disposto dell’art. 1104 c.c., comma 3, applicabile al Condominio per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c.. In particolare, secondo la Corte d’Appello distrettuale, la disposizione per cui “il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati” induceva a ritenere il cessionario obbligato verso i terzi in solido con cedente; né a tale conclusione ostava il riferimento letterale della menzionata disposizione ai “contributi”, in quanto, si leggeva nella sentenza di secondo grado, “la comunione non è dotata (salvo casi marginali) di una struttura organizzativa complessa o di criteri di ripartizione degli oneri particolarmente elaborati… così che la gestione si esaurisce nella ripartizione degli oneri tra i partecipanti in proporzione delle rispettive quote”. A sostegno della propria tesi la Corte d’appello adduceva altresì l’esigenza, di carattere pratico, di non caricare il terzo creditore dell’onere, potenzialmente molto gravoso, di accertare chi fossero i componenti della compagine condominiale al momento dell’insorgenza dell’obbligazione.

Avverso tale sentenza il condomino proponeva ricorso per cassazione con un solo motivo, ovvero denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1139 c.c. e dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo il cessionario di una unità immobiliare di un fabbricato condominiale obbligato, ai sensi dell’art. 1104 c.c., a rispondere dei debiti del condominio verso terzi pur quando si trattasse di debiti sorti anteriormente al sua acquisto. Secondo la Suprema Corte l’assunto dell’impugnata sentenza contrastava col tenore letterale della disposizione dettata dall’art. 1104 c.c., che si riferiva ai “contributi” dovuti non versati. Equiparare, ai fini della responsabilità del cessionario di un’ unità condominiale, la nozione di “contributi” con quella di quota millesimale del credito vantato dal terzo nei confronti della comunione contrastava con il canone ermeneutico, fissato nell’art. 12 preleggi, del “significato proprio delle parole”; il debito per “contributi” era infatti, per definizione, un debito nei confronti degli altri comunisti, non un debito nei confronti dei terzi. D’altra parte, la Corte osservava come “La costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la appartenenza di questo al condominio, in quanto è comunque la contitolarità delle parti comuni che ne costituisce il fondamento e l’amministratore può vincolare i singoli comunque nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli (Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148). Non può pertanto essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale ex art. 63 disp. att. c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente i lavori”. Secondo gli Ermellini, quanto all’assunto sviluppato nella memoria depositata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., alla cui stregua la decisione della Corte d’appello era conforme all’orientamento espresso da questa Corte nella sentenza n. 24654/10, era sufficiente rilevare che esso si fondava su una lettura errata tale ultima sentenza. Nella sentenza n. 24654/10, infatti, si instaurava una distinzione tra: a) spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune; b) spese attinenti a lavori che comportino una innovazione o che, seppure diretti alla migliore utilizzazione delle cose comuni od imposti da una nuova normativa, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell’edificio. Tale distinzione concerneva l’individuazione del momento in cui nasceva l’obbligazione condominiale, che, per le spese di cui sub a), coincideva con il compimento effettivo dell’attività gestionale mentre, per le spese di cui sub b), coincideva con la data di approvazione della delibera condominiale (avente valore costitutivo) che disponeva l’esecuzione degli interventi. Ma, in entrambi i casi, il soggetto su cui gravava il debito era colui che partecipava al Condominio nel momento di insorgenza dell’obbligazione, quale che fosse tale momento (cfr. sent. n. 24654/10, pag. 6, § 1.2: “In generale il condomino è tenuto a contribuire nella spesa la cui necessità maturi e risulti quando egli è proprietario di un piano o di una porzione di piano facente parte del condominio: e siccome l’obbligo nasce occasione rei e propter rem, chi è parte della collettività condominiale in quel momento deve contribuire”).

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava l’impugnata sentenza e rinviava alla Corte di Appello distrettuale, in altra composizione.

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Legittimazione dell’amministratore di Condominio a partecipare alla procedura di mediazione obbligatoria

Legittimazione dell’amministratore di Condominio a partecipare alla procedura di mediazione obbligatoria

La controversia condominiale avente ad oggetto la domanda avanzata dall’amministratore di condominio per conseguire la condanna di una condomina al pagamento dei contributi è soggetta, in base all’art. 71-quater, comma 1, disp. att., alla condizione di procedibilità dell’esperimento di mediazione. A tale procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore previa però delibera assembleare da assumere con maggioranza ex art. 1136, comma 2, c.c.. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI civile – 2, ordinanza n. 10846/2020, depositata l’8 giugno.

Il caso.  Un Condominio conveniva in giudizio una condomina al fine di farla condannare al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata con la deliberazione assembleare di approvazione del consuntivo. Il Giudice di Pace competente dichiarava improcedibile la domanda attorea in quanto il Condominio, pur invitato dal giudice, non aveva attivato la procedura di mediazione obbligatoria, a causa della mancata adozione da parte dell’assemblea condominiale, nonostante il rinvio dell’incontro di mediazione, della delibera di autorizzazione all’amministratore di parteciparvi.

Avverso tale sentenza il Condominio interponeva gravame. Ad avviso del Tribunale, meritava conferma la soluzione della questione raggiunta dal primo giudice, visto, appunto, che la procedura di mediazione obbligatoria era rimasta infruttuosa per il difetto dell’autorizzazione assembleare alla partecipazione dell’amministratore (essendo la relativa riunione andata deserta). La decisione del giudice di appello poggiava sul testo dell’art. 71 quater c.c., comma 3, disp. att., dovendosi nella specie dire mancata la procedura di mediazione, che si era chiusa senza neppure sentire le parti e tentare la conciliazione a seguito dell’inerzia dell’assemblea nel concedere la necessaria autorizzazione. Secondo il Tribunale, occorreva distinguere il profilo della autonoma legittimazione processuale dell’amministratore ad agire in giudizio per la riscossione dei contributi dalla legittimazione dello stesso a partecipare alla procedura di mediazione, spiegandosi nel secondo caso l’indispensabilità della delibera dell’assemblea in base all’esigenza di conferire a chi interveniva in mediazione la “possibilità di disporre della lite, vale a dire di negoziare sulla res controversa, salva poi la ratifica da parte dell’assemblea della proposta di mediazione”. La sentenza impugnata osservava, dunque, come il mancato concreto svolgimento della mediazione fosse da addebitare al Condominio attore, essendo rimasto insoddisfatto l’obbligo previsto dal D. Lgs. n. 28 del 2010, art. 5 e successive modificazioni di attivare la procedura di mediazione, obbligo che comportava non soltanto l’introduzione della stessa, ma anche di presenziarvi “munito dei necessari poteri, essendo questi necessari per il buon esito del procedimento”.

Avverso tale decisione, il Condominio proponeva ricorso per cassazione. Gli Ermellini rilevavano immediatamente come il Tribunale competente avesse comunque fatto corretta applicazione del testo dell’art. 71 quater disp. att. c.c. (inserito dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220). Tale norma al comma 1 indicava quali fossero le “controversie in materia di condominio” che, ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1, erano soggette alla condizione di procedibilità dell’esperimento del procedimento di mediazione, tra le quali certamente rientrava la domanda avanzata dall’amministratore di Condominio per conseguire di condanna di una condomina al pagamento dei contributi (come nel caso in esame). Il medesimo art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, aggiungeva, quindi, che “al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2”. L’art. 71 quater, comma 4, contemplava poi l’ammissibilità di una proroga del termine di comparizione davanti al mediatore per consentire di assumere la deliberazione autorizzativa dell’assemblea, alla quale, infine, il comma 5 di tale disposizione rimetteva l’approvazione della proposta di mediazione, da votare con la medesima maggioranza occorrente per garantire la partecipazione dell’amministratore alla procedura. L’art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, lettera, portava, allora, a concludere, identicamente a quanto sostenuto dal Tribunale, che la condizione di procedibilità della “controversie in materia di condominio” non potesse dirsi realizzata allorché, come avvenuto nel caso in esame, all’incontro davanti al mediatore l’amministratore partecipasse sprovvisto della previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. comma 2, non essendo in tal caso “possibile” iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo svolgimento della stessa, come supponeva il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 8, comma 1. Non rilevava nel senso di escludere la necessità della delibera assembleare ex art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, il fatto che si trattasse, nella specie, di controversia che altrimenti rientrava nell’ambito delle attribuzioni dell’amministratore, in forza dell’art. 1130 c.c., e con riguardo alla quale perciò sussisteva la legittimazione processuale di quest’ultimo ai sensi dell’art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all’ambito della rappresentanza istituzionale dell’amministratore, questi non poteva partecipare alle attività di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, era altrimenti comunque sprovvisto del potere di disporre dei diritti sostanziali che erano rimessi alla mediazione, e, dunque, privo del potere occorrente per la soluzione della controversia. Tale evenienza non corrispondeva, dunque, all’ipotesi contemplata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 2 bis, il quale disponeva che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, in quanto, ancor prima che mancato, qui l’accordo amichevole di definizione della controversia era privo di giuridica possibilità. Spettava infatti all’assemblea (e non all’amministratore) il “potere” di approvare una transazione riguardante spese d’interesse comune, ovvero di delegare l’amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti dell’attività dispositiva negoziale affidatagli. Parimenti, l’art. 1129 c.c., comma 9 (sempre introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220) obbligava l’amministratore ad “agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale sia compreso il credito esigibile, a meno che non sia stato espressamente dispensato dall’assemblea”, non rientrando, quindi, tra le attribuzioni dell’amministratore il potere di pattuire con i condomini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi senza apposita autorizzazione dell’assemblea.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di legittimità.

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D. Lei non sapeva che lui non voleva figli: il matrimonio è nullo solo per il Tribunale ecclesiastico?

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In tema di delibazione di sentenza ecclesiastica con cui sia stata dichiarata la nullità del matrimonio, l’ipotesi ostativa della contrarietà all’ordine pubblico per ragioni inerenti alla tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole può essere rilevata d’ufficio.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 11633/20; depositata il 16 giugno)

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D. L’abbandono del tetto coniugale è causa sufficiente di addebito della separazione?

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R. Il volontario abbandono del tetto coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione in quanto comporta l’impossibilità della convivenza. Tuttavia, a chi ha posto in essere l’abbandono è lasciata la possibilità di provare che lo stesso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 12241/20; depositata il 23 giugno)

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D. Riconosce il figlio pur sapendo di non essere il padre biologico: è legittimo cambiare idea?

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La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la censura all’art. 263 c.c. laddove non esclude la legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio da parte di chi lo abbia effettuato nella consapevolezza della sua non veridicità.

(Corte Costituzionale, sentenza n. 127/20; depositata il 25 giugno)

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Gentile utente, per la  redazione di una lettera e/o diffida stragiudiziale e/o atto a cura di uno dei nostri Avvocati specializzati il costo è pari ad Euro 50,00 (cinquanta/00 cent.). IVA e CPA comprese 

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Intestato a: Luigi CIAMBRONE

Il servizio deve richiedersi e si svolge  a mezzo mail a info@avvocatoexpress.it

Una volta registrato il pagamento (deve inviarci distinta di versamento se ha pagato tramite bonifico) Avvocato Express invierà mail in cui chiederá chiarimenti per redigere l’assistenza scritta (lettera, diffida ecc.). Sempre tramite mail (entro e non oltre 3 ore dalla mail/registrazione del pagamento salvo particolare complessità ) l’utente riceverà la nota legale scritta in formato word da utilizzare nel suo caso. L’utente potrà, poi, richiedere chiarimenti sino a tre mail di colloquio comprese nell’assistenza.

Attendiamo la sua ricevuta di pagamento, se ha pagato tramite bonifico, per perfezionare l’incarico.

Se ha pagato, invece, con PayPal appena il pagamento verrà registrato dal nostro Settore Contabilità riceverà mail da uno dei nostri Avvocati specializzati.

Cordialmente

AvvExpress Team, assistenza scritta