La controversia condominiale avente ad oggetto la domanda avanzata
dall’amministratore di condominio per conseguire la condanna di una condomina
al pagamento dei contributi è soggetta, in base all’art. 71-quater, comma 1,
disp. att., alla condizione di procedibilità dell’esperimento di mediazione. A
tale procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore previa però
delibera assembleare da assumere con maggioranza ex art. 1136, comma 2, c.c.. Questo
è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI civile – 2, ordinanza n.
10846/2020, depositata l’8 giugno.
Il caso. Un Condominio
conveniva in giudizio una condomina al fine di farla condannare al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata con la deliberazione assembleare di
approvazione del consuntivo. Il Giudice di Pace competente dichiarava improcedibile la domanda attorea in quanto il
Condominio, pur invitato dal giudice, non aveva attivato la procedura di
mediazione obbligatoria, a causa della mancata adozione da parte dell’assemblea
condominiale, nonostante il rinvio dell’incontro di mediazione, della delibera
di autorizzazione all’amministratore di parteciparvi.
Avverso
tale sentenza il Condominio interponeva gravame. Ad avviso del
Tribunale, meritava conferma la soluzione della questione raggiunta dal primo
giudice, visto, appunto, che la procedura di mediazione obbligatoria era
rimasta infruttuosa per il difetto dell’autorizzazione assembleare alla
partecipazione dell’amministratore (essendo la relativa riunione andata
deserta). La decisione del giudice di appello poggiava sul testo dell’art. 71
quater c.c., comma 3, disp. att., dovendosi nella specie dire mancata la
procedura di mediazione, che si era chiusa senza neppure sentire le parti e
tentare la conciliazione a seguito dell’inerzia dell’assemblea nel concedere la
necessaria autorizzazione. Secondo il Tribunale, occorreva distinguere il
profilo della autonoma legittimazione processuale dell’amministratore ad agire
in giudizio per la riscossione dei contributi dalla legittimazione dello stesso
a partecipare alla procedura di mediazione, spiegandosi nel secondo caso
l’indispensabilità della delibera dell’assemblea in base all’esigenza di
conferire a chi interveniva in mediazione la “possibilità di disporre
della lite, vale a dire di negoziare sulla res controversa, salva poi la
ratifica da parte dell’assemblea della proposta di mediazione”. La
sentenza impugnata osservava, dunque, come il mancato concreto svolgimento
della mediazione fosse da addebitare al Condominio attore, essendo rimasto
insoddisfatto l’obbligo previsto dal D. Lgs. n. 28 del 2010, art. 5 e
successive modificazioni di attivare la procedura di mediazione, obbligo che
comportava non soltanto l’introduzione della stessa, ma anche di presenziarvi
“munito dei necessari poteri, essendo questi necessari per il buon esito
del procedimento”.
Avverso tale decisione, il Condominio proponeva ricorso per cassazione. Gli
Ermellini rilevavano immediatamente come
il Tribunale competente avesse comunque fatto corretta applicazione del testo
dell’art. 71 quater disp. att. c.c. (inserito dalla L. 11 dicembre 2012, n.
220). Tale norma al comma 1 indicava quali fossero le “controversie in
materia di condominio” che, ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art.
5, comma 1, erano soggette alla condizione di procedibilità dell’esperimento
del procedimento di mediazione, tra le quali certamente rientrava la domanda
avanzata dall’amministratore di Condominio per conseguire di condanna di una
condomina al pagamento dei contributi (come nel caso in esame). Il medesimo
art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, aggiungeva, quindi, che “al
procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera
assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma
2”. L’art. 71 quater, comma 4, contemplava poi l’ammissibilità di una proroga
del termine di comparizione davanti al mediatore per consentire di assumere la
deliberazione autorizzativa dell’assemblea, alla quale, infine, il comma 5 di
tale disposizione rimetteva l’approvazione della proposta di mediazione, da
votare con la medesima maggioranza occorrente per garantire la partecipazione
dell’amministratore alla procedura. L’art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3,
lettera, portava, allora, a concludere, identicamente a quanto sostenuto dal
Tribunale, che la condizione di procedibilità della “controversie in
materia di condominio” non potesse dirsi realizzata allorché, come
avvenuto nel caso in esame, all’incontro davanti al mediatore l’amministratore
partecipasse sprovvisto della previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza
di cui all’art. 1136 c.c. comma 2, non essendo in tal caso
“possibile” iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo
svolgimento della stessa, come supponeva il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 8,
comma 1. Non rilevava nel senso di escludere la necessità della delibera
assembleare ex art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, il fatto che si
trattasse, nella specie, di controversia che altrimenti rientrava nell’ambito
delle attribuzioni dell’amministratore, in forza dell’art. 1130 c.c., e con
riguardo alla quale perciò sussisteva la legittimazione processuale di
quest’ultimo ai sensi dell’art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o
ratifica dell’assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all’ambito della
rappresentanza istituzionale dell’amministratore, questi non poteva partecipare
alle attività di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto
l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui
all’art. 1136 c.c., comma 2, era altrimenti comunque sprovvisto del potere di
disporre dei diritti sostanziali che erano rimessi alla mediazione, e, dunque,
privo del potere occorrente per la soluzione della controversia. Tale evenienza
non corrispondeva, dunque, all’ipotesi contemplata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n.
28, art. 5, comma 2 bis, il quale disponeva che “quando l’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al
mediatore si conclude senza l’accordo”, in quanto, ancor prima che
mancato, qui l’accordo amichevole di definizione della controversia era privo
di giuridica possibilità. Spettava infatti all’assemblea (e non
all’amministratore) il “potere” di approvare una transazione
riguardante spese d’interesse comune, ovvero di delegare l’amministratore a
transigere, fissando gli eventuali limiti dell’attività dispositiva negoziale
affidatagli. Parimenti, l’art. 1129 c.c., comma 9 (sempre introdotto dalla L.
11 dicembre 2012, n. 220) obbligava l’amministratore ad “agire per la
riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla
chiusura dell’esercizio nel quale sia compreso il credito esigibile, a meno che
non sia stato espressamente dispensato dall’assemblea”, non rientrando,
quindi, tra le attribuzioni dell’amministratore il potere di pattuire con i
condomini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi senza apposita
autorizzazione dell’assemblea.
Per tali motivi la Corte di Cassazione
rigettava il ricorso e condannava il ricorrente a rimborsare alla
controricorrente le spese sostenute nel giudizio di legittimità.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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In tema di delibazione di sentenza ecclesiastica con cui sia stata
dichiarata la nullità del matrimonio, l’ipotesi ostativa della
contrarietà all’ordine pubblico per ragioni inerenti alla tutela della
buona fede e dell’affidamento incolpevole può essere rilevata d’ufficio.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 11633/20; depositata il 16 giugno)
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R. Il volontario abbandono del tetto coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione in quanto comporta l’impossibilità della convivenza. Tuttavia, a chi ha posto in essere l’abbandono è lasciata la possibilità di provare che lo stesso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 12241/20; depositata il 23 giugno)
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La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la censura all’art. 263
c.c. laddove non esclude la legittimazione ad impugnare il
riconoscimento del figlio da parte di chi lo abbia effettuato nella
consapevolezza della sua non veridicità.
(Corte Costituzionale, sentenza n. 127/20; depositata il 25 giugno)
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Laddove l’esecuzione di un contratto, quale ad esempio il mandato di
assistenza e rappresentanza in giudizio, si sia posta in contrasto con
l’interesse dell’erede di uno dei contraenti, tale fatto non può avere
rifluenza nei confronti del terzo poiché, in quanto si tratta di un
debito della massa al creditore, non è opponibile il rapporto interno
tra de cuius ed eredi.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza n. 12675/20, depositata il 25 giugno)
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R. La sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art 2932 c.c. non può essere emanata in assenza delle dichiarazioni sugli estremi della concessione edilizia e di coerenza catastale dell’immobile, le quali costituiscono condizione dell’azione di adempimento in forma specifica dell’obbligo di contrarre. La produzione di tali menzioni deve sussistere al momento della decisione e può intervenire anche in corso di causa.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 12654/20; depositata il 25 giugno)
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