La fotocopia della mail diffamatoria ha valore probatorio se non viene disconosciuta tempestivamente

Ai sensi degli artt. 214 e 215 c.p.c., in assenza di formale, tempestivo ed inequivoco disconoscimento, la copia fotostatica non autenticata prodotta in giudizio si ritiene riconosciuta tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione.  Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI – 3, ordinanza n. 3540/2019, depositata il 6 febbraio.

Il caso. Il Tribunale competente accoglieva la domanda di risarcimento danni per diffamazione a mezzo mail proposta dagli attori nei confronti del convenuto, risultando accertato che le mail diffamatorie fossero state inviate dall’indirizzo di posta elettronica dello stesso.

Tale pronuncia veniva confermata dalla Corte d’Appello territoriale ritenendo non tempestiva l’eccezione di disconoscimento delle fotocopie prodotte in giudizio quali riproduzione delle mail “incriminate”.

Avverso tale pronuncia, il ricorrente proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c., nonché l’omessa valutazione su un fatto decisivo della controversia perché il giudice d’appello aveva ritenuto non tempestivamente formulata l’eccezione di disconoscimento delle fotocopie avversariamente prodotte, come riproduttive delle mail da lui inviate. Il ricorrente affermava di aver contestato da subito paternità e contenuto delle mail e che fosse illogica l’affermazione della Corte d’Appello secondo la quale, avendo egli contestato l’alterabilità dei testi word, avrebbe dovuto portare i testi delle mail effettivamente partite dal suo computer. Sul tema del disconoscimento della conformità agli originali delle fotocopie prodotte in giudizio, la giurisprudenza di legittimità “richiede la tempestività del disconoscimento e che lo stesso, sebbene non debba essere espresso in formule sacramentali, debba essere chiaro, circostanziato ed esplicito”. Ai sensi degli artt. 214 e 215 c.p.c., pertanto,  “la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione”. Nel caso de quo, la decisione impugnata aveva ritenuto che mancasse un formale e tempestivo disconoscimento delle mail inviate, e comunque aveva affermato che l’eventuale disconoscimento delle riproduzioni informatiche non sarebbe stato idoneo ad inficiare del tutto la portata probatoria di tali riproduzioni, ma le avrebbe degradate a livello di presunzioni semplici. Non poteva, dunque, ritenersi sussistente un vizio di motivazione avendo correttamente la Corte valutato la portata probatoria delle fotocopie prodotte in giudizio. Il Supremo Collegio, richiamando un precedente arresto giurisprudenziale (cass. Civ. n. 5523/18), ricordava che la mail priva di firma elettronica non aveva l’efficacia di una scrittura privata ex art. 2702 c.c. quanto alla riferibilità al suo autore apparente, riferibilità che l’art. 21 D. Lgs. n. 82/2005 riconosceva solo laddove il documento informatico fosse stato sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale. In tal caso dunque, il documento era liberamente valutabile dal giudice in ordine all’idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità. La decisione della Corte d’Appello aveva affermato la responsabilità del ricorrente attraverso una valutazione non solo del testo delle mail ma di tutto il materiale probatorio: aveva tenuto in conto la facile alterabilità del testo dei documenti estratti da computer, ma aveva ritenuto provato, anche a mezzo delle prove testimoniali, che le comunicazioni diffamatorie effettivamente provenissero dal computer del ricorrente, in quanto effettivamente spedite dallo stesso, o comunque riconducibili alla sua sfera di controllo. Quanto alla idoneità delle comunicazioni diffamatorie inviate a più di un destinatario a mezzo mail ad integrare l’ipotesi della diffamazione, la Suprema Corte ribadiva quanto già affermato: “la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa”. Ed in particolare, sulla idoneità delle comunicazioni a mezzo mail ad integrare l’ipotesi di diffamazione aggravata si era espressa la giurisprudenza penale di legittimità: v. Cass. n. 44980 del 2012 “L’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria”.

Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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