Se un condomino è comproprietario di più appartamenti, egli va considerato come una sola “testa” in sede di assemblea condominiale, rappresentante i millesimi derivanti dalla somma algebrica delle varie unità immobiliari possedute.  Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Verona, sez. III Civile,  sentenza depositata il 15 ottobre 2019. 

Il caso. Due condomini impugnavano alcune delibere assembleari con le quali un Condominio aveva approvato l’esecuzione di alcuni lavori di manutenzione deducendo, a sostegno della loro domanda di declaratoria di nullità o di annullamento delle citate delibere, l’invalidità delle stesse per tre motivi. Con il primo motivo gli attori sostenevano che nel calcolo delle maggioranze, ai fini dell’adozione delle due delibere, non si era tenuto conto che essi disponevano di un voto ciascuno quali codomini proprietari, ognuno, di una unità immobiliare nonché di un ulteriore voto quali comproprietari di una diversa unità immobiliare, sita nello stesso condominio, per un totale di quattro voti; con il secondo motivo, rappresentavano come il soggetto da loro delegato non avesse votato secondo le loro indicazioni e, dunque, l’assemblea, ex post, doveva essere invalidata e con il terzo motivo  chiedevano la nullità di una successiva delibera assembleare in quanto aveva approvato dei lavori di manutenzione senza la previa analisi dei preventivi delle imprese affidatarie delle opere. Si costituiva in giudizio il Condominio negando le argomentazioni attoree e chiedendo il rigetto della domanda.  

L’adito Tribunale riteneva infondati tutti i tre motivi di ricorso. Riguardo alla prima doglianza, il Giudice di primo grado ricordava come in materia condominiale l’assemblea, per poter deliberare validamente, necessitava sempre di una doppia maggioranza, ossia quella dei presenti e quella dei millesimi, sia in prima che in seconda convocazione ed indipendentemente dall’oggetto della decisione. Ciò lo si evinceva dall’art. 1136 cc. che, con riferimento al numero di voti necessario per l’approvazione delle delibere, parlava espressamente di “maggioranza degli intervenuti”, riferendosi alle persone fisicamente presenti in assemblea, compresi i terzi delegati, ed escludendo, quindi, che si trattasse della maggioranza dei partecipanti al Condominio. Pertanto, affermava il Tribunale “allorquando un condomino sia proprietario o, come nel caso di specie, comproprietario di più unità immobiliari nel momento in cui partecipa all’assemblea va considerato come una sola testa, rappresentante i millesimi risultanti dalla somma dei parametri millesimali di proprietà dei suoi immobili. Se così non fosse, e si attribuisse quindi rilievo al numero degli intervenuti in assemblea, non si spiegherebbe perché il legislatore abbia individuato un concorrente criterio di calcolo della maggioranza, costituito dai millesimi di proprietà degli intervenuti medesimi”. L’assemblea, pertanto, aveva correttamente valutato i due comproprietari come due voti. Parimenti priva di pregio risultava il secondo motivo di doglianza. Infatti, anche ammesso e non concesso che il delegato avesse disatteso le indicazioni di voto fornitegli, tale difformità non avrebbe avuto alcun effetto nei confronti dell’assemblea. Difatti, gli attori avevano prospettato come il soggetto intervenuto fosse un falsus procurator dei comunisti ma una simile condizione, anche laddove effettivamente esistente, non avrebbe potuto influire sulla validità delle delibere impugnate, potendo tutt’al più essere fonte di responsabilità del rappresentante apparente verso gli attori ai sensi dell’art. 1398 c.c.. Tale conclusione trovava conforto, con specifico riguardo al tema dell’adozione delle delibere condominiali, in una pronuncia della Suprema Corte (Cass. 4531/2003) che aveva stabilito che: “in materia di delibere condominiali i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato, con la conseguenza che l’operato del delegato nel corso dell’assemblea non è nullo e neppure annullabile, ma inefficace nei confronti del delegante fino alla ratifica di questi”. Ed ancora, sosteneva il Tribunale “Né osta a quanto qui sostenuto il disposto dell’art. 67 delle disp. att. cc., che, a seguito della riforma di cui alla Legge 11 dicembre 2012, n. 220, prevede che: “Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale. Qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’articolo 1106 del codice”. Tali previsioni, infatti, non individuavano le conseguenze della loro inosservanza e, in difetto di tale precisazione, la nullità della volontà espressa dal rappresentante apparente del Condomino (perché privo di delega o perché nominato senza osservare le modalità di cui all’art. 1106 c.c.), alla quale sarebbe conseguita l’invalidità dalla delibera adottata con il suo voto, non poteva essere affermata in via interpretativa.  Doveva, quindi, ritenersi che, anche dopo la novella, il voto espresso in assemblea dal falsus procurator del Condomino fosse inefficace nei confronti del solo rappresentato in virtù della norma generale sopra richiamata. Anche il terzo motivo di doglianza veniva rigettato in quanto improcedibile. Infatti, la questione relativa alla presunta invalidità di una successiva delibera assembleare non era stata oggetto di mediazione obbligatoria ante-giudiziale ai sensi del d.lgs. n. 28/2010 e di conseguenza la relativa questione era da considerare inammissibile.

Per tali motivi il Tribunale rigettava totalmente la domanda attorea e condannava gli attori al pagamento delle spese del giudizio ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

 Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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