All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 4494/2021 depositata il 19 febbraio.

Il caso. La Corte d’appello distrettuale confermava la decisione di primo grado, che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra i due  coniugi e affidato congiuntamente agli stessi la figlia minore, con domiciliazione della stessa presso la madre, cui veniva assegnata la casa coniugale, con obbligo per il marito di corrispondere alla moglie la somma mensile di Euro 300,00, a titolo di assegno di divorzio, e di Euro 450,00, a titolo di contributo al mantenimento della figlia, oltre la metà delle spese straordinarie. In particolare, i giudici d’appello sostenevano che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio si poteva desumere dal reddito percepito dal marito, dal momento che la moglie non aveva mai lavorato, e dal fatto che i coniugi vivevano in alloggio di proprietà e che non era dimostrato un rifiuto della moglie a cercare un lavoro; inoltre, non era provato che il solo marito sostenesse le spese condominiali della casa coniugale di proprietà dello stesso ma assegnata alla moglie, non poste a suo carico, o le spese straordinarie della figlia, ripartite, secondo la decisione del Tribunale, in parti uguali tra i coniugi; doveva essere mantenuto l’importo dell’assegno divorzile e di mantenimento della figlia minore, considerate, per quest’ultima, le esigenze correlate all’età ed alla frequenza della scuola elementare.

Avverso tale sentenza il coniuge proponeva ricorso per cassazione. Il ricorrente contestava la valutazione compiuta dai Giudici di merito. A suo parere, infatti, sul fronte della “determinazione dell’assegno di divorzio” non si era tenuto conto del reale “tenore di vita goduto dai coniugi durante la convivenza”, essendo il ricorrente “un operaio con reddito di 1.400 euro mensili netti e proprietario di un unico immobile, acquistato prima del matrimonio, adibito a casa coniugale ed assegnato alla moglie”, e non si era compiuta “una verifica dell’inadeguatezza dei mezzi della moglie, in rapporto alla sua capacità di trovare un lavoro”.  Altresì, il ricorrente proponeva l’ipotesi di “una riduzione  dell’assegno in favore della moglie e della figlia” evidenziando “il vantaggio economico per l’ex consorte, assegnataria della casa coniugale”, e, allo stesso tempo, si soffermava sulla “scelta, assunta di comune accordo con l’altro coniuge, di fare frequentare una scuola privata alla figlia”, annotando però che solo su di lui era ricaduto “tale onere” dal punto di vista economico. La Suprema Corte, a Sezioni Unite, con la recente sentenza n. 18287/2018, aveva chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che: “1) il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto; 2) all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate; 3) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. Pertanto, secondo gli Ermellini, nel caso de quo, il giudizio espresso dalla Corte di merito risultava corretto anche alla luce dell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nel 2018, essendosi dato rilievo alla funzione principalmente assistenziale dell’assegno divorzile, sebbene in concorso con quella perequativa e compensativa (cfr. Cass. 21926/2019), a fronte dell’accertata disparità economica tra i coniugi successivamente allo scioglimento del vincolo, della durata non breve del matrimonio e, quanto, alla richiedente l’assegno, della condizione di disoccupazione e, implicitamente, della sua oggettiva difficoltà di procurarsi un lavoro, per le condizioni di età e personali. Anche quanto alla casa coniugale, di proprietà del marito, essa era stata assegnata alla moglie solo in quanto genitore collocatario della figlia minore e la Corte di merito aveva ritenuto indimostrata la circostanza relativa al carico delle spese condominiali sul solo ricorrente. Quanto poi al contributo per la figlia minore, la censura non era pertinente al decisum, avendo la Corte rilevato che le spese straordinarie (essenzialmente quelle relativa a scuola privata cui essa era stata iscritta) andavano ripartite tra i genitori in parti uguali e non ricadevano quindi, come lamentato, solo sul padre.

Per tali motivi la Corte di Cassazione respingeva il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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