La delibera di approvazione del rendiconto non è del tutto irrilevante nel rapporto di credito e debito tra il Condominio e l’ex condomino. In tal caso, l’ex condomino non può limitarsi a contestare il documento nella sua globalità, deducendo la mera non vincolatività della delibera nei suoi confronti, ma è tenuto afootball manager 2021 ไฟล์เดียว contestare, in relazione al rendiconto approvato, le singole voci di spesa per cui ritiene non dovuti i contributi, restando a carico del Condominio, in tal caso, l’onere di provare, in relazione ad esse, il fondamento della propria pretesa. Questo è quanto stabilito dalla Cassazione civile, sez. II, ordinanza, 3 agosto 2022, n. 24069.

Il caso. Un ex condomino proponeva opposizione a due decreti ingiuntivi richiesti, il primo, dal supercondominio e, il secondo, dal Cnero 2015 torrentsondominio, per il pagamento di oneri condominiali approvati dalle rispettive assemblee e relativi ad annualità precedenti l’alienazione del suo immobile.

Nel giudizio di primo grado, dopo la riunione dei procedimenti, il Giudice di prime cure dichiarava nulli i decreti ingiuntivi opposti.

Avverso tale sentenza, veniva interposto appello e il Giudice di seconde cure, in riforma del precedente provvedimento, revocava il decreto ingiuntivo emesso in favore del supercondominio, condannando l’opponente al pagamento della minor somma di Euro 1.691,13, e rigettava, invece, l’opposizione nei confronti del provvedimento monitorio richiesto dal Condominio. Secondo il giuwondershare streaming audio recorder crack itadicante, le somme ingiunte erano a carico dell’opponente in quanto riferite a spese condominiali relative al periodo precedente la vendita in cui egli era ancora proprietario dell’immobile.

Avverso tale sentenza, il venditore proponeva ricorso per Cassazione eccependo, tra i vari motivi, che non essendo l’opponente condomino al momento della delibera, egli non poteva partecipare all’assemblea ed impugnare le relative decisioni. A tale proposito la Corte di legittimità riteneva opportuno richiamare alcune norme e principi che regolavano la posizione che veniva ad assumere il condomino in conseguenza della vendita della propria unità immobiliare. Secondo gli Ermellini, si poteva partire da due affermazioni di carattere generale, più volte ribadite dalla giurisprudenza della stessa Corte, cui erano legate implicazioni e conseguenze giuridiche che meritavano di essere a loro volta esaminate e chiarite: “la prima è che il condomino che venda la propria unità immobiliare è tenuto al pagamento delle spese di gestione fatte nel periodo in cui era proprietario (Cass. n. 14531 del 2022; Cass. n. 11199 del 2021; Cass. n. 15547 del 2017; Cass. n. 1956 del 2000; Cass. n. 981 del 1998). Il principio è diretta conseguenza della natura propter rem delle obbligazioni che sorgono per effetto di tali spese ed è affermato esplicitamente dall’art. 1123 c.c., oltre a ricevere dirette conferme da altre disposizioni, tra cui quella dettata dall’art. 63 disp. att. c.c., laddove prevede, al comma 4, un’obbligazione solidale autonoma, non propter rem, a carico dell’acquirente per i contributi maturati nell’anno in corso ed in quello precedente la vendita (Cass. n. 21860 del 2020), la quale presuppone l’esistenza di una obbligazione principale a carico dell’ex proprietario, e, al comma successivo, l’obbligo, sempre in via solidale, dello stesso per i contributi maturati fino alla comunicazione all’amministratore dell’atto di cessione del bene. La seconda affermazione è che il condomino che vende non può più considerarsi tale, ma diventa soggetto estraneo al condominio (Cass. n. 23345 del 2008; Cass. n. 9 del 1990). La posizione di condomino è assunta, per effetto della cessione, dal nuovo proprietario. Da tale seconda affermazione discende, quale corollario, che il cedente, non essendo più condomino, non ha alcun titolo per partecipare alle assemblee condominiali né può considerarsi vincolato dalle sue deliberazioni. L’art. 1137 c.c., comma 1, stabilisce che le deliberazioni dell’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini e tale principio comporta, in negativo, che esse non sono vincolanti per coloro che sono estranei alla compagine condominiale. Ne deriva che non ha senso porre il tema, nei confronti dell’ex condomino, della definitività della delibera condominiale per mancata impugnazione, dal momento che questi non può, non avendone la legittimazione, proporla e che, inoltre, le contestazioni che egli dovesse eventualmente sollevare in giudizio nei confronti della stessa sfuggono alla stessa logica della distinzione tra cause di annullabilità e cause di nullità della delibera, che può porsi esclusivamente rispetto alle impugnative proposte dai condomini.” Pertanto, il cedente, non essendo più condomino, non poteva considerarsi vincolato dalle deliberazioni. Tuttavia, secondo il Supremo Collegio, il venditore non più legittimato a partecipare direttamente alla assemblea poteva comunque far valere le sue ragioni connesse al pagamento dei contributi relativi al periodo in cui era proprietario attraverso l’acquirente che gli era subentrato, e per il quale, anche in relazione al vincolo di solidarietà, si configurava una gestione di affari non rappresentativa: partecipare alle assemblee condominiali e rappresentare e far valere, in esse, anche le ragioni del suo dante causa. Pertanto, l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio derivava non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell’attività di manutenzione e sorgeva, quindi, per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta. Dunque, l’eventuale venir meno della delibera per invalidità non comportava anche l’insussistenza del diritto del Condominio di pretendere la contribuzione alle spese per i beni e servizi comuni di fatto erogati. Con ciò si voleva dire che, a differenza di quella che approvava l’esecuzione di lavori straordinari, la delibera dell’assemblea condominiale che approvava il rendiconto era innovativa soltanto per la parte che approvava il documento contabile, cui la legge riconduceva determinati effetti, non con riguardo al suo contenuto, cioè alla rendicontazione delle spese effettuate, nei cui confronti aveva un valore ricognitivo o dichiarativo. Ad ogni modo, secondo il Supremo Collegio, il fatto che la delibera non fosse vincolante per l’ex proprietario si traduceva nella possibilità di sollevare avverso di essa contestazioni liberamente, non astrette nel termine ed alle regole che disciplinano l’impugnativa da parte dei condomini ai sensi dell’art. 1137 c.c., ma non significava, per contro, che essa fosse del tutto irrilevante nel rapporto di credito e debito tra il Condominio e l’ex condomino. In tali termini, la delibera de qua si configurava come un documento ricognitivo e, pertanto, rappresentativo che, seppure non vincolante nei confronti dell’ex condomino, aveva tuttavia un valore probatorio intrinseco del credito vantato dal Condominio, suscettibile di valutazione da parte del giudice. Ne discendeva che l’ex condomino non poteva limitarsi a contestare il documento nella sua globalità, deducendo la mera non vincolatività della delibera nei suoi confronti, ma era tenuto a contestare, in relazione al rendiconto approvato, le singole voci di spesa per cui ritiene non dovuti i contributi, restando a carico del Condominio, in tal caso, l’onere di provare, in relazione ad esse, il fondamento della propria pretesa. Altresì, la considerazione secondo cui l’alienante dell’immobile, per effetto della vendita, non fosse più condomino comportava l’inapplicabilità della disposizione ex art. 63, comma 1, disp. att. c.c. che consentiva all’amministratore, sulla base dello stato di ripartizione delle spese approvato dall’assemblea, di ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Tale conseguenza, tuttavia, come nel caso de quo, non escludeva che potesse avvalersi della procedura monitoria, ai sensi della norma generale posta dall’art. 633 c.p.c., quindi senza automatica provvisoria esecuzione, procedura che poteva contare sulla produzione da parte dell’amministratore della delibera di approvazione di rendiconto e di ripartizione della spesa, a cui andava riconosciuta valore di prova anche nei confronti dell’ex condomino, sia pure sottoposta alla valutazione da parte del giudice. 

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto nei confronti del Condominio e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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