Edificio danneggiato per incendio causato dalla canna fumaria:chi paga le spese di riparazione?

Laddove l’esigenza di manutenzione e riparazione dell’edificio condominiale derivi da una specifica condotta illecita attribuibile allo stesso condomino che ha sostenuto l’intera spesa per tali interventi, non sussiste il diritto al rimborso da parte degli altri condomini costituendo le opere eseguite dal singolo una modalità di risarcimento del danno in forma specifica. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza n. 13293/2018, depositata il 28 maggio.

Il caso.  La Corte d’Appello territoriale, riformando la decisione di primo grado resa dal Tribunale competente, rigettava la domanda proposta da un condominio nei confronti della società proprietaria delle altre unità abitative,  volta ad ottenere il rimborso della somma di Euro 8.549,07, anticipata per il rifacimento del tetto e della facciata del complesso immobiliare. I giudici di secondo grado escludevano che potesse essere invocata dal condomino l’applicazione dell’art. 1134 c.c., in quanto l’urgenza dell’intervento di manutenzione delle parti comuni dell’edificio condominiale era stata determinata da un incendio sviluppatosi a seguito del surriscaldamento della canna fumaria posta all’interno dell’appartamento di proprietà dello stesso. Tale surriscaldamento della canna fumaria, per quanto accertato già dal Tribunale, era stato provocato da un non adeguato utilizzo di una stufa a legna. Essendo la responsabilità dell’incendio attribuibile al condomino, a carico dello stesso dovevano porsi, per i giudici di seconde cure, tutte le conseguenze patrimoniali della sua condotta, visto che l’intervento di rifacimento del tetto e della facciata risultava a sua volta da attribuire causalmente (anche per le risultanze del verbale dei Vigili del Fuoco intervenuti sul luogo) all’incendio stesso, che aveva intaccato le travi di legno della copertura, rendendola pericolante.

Avverso la sentenza di secondo grado, il condomino proponeva ricorso per cassazione deducendo l’erronea applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. circa l’applicazione del principio del neminem laedere e la ricostruzione del rapporto di causalità fatte dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità, escludendo la rilevanza degli artt. 40 e 41 c.p., precisavano che il ricorso si fondava sull’applicabilità o meno dell’art. 1134 c.c.. A tale proposito, ricordavano che “anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti (quale risulta quello per cui è causa), la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile soltanto nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c. (testo previgente alla modifica operata con la legge n. 220/2012). Ai fini dell’applicabilità dell’art. 1134 c.c., va dunque considerata urgente non solo la spesa che sia giustificata dall’esigenza di manutenzione, quanto la spesa la cui erogazione non possa essere differita, senza danno o pericolo, fino a quando l’amministratore o l’assemblea dei condomini possano utilmente provvedere. Ciò vale anche per i condomini composti da due soli partecipanti, la cui assemblea si costituisce validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimità decida validamente. Se non si raggiunge l’unanimità e non si decide, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto, diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, come previsto dagli artt. 1139 e 1105 c.c.”. Inoltre, secondo il Supremo Collegio,  l’obbligo del singolo condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell’edificio trovava la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio. Ove l’esigenza di manutenzione e riparazione delle parti comuni dell’edificio fosse derivato, invece, dalla specifica condotta illecita attribuibile ad un condomino (come nella specie accertato in fatto dalla Corte di Appello), tale condotta faceva sorgere soltanto a carico di quest’ultimo l’obbligo di risarcire il danno complessivamente prodotto ex art. 2043 c.c., e non anche l’obbligo degli altri partecipanti di contribuire alle spese ai sensi degli artt. 1123 e ss. c.c.. Ne conseguiva che non poteva comunque spettare al condomino alcun diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, ai sensi dell’art. 1134 c.c., ove l’esigenza di manutenzione e riparazione della stessa avesse trovato la sua causa in una specifica condotta illecita a lui attribuibile, e le opere fatte eseguire dal singolo abbiano perciò dato luogo ad una forma di risarcimento del danno in forma specifica.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di legittimità.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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