Installazione di un impianto autonomo di riscaldamento: il condomino deve contribuire alle spese comuni

Nel regolamento condominiale è nulla la disposizione che vieti incondizionatamente al condomino di distaccarsi dall’impianto comune di riscaldamento. La singola unità abitativa può predisporre un impianto autonomo e autosufficiente, essendo ogni singolo condomino libero di regolare i propri diritti e obblighi mediante convenzione. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 28051/2018, depositata il 2 novembre.

Il caso. Un condomino si distaccava dall’impianto centralizzato di riscaldamento del Condominio in cui abitava, realizzando un impianto autonomo e autosufficiente per l’erogazione del relativo servizio. Tale decisione non veniva vista bene dai restati condomini che durante l’assemblea condominiale, all’unanimità, riconoscendo come illecita l’installazione dell’impianto autonomo, avevano deliberato per imputare i costi relativi della gestione dell’impianto comune di riscaldamento anche al condomino che si era preventivamente distaccato. Infatti,  secondo l’assemblea, il regolamento condominiale, comportando una obligatio propter rem, impediva il distaccamento di una singola unità abitativa dagli impianti comuni, installazioni, pertanto, volte a garantire servizi funzionali alla conservazione dell’intero complesso edilizio. I giudici di prime e seconde cure rigettavano la domanda del singolo condomino relativa alla declatoria di nullità della delibera condominiale che precludeva la possibilità di installare un impianto di riscaldamento autonomo e che escludeva quindi l’esonero del pagamento delle spese comuni.

Il condominio proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1118 c.c., sia relativamente al distacco dall’impianto di riscaldamento centrale, “alla luce del quale vanno interpretate le norme di cui agli artt. 9 e 13 del regolamento di condominio”, sia per aver la Corte d’appello configurato il divieto di distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento imposto dal regolamento condominiale contrattuale quale obligatio propter rem. Assumeva il ricorrente che, in base alla norma su richiamata, cui l’art. 13 del regolamento condominiale faceva espresso richiamo, ed alla luce della giurisprudenza di legittimità recepita dalla recente riforma del condominio, doveva intendersi esplicitamente ammessa la possibilità di ciascun condomino di rinunziare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento. Ne conseguiva che costituiva un’obbligazione propter rem non il divieto di distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento, bensì la corresponsione delle spese inerenti la conservazione di quest’ultimo. La Suprema Corte sottolineava quale fosse l’aspetto preminente nella situazione prospettata: la funzionalità e la conservazione dell’intero complesso abitativo. Orbene, non era ravvisabile una previsione che vietasse al condomino di distaccarsi dagli impianti condominiali comuni, i singoli condomini infatti “sono liberi di regolare mediante convenzione il contenuto dei loro diritti e dei loro obblighi mediante una disposizione regolamentare di natura contrattuale che diversamente suddivida le spese relative all’impianto”. La predisposizione di impianti autonomi era, dunque, ammessa salvo che la relativa installazioni non cagionasse squilibri funzionali al condominio e non aggravasse le spese per i restati partecipanti. Pertanto, costituiva un’obbligazione propter rem la corresponsione delle spese inerenti la conservazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento e non il divieto di distacco dal relativo impianto. Tuttavia, l’installazione di un impianto autonomo comportava un’adeguata regolamentazione contrattuale, da adottare in sede assembleare, che suddividesse diversamente le spese di gestione dell’impianto centrale di riscaldamento, spese imputabili quindi anche alle “unità immobiliari che non usufruiscano del relativo servizio (per avervi rinunciato o essersene distaccati)”.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinviava ad altra sezione della Corte d’Appello territoriale, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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