Può un singolo condomino installare da solo l’ascensore?

L’installazione di un ascensore e la conseguente modifica delle parti comuni non possono essere impediti per una disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione dell’opera stessa all’autorizzazione del Condominio. L’ascensore, infatti, rappresenta un’opera volta a superare le barriere architettoniche e il singolo condomino può assumersi interamente il costo della relativa costruzione poiché siano rispettati i limiti previsti dall’art. 1102 c.c. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 31462/18, depositata il 5 dicembre.

Il caso. Due condomini, a loro spese, procedevano alla realizzazione di un innovativo ascensore nel vano condominiale. Il resto dei condomini, però, non gradendo tale realizzazione convenivano in giudizio i due committenti chiedendo di dichiararsi l’illegittimità dell’installazione dell’ascensore e che quest’ultimi fossero condannati alla riduzione in ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento dei danni. L’adito Tribunale rigettava le domande attoree.

Avverso la sentenza di primo grado, i condomini soccombenti interponevano appello. La Corte d’Appello territoriale confermava la pronuncia di primo grado e, in particolare, rilevava che avendo i convenuti assunto a loro carico le spese di realizzazione dell’ascensore, costituiva un loro diritto ex art. 1102 c.c. procedere alla collocazione dell’impianto poiché l’elevatore, oltre a colmare le previsioni ex l. n. 13/1989 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), non inficiava l’utilizzo che la collettività condominiale poteva fare delle altre parti comuni dell’edificio (come ad esempio il varco utile per il passaggio di persone o vetture).

Avverso tale sentenza, i condomini soccombenti proponevano ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo col quale deducevano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 907 e 1102 c. c., 3 della L. n. 13/1989 e 116 c.p.c., l’erronea valutazione delle risultanze processuali e la motivazione omessa, non idonea e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo, per avere la Corte di Appello inquadrato la fattispecie nell’ambito dell’art. 1102 c.c., anziché delle innovazioni vietate ex art. 1120 c.c.. Gli Ermellini ritenevano il motivo inammissibile e, comunque, manifestamente infondato, in quanto “l’installazione di un ascensore, al fine dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un bene comune, deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. (Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 03/08/2012; conf. Sez. 2, Sentenza n. 10852 del 16/05/2014). Trattasi di principio che è stato anche di recente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte che (cfr. Cass. n. 7938/2017) ha confermato la regola secondo cui in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la I. n. 13 del 1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, sicché la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale non possono essere esclusi per una disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione dell’opera all’autorizzazione del condominio, dovendo tributarsi ad una norma siffatta valore recessivo rispetto al compimento di lavori indispensabili per un’effettiva abitabilità dell’immobile, rendendosi, a tal fine, necessario solo verificare il rispetto dei limiti previsti dall’art. 1102 c.c., da intendersi, peraltro, alla luce del principio di solidarietà condominiale”. Altresì, ribadivano il principio secondo il quale l’installazione di un ascensore su un’area comune, con scopo di eliminare delle barriere architettoniche, “costituisce un’innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, della l. n. 13 del 1989, va approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, commi 2 e 3, c.c., ovvero, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, che può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con l’osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quando prescritto dal comma 3 del citato art. 2”. Pertanto, la verifica della sussistenza di tali requisiti “deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione”.

Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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