Il Sindaco e il potere di regolare gli orari di apertura dei locali

Il Sindaco e il potere di regolare gli orari di apertura dei locali

Il Sindaco e il potere di regolare gli orari di apertura dei locali

L’amministrazione comunale ha il potere di regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, graduando gli orari di apertura e chiusura al pubblico, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 20073/2018, depositata il 30 luglio.

Il caso. Una società proponeva opposizione avverso le ordinanze di ingiunzione emesse dal Comune di appartenenza che contestavano tutte la violazione delle prescrizioni contenute in un’ordinanza comunale limitatrice dell’orario di chiusura notturno degli esercizi collocati su una trafficata via del paese.

L’opposizione veniva rigettata dal Giudice di Pace competente, con sentenza confermata in grado d’appello dal Tribunale.

La società proponeva ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui questa aveva riconosciuto le sanzioni irrogate sulla base dell’ordinanza comunale emessa ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. 267 del 2000 e sostenendo che tale norma di carattere generale non accordava al sindaco il potere di imporre limitazioni agli orari di apertura e chiusura dei locali. Sostenevano gli Ermellini che le amministrazioni comunali potevano regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel testo applicabile ratione temporis), graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. Tale potere veniva ridimensionato nei suoi contenuti dall’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, convertito nella L. n. 214 del 2011 (c.d. decreto “salva Italia”), che aveva riformato l’art. 3 del D.L. n. 223 del 2006 statuendo, che “le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni… (quali) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio”. Tuttavia “la circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica” (Consiglio Stato, 30 giugno 2014, n. 3271).

Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

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Guida in stato di ebbrezza

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D. Guida in stato di ebbrezza: la rivalsa assicurativa si riferisce sia al conducente che al proprietario del veicolo?

R. La rivalsa dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, per la responsabilità civile da circolazione dei veicoli, si riferisce sia al conducente sia al proprietario del veicolo, poiché responsabili civili e titolari dell’interesse esposto al rischio. (Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 21027/18; depositata il 23 agosto)

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Locazione

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D. Il Consiglio dell’Ordine può concedere a terzi il godimento di un locale di cui è il concessionario solo ex lege o dietro autorizzazione?

R. Il Consiglio dell’Ordine, cui la legge attribuisce il diritto di godimento di determinati locali all’interno di ogni ufficio giudiziario (art. 1 l. n. 99/1995) è titolare su essi di un diritto di godimento, non di un diritto reale che integra gli estremi di una concessione stabilita direttamente dalla legge. Il concessionario può, quindi, locare o concedere il godimento dell’immobile a terzi solo se autorizzato dall’amministrazione o se lo consente la legge. La subconcessione di fatto a terzi di beni demaniali da parte del concessionario, mentre vincola il concessionario, è in opponibile all’amministrazione concedente. (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 20984/18; depositata il 23 agosto)

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Condominio e divieto di utilizzo esclusivo del bene comune

Condominio e divieto di utilizzo esclusivo del bene comune

Condominio: quando è vietato l’utilizzo esclusivo del bene comune?

Deve considerarsi illegittimo l’utilizzo esclusivo del bene comune da parte del singolo condomino in quanto, impedendo il libero e pacifico godimento dei beni comuni, viene ad essere alterato l’equilibrio esistente tra i singoli partecipanti al Condominio. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 20712/2017, depositata il 4 settembre.

Il caso. Il Condominio citava in giudizio, innanzi al Tribunale competente, la Società, titolare del Ristorante sito nei locali a piano terra, per aver illegittimamente occupato uno spazio comune. Il Condominio, infatti, addebitava alla convenuta l’illegittima occupazione di una parte del passaggio pedonale che collegava la pubblica via con l’edificio condominiale evidenziando che originariamente esisteva uno scivolo di collegamento tra la strada pubblica ed il marciapiede e ciò permetteva un più agevole collegamento con il fabbricato condominiale. Tale scivolo era stato rimosso dal proprietario del locale a piano terra che, di fatto, aveva inglobato la relativa area nella proprietà privata impedendone il libero uso da parte degli altri condomini. Di conseguenza, il Condominio lamentava la violazione dell’art. 1120, comma 2, c.c. e chiedeva il rilascio della suddetta area. Si costituiva la Società ritenendo di avere un diritto di uso esclusivo sul bene in contestazione e, all’uopo, richiamava un articolo del regolamento condominiale di origine contrattuale che attribuiva al proprio immobile “il diritto all’uso esclusivo (…) dello spazio fronteggiante i locali a piano terra  (…)  adibiti ad attività commerciale”; comunque sia, deduceva di aver usucapito il bene avendone avuto il possesso continuativo ed indisturbato per oltre un ventennio. Il giudice di prime cure non accoglieva le difese della convenuta ed, in primis, respingeva l’interpretazione della clausola contrattuale offerta dal proprietario del ristorante in quanto lo stesso regolamento contrattuale stabiliva espressamente che “i passaggi” fossero di proprietà comune; in secundis, respingeva l’invocata usucapione in quanto alcuni testi, escussi in proposito, avevano dichiarato che in un passato recente l’area in contestazione (ed il relativo scivolo) erano abitualmente utilizzati per il passaggio, da parte di tutti i condomini, sia in bicicletta che a piedi. Conseguentemente, il Tribunale riteneva illegittimo l’uso esclusivo del bene in contestazione da parte del proprietario dei locali a piano terra e, per l’effetto, ordinava la demolizione delle opere arbitrariamente realizzate in quanto atte ad impedire “il pari uso” da parte di tutti gli altri condomini. Al riguardo, il Tribunale riscontrava non una violazione dell’art. 1120, comma 2, c.c. (testo antecedente alle modifiche introdotte con la legge n. 220/2012, qui operante ratione temporis), ma dell’art. 1102 c.c. (uso della cosa comune) che disponeva «Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso». Il giudice di primo grado, chiariva la differenza tra le due disposizioni in esame: l’art. 1120 c.c. invocato dal Condominio, permetteva la realizzazione delle opere di trasformazione dei beni comuni purché ci fosse il previo consenso da parte di una maggioranza qualificata dell’assemblea (Cass. Sez. 2, 06/11/2006, n. 23608.), mentre l’art. 1102 c.c. permetteva anche al singolo condomino di modificare il bene comune per trarne un miglior godimento, a prescindere dall’interesse della maggioranza dei condomini, purché le opere, ovviamente, non impedissero il pari uso del bene comune da parte degli altri partecipanti al Condominio.

La società soccombente proponeva ricorso per cassazione. La Suprema Corte, come più volte affermato,  stabiliva che “allorché un condomino, convenuto dall’amministratore per il rilascio di uno spazio di proprietà comune occupato “sine titulo”, invochi l’accertamento della proprietà esclusiva su tale bene, il contraddittorio va esteso a tutti i condomini (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 2 15/03/2017, n. 6649). Proprio in tale ottica, il Tribunale aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini con riguardo alla pretesa della convenuta s.n.c. (…) volta all’acquisto per usucapione dell’area in questione, ordine rimasto ineseguito entro il termine perentorio ex art. 102 c.p.c., con conseguente declaratoria di inammissibilità della domanda. Tale provvedimento, non oggetto di specifico gravame ad opera della s.n.c. (…), ha implicato una pronuncia di mero rito ricognitiva dell’impossibilità di proseguire la causa, in mancanza di parti necessarie, con riferimento alla deduzione dell’avvenuta usucapione”. La società ricorrente fondava la propria difesa sull’interpretazione di una clausola contenuta nel regolamento di condominio di origine contrattuale che, a suo dire, avrebbe contenuto una riserva di proprietà dell’area in contestazione a favore dei locali a piano terra. L’area in questione, quindi, costituiva una pertinenza dei locali a piano terra. In proposito, il Supremo Collegio, rilevava  come “certamente, in via di principio, un regolamento condominiale cosiddetto “contrattuale” – contestuale alla nascita del condominio – può contenere, oltre all’indicazione delle parti dell’edificio di proprietà comune ed alle norme relative all’amministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva”. Analogamente, però, i giudici di legittimità sottolineavano l’esistenza di una preclusione e la propria incompetenza; un esame di questo tipo avrebbe richiesto, difatti, la necessità di un approfondimento sulla volontà delle parti e l’esatta ricostruzione della loro volontà negoziale, operazione, quest’ultima, che presupponeva un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. La Corte di Cassazione, comunque, sottolineava come il Tribunale avesse compiutamente esaminato anche questo aspetto della vicenda. Esaminando la clausola contenuta nel regolamento di Condominio invocata dal proprietario dei locali a piano terra, il giudice di prime cure aveva ritenuto che essa non fosse applicabile al caso in esame e che l’area in contestazione dovesse rientrare necessariamente tra i beni comuni. Pertanto, nel confermare sostanzialmente il giudizio di primo grado, riteneva che una volta che fosse stato accertato che il bene in contestazione rientrava tra i “beni comuni” ne derivava, come ineluttabile conseguenza, l’illegittimità delle opere realizzate dal singolo condomino che, di fatto, sottraevano tale bene all’uso ed al godimento di tutti i condomini. Le opere poste in essere dal singolo condomino erano illegittime in quanto, riservando un vantaggio nei confronti di un singolo condomino, portavano ad una alterazione dell’equilibrio tra tutti i partecipanti al Condominio.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di legittimità.

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Colpo di fucile in aria

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D. Colpo di fucile in aria: il pericolo costituito da un cane aggressivo può essere una giustificazione?

R. Messa in discussione la condanna nei confronti di un uomo. Nessun dubbio sul comportamento da lui tenuto. Rilevante però il fatto che egli abbia spiegato di avere sparato perché intimorito dalla presenza di un cane che stava per aggredire la madre. (Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 38640/18; depositata il 20 agosto)

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D. E’ vietato pubblicare foto di siti web free senza una nuova autorizzazione dell’autore?

R. La nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’art. 3 §.1 Direttiva 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, dev’essere interpretata nel senso che essa ricomprende la messa in rete su un sito Internet di una fotografia precedentemente pubblicata, senza restrizioni atte ad impedire che venisse scaricata e con l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, su un altro sito Internet. (Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, sentenza 7 agosto 2018, causa C-161/17)

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