Il pari uso della cosa comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., non va inteso
nei termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di
ciascun condomino, che avrebbe come conseguenza un sostanziale divieto per ogni
partecipante di servirsi della res comune. I limiti posti all’uso della cosa
comune da parte di ciascun condomino, ossia il divieto di alterarne la
destinazione e l’obbligo di consentire un uso paritetico, non impediscono al
singolo condomino di servirsi del bene anche per fini esclusivamente propri e
di trarne ogni possibile utilità. Questo è quanto stabilito dalla Corte di
Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 18191/2020, depositata il 2 settembre.
Il caso. Gli attori chiedevano al Tribunale competente l’abbattimento del muro eretto
a divisione di una parte del sottotetto condominiale e al rilascio della
porzione di quest’ultimo occupata dai convenuti. Costituendosi in giudizio, i
condomini fruitori della parte del sottotetto eccepivano l’infondatezza delle
contestazioni mosse dagli istanti, ponendo a fondamento del proprio assunto il riconoscimento
della condominialità del bene comune. Il Giudice di primo grado accoglieva la
domanda.
Avverso tale sentenza i condomini-convenuti proponevano gravame e la Corte
di Appello distrettuale rigettava l’impugnazione, confermando la decisione di
primo grado.
Avverso tale sentenza i soccombenti proponevano ricorso per cassazione con
quattro motivi di doglianza. In particolare, i ricorrenti, con il primo motivo,
deducevano che non avevano mai inteso usurpare la porzione del sottotetto né ne
avevano contestato la natura condominiale; con il secondo motivo, precisavano
che il sottotetto era stato ristrutturato al fine di eliminare le infiltrazioni
di umidità; con il terzo motivo, evidenziavano come la chiusura della parete
non precludeva l’uso comune, essendo stata consegnata la chiave di accesso al
sottotetto all’amministratore. Il Supremo Collegio riteneva inammissibile il
vizio di omessa motivazione atteso che, affinché potesse configurarsi la
preclusione di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c., occorreva che la motivazione
mancasse del tutto ovvero che le argomentazioni fossero svolte in maniera
contraddittoria tale da non permettere l’individuazione degli elementi da cui
il Giudice aveva tratto il proprio convincimento ovvero li indicasse senza una
approfondita disamina logica e giuridica rendendo impossibile il controllo
sulla logicità del ragionamento (Cass. n. 9105/2017). Altresì affermava che doveva
reputarsi erronea, oltre che inconferente era
l’evocazione degli artt. 100
c.p.c. e 1102 c.c., atteso che com’era noto la nozione di pari uso della cosa
comune andava intesa nel senso che vi era il divieto di alterarne la
destinazione e l’obbligo di consentirne l’uso paritetico agli altri
comproprietari; ne conseguiva che il singolo condomino avrebbe potuto servirsi
del bene anche fini esclusivamente propri e di trarne ogni possibile utilità
(Cass. n. 6458/2019). Tutti e tre i motivi venivano ritenuti infondati.
Gli ermellini ritenevano fondato solo il quarto motivo mosso dai ricorrenti,
con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116
c.p.c. oltre che gli artt. 1102, 1140, 1141, 1164 e 2697 c.c. lamentando che il
Giudice di prime cure condannando i convenuti al ripristino ed al rilascio
della porzione del sottotetto era andato oltre la domanda e la Corte
d’Appello distrettuale aveva omesso l’esame sul punto, essendosi limitata
esclusivamente a confermare la pronuncia di merito circa la demolizione del
muro in capo agli appellanti, senza la disamina in merito alla condanna a
rimuovere i beni mobili collocati nel sottotetto condominiale. La Suprema Corte,
pertanto, evidenziava la sussistenza del vizio procedurale per violazione
dell’art. 112 c.p.c. che le impediva di prendere in esame la censura di merito
riguardo la rimozione dei beni mobili collocati dai ricorrenti nell’area
condominiale.
Per tali
motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e cassava con rinvio ad
altra sezione della Corte d’Appello territoriale competente.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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R. Corretto l’operato delle forze dell’ordine, intervenute appena sessanta minuti dopo il fatto e a seguito di una chiamata al 113 effettua da un familiare della vittima. Decisiva la constatazione che la persona indiziata è stata trovata in possesso della autovettura con specchietto modificato utilizzata per eseguire la truffa.
(Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 27229/20; depositata il 30 settembre)
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R. Legittima l’azione compiuta dall’Agenzia delle Entrate basata sulle spese sostenute dalla contribuente. Privo di concretezza e di prove il richiamo fatto da quest’ultima alle elargizioni di denaro compiute in suo favore dall’ex compagno.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza n. 20663/20; depositata il 29 settembre)
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R. Il deposito telematico del ricorso di legittimità non è ammissibile, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza sanitaria da COVID-19, in quanto l’art. 83, comma 11, d.l. n. 18/2020, convertito dalla l. n. 27/2020, prevede tale possibilità per i soli ricorsi civili.
(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 27121/20; depositata il 29 settembre)
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R. La sussistenza di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso costituisce elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003. In mancanza, il rapporto si converte automaticamente in lavoro subordinato a tempo determinato.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 20666/20; depositata il 29 settembre)
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