Il Condominio è un consumatore?

Il Condominio è un consumatore?

Gli artt. 1 §.1 e 2 Lett. b) Direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il Condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, sentenza 2 aprile 2020, causa C-329/2019 . 

Il caso. Un Condominio milanese impugnava un precetto notificato assieme al verbale di mediazione da una ditta che gli forniva energia termica per chiedere la refusione di € 2.1025,43 pari agli interessi di mora. La richiesta si fondata su una clausola del contratto di fornitura in virtù della quale il Condominio, in caso di ritardato pagamento, s’impegnava a versare “interessi di mora al tasso del 9,25% e ciò dal momento della scadenza del termine di pagamento al saldo”. Il Condominio eccepiva, pertanto, il carattere abusivo della clausola. Il giudice del rinvio osservava che tale clausola era, in effetti, abusiva e che, sulla scorta della giurisprudenza della Corte, esso avrebbe potuto annullarla d’ufficio. Tuttavia, detto giudice s’interrogava in merito alla possibilità di considerare un Condominio di diritto italiano come rientrante nella categoria dei consumatori, ai sensi della direttiva 93/2013. A tale riguardo, il suddetto giudice menzionava la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione Italiana secondo cui, da un lato, i condomini, pur non essendo persone giuridiche, si vedevano riconoscere la qualità di “soggetto giuridico autonomo”. Dall’altro, secondo la medesima giurisprudenza, le norme a tutela dei consumatori si applicavano ai contratti stipulati tra un professionista e l’amministratore di un Condominio, definito come un “ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti”, in considerazione del fatto che l’amministratore agiva per conto dei vari condomini, i quali dovevano essere considerati come consumatori. Inoltre, ricordava la giurisprudenza della Corte in forza della quale la nozione di “consumatore” doveva essere fondata sulla natura di persona fisica del soggetto giuridico interessato. Nondimeno, ad avviso di detto giudice, il fatto di escludere l’applicabilità della direttiva 93/13 per il solo motivo che la persona interessata non fosse né una persona fisica né una persona giuridica rischierebbe di privare di protezione taluni soggetti giuridici, nel caso in cui esistesse una situazione di inferiorità rispetto al professionista tale da giustificare l’applicazione del regime sulla tutela dei consumatori. Il problema principale era che secondo la prassi della CGUE e la Direttiva 93/13 recepita dal nostro codice del consumo (e da tutte le altre analoghe norme comunitarie) il consumatore poteva essere solo una persona fisica che agiva per fini privati esulanti da quelli professionali e/o commerciali (EU:C:2001:625). Era evidente, per quanto suesposto, che il Condominio non vi rientrasse. Inoltre, l’unica sentenza della CGUE, analoga alla fattispecie, aveva riconosciuto la qualità di Consumatore solo perché i singoli condomini (e non il Condominio come nel caso de quo) avevano siglato un contratto col fornitore di energia termica (EU:C:2019:1049). Secondo la CGUE gli artt. 169 TFUE e 8 Direttiva 93/13 sancivano che “gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore da essa disciplinato, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore”. Inoltre, come enunciato dal considerando 13 della Direttiva 93/13 “gli Stati membri dovrebbero restare competenti, conformemente al diritto dell’Unione, per l’applicazione delle disposizioni di tale direttiva ai settori che non rientrano nel suo ambito di applicazione”, estendendo pertanto le sue tutele anche a chi, come il Condominio, non era un consumatore ai sensi dell’art. 2 della stessa: questa estensione era concessa, più precisamente, “a condizione che una siffatta interpretazione da parte dei giudici nazionali garantisca un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati”.

Per tali motivi, il suddetto orientamento della Cassazione che qualificava il Condominio come consumatore «s’inscrive nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla summenzionata direttiva» (EU:C:2018:643), perciò l’estensione delle tutele dei consumatori era lecita ed il Condominio poteva validamente invocare il carattere abusivo della contestata clausola.

 Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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Quando il bonus prima casa può essere negato?

Quando il bonus prima casa può essere negato?

In tema di agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”, per stabilire se l’abitazione sia di lusso non assume specifica rilevanza la destinazione che l’acquirente o gli acquirenti attribuiscono al bene, sicché, in caso di acquisto “pro indiviso” di un unico cespite immobiliare (nella specie, villino di due piani, con locale autorimessa e terreno pertinenziale) da parte di due acquirenti, non è consentito il frazionamento della superficie utile tra i medesimi (nella specie, imputando a ciascuno di essi un piano dello stabile) come se il rogito notarile riguardasse due autonome alienazioni, ostandovi la contitolarità indivisa dei diritti sul bene, che consente, ai sensi dell’art. 1102 c.c., a ciascun comunista la facoltà di usare il bene comune. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, ordinanza n. 7850/2020, depositata il 16 aprile.

Il caso. La Commissione tributaria regionale competente, rigettava l’appello proposto dai ricorrenti e, per l’effetto, confermava la sentenza di primo grado, dichiarando legittimo l’avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia dell’Entrate non aveva riconosciuto ai contribuenti, in relazione al contratto da essi stipulato il 29 maggio 2006, il diritto alle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa, stante la natura di lusso dell’immobile. La CTR fondava la propria decisione sulla circostanza che l’immobile in esame si sviluppava su due piani, ciascuno dei quali di mq 240 e, dunque, la somma di essi era superiore al parametro indicato dal D.M. 2 agosto 1969 al fine di godere dell’agevolazione richiesta.

Avverso tale sentenza i contribuenti proponevano ricorso per cassazione. Sostanzialmente i ricorrenti rilevavano che i giudici del merito avevano errato nel ritenere come unico l’immobile oggetto di compravendita, dovendosi esso considerare composto da due distinti appartamenti posti su due piani diversi e, quindi, autonomi, con la conseguenza che non poteva sommarsi la loro superficie e, dunque, agli stessi doveva riconoscersi l’agevolazione richiesta. A sostegno di tale assunto i contribuenti rilevavano che dal certificato catastale e dall’attivazione di due diverse utenze domestiche di luce e gas risultava evidente la suindicata autonomia. Altresì, i ricorrenti lamentavano che la CTR avrebbe omesso ogni motivazione circa l’onere probatorio posto in capo all’Amministrazione essendosi i giudici di merito limitati ad affermare la legittimità dell’operato di quest’ultima basato “su di un parere espresso nel merito dall’Agenzia del Territorio competente”, laddove il richiamato parere non poteva assurgere ad elemento probatorio sul quale fondare la pretesa tributaria. L’assenza di qualsivoglia elemento probatorio sul quale risultava fondato l’avviso impugnato si riverberava, poi, sempre secondo l’assunto difensivo, in una sostanziale omessa motivazione dell’atto impositivo con conseguente violazione del diritto di difesa dei contribuenti. Il Supremo Collegio riteneva che la sentenza impugnata avesse fatto corretta applicazione dei criteri previsti per la qualificazione di un immobile come di lusso. Secondo il combinato disposto degli artt. 6 d.m. 2 agosto 1969 e 40 d.P.R. n. 1142/1949, si evinceva infatti che ai fini fiscali, dovevano essere considerati abitazioni di lusso gli immobili aventi una superficie utile complessiva maggiore di 240 mq, a nulla rilevando che si trattasse di appartamenti compresi in fabbricati condominiali o singole unità abitative. Inoltre, “In tema di agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”, per stabilire se l’abitazione sia di lusso non assume specifica rilevanza la destinazione che l’acquirente o gli acquirenti attribuiscono al bene, sicché, in caso di acquisto “pro indiviso” di un unico cespite immobiliare (nella specie, villino di due piani, con locale autorimessa e terreno pertinenziale) da parte di due acquirenti, non è consentito il frazionamento della superficie utile tra i medesimi (nella specie, imputando a ciascuno di essi un piano dello stabile) come se il rogito notarile riguardasse due autonome alienazioni, ostandovi la contitolarità indivisa dei diritti sul bene, che consente, ai sensi dell’art. 1102 c.c., a ciascun comunista la facoltà di usare il bene comune”. (Cass. Civ. n. 7457/2016). Sulla base di tali principi, risultava evidente come i ricorrenti avevano confuso “il concetto di unità immobiliare, rilevanti ai fini dell’applicazione dell’agevolazione richiesta, e quello di unità abitativa”.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

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D. Il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare in giudizio le ragioni del trasferimento del lavoratore?

D. Il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare in giudizio le ragioni del trasferimento del lavoratore?

R. In tema di trasferimento del lavoratore, fermo restando che l’atto del datore di lavoro non è soggetto ad oneri di forma e di motivazione, devono tuttavia sussistere precise ragioni tecniche, organizzative e produttive che il datore di lavoro è chiamato ad indicare puntualmente e provare in sede giudiziale in caso di contestazione da parte del lavoratore.

(Tribunale di Napoli, decreto depositato il 4 marzo 2020)

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D. L’arco temporale della pericolosità sociale limita i beni confiscabili?

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R. I beni acquistati fuori dal periodo di manifestazione della pericolosità sociale possono essere oggetto di confisca di prevenzione solo se sono individuati, con adeguata motivazione capace di illustrarne la consistenza, i dati di fatto rivelatori di una diretta provenienza di quei beni dalla illecita ricchezza formatasi in precedenza.

(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 12329/20; depositata il 16 aprile)

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D. Domanda per il permesso di soggiorno infondata: è automatica la revoca del patrocinio a spese dello Stato?

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R. La revoca dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato è conseguenza automatica, ex art. 74, c. 2, d.p.r. n. 115/2002, della dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda. Tale misura mira ad evitare i costi derivanti dalla proposizione di domande infondate o di iniziative giudiziarie attivate con malafede e colpa grave ed è oggetto di apprezzamento da parte del giudice di merito.  

(Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 7869/20; depositata il 16 aprile)

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