Con riferimento al credito retributivo insinuato dal
lavoratore allo stato passivo fallimentare, in base ai principi in materia di
efficacia probatoria delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro, esse
sono pienamente valide ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o
del suo timbro. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez.
Lavoro, ordinanza n. 74/2021, depositata il 7 gennaio.
Il caso. Il Tribunale competente rigettava
l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 98 L. Fall., avverso lo stato
passivo del fallimento della società, da cui era stata escluso il credito,
dalla medesima insinuato, di Euro 10.244,85 a titolo di T.f.r. e ultime tre
mensilità. Esso ne riteneva il difetto di prova per la mancata sottoscrizione
delle buste paga prodotte, in violazione della L. n. 4 del 1953, art. 1,
nell’inapplicabilità dell’art. 2735 c.c. e nella loro inopponibilità, in
assenza di data certa, al curatore avente qualità di terzo in sede di
accertamento dello stato passivo.
Avverso tale sentenza la lavoratrice proponeva ricorso
per cassazione. Il Supremo Collegio, in
via di premessa, ribadiva il principio generale di terzietà del curatore in
sede di accertamento del passivo (Cass. 12 agosto 2016, n. 17080; Cass. 20
ottobre 2015, n. 21273; Cass. s.u. 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass. s.u. 28
agosto 1990, n. 8879), essendo peraltro noto che l’inopponibilità riguardasse
la data della scrittura prodotta, ma non il negozio: “sicché, esso e la sua
stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova,
prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti
dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto
del negozio stesso” (Cass. 7 ottobre 1963, n. 2664; Cass. 25 febbraio 2011, n.
4705; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2319; Cass. 22 marzo 2018, n. 7207). Secondo
gli Ermellini il Tribunale aveva correttamente applicato i principi in materia
di efficacia probatoria, “in merito al credito retributivo insinuato dal
lavoratore allo stato passivo fallimentare, delle buste paga rilasciate dal
datore di lavoro e pienamente valide come prova, ove munite, alternativamente,
della firma, della sigla o del suo timbro (Cass. 1 settembre 2015, n. 17413):
ferma restando, tuttavia, la facoltà della curatela controparte di contestarne
le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e
argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa
al prudente apprezzamento del giudice” (Cass. 5 luglio 2019, n. 18169; Cass. 11
dicembre 2019, n. 32395).
Per tali
motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la lavoratrice
alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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R. L’uso più intenso della cosa comune è consentito, ma questo non deve comportare una violazione dell’equilibrio statico e della sicurezza dello stabile, né prevaricare gli altri condomini dalla possibilità di realizzare un uso quanto meno paritetico del bene. Nel caso vengano violati i predetti principi di gestione, non si assiste ad un uso più intenso, ma vera e propria occupazione abusiva delle parti comuni.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 97/21; depositata l’8 gennaio)
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R. «La notifica ex art. 140 c.p.c. può ritenersi valida se nell’avviso di ricevimento della raccomandata informativa risulti o la consegna al destinatario o la sua conoscenza in ragione della fictio giuridica, che deve ritenersi esclusa laddove dallo stesso avviso di evinca il trasferimento o il decesso del destinatario, oppure, ancora, se l’avviso contenga attestazione di irreperibilità assoluta con conseguente consegna dell’atto al mittente, anziché suo deposito presso l’ufficio postale».
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza n. 464/21; depositata il 14 gennaio)
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R. Il bene in comunione è aggredibile per intero se pure nel limite di valore della quota del singolo debitore.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza n. 506/21; depositata il 14 gennaio)
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R. La comunicazione del testo integrale della sentenza di rigetto del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata dal cancelliere mediante PEC, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione in Cassazione ex art. 18, comma 14, l. fall..
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 568/21; depositata il 14 gennaio)
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In tema di testamento biologico, l’Ufficiale dello
Stato Civile che si rifiuti o omette un adempimento connesso all’applicazione
delle regole dettate dalle disposizioni del D.P.R. n. 396/2000, nonché dal
codice civile e dalle leggi ordinarie e speciali, da normative comunitarie
e da convenzioni internazionali, è passibile di ricorso innanzi al Tribunale
competente al fine di sentirsi ordinare la ricezione dell’atto di disposizione
anticipata di trattamento (DAT) per scrittura privata predisposta dal
disponente, è, per l’effetto, procedere all’annotazione nel Registro dei
Testamenti Biologici istituito presso il Comune competente. Questo è quanto
stabilito dal Tribunale di Napoli, sez. XIII Civile, decreto depositato il 3
novembre.
Il caso. Con ricorso il ricorrente chiedeva ordinarsi all’Ufficiale dello Stato Civile
del Comune competente di ricevere l’atto di Disposizione Anticipata di
Trattamento ( DAT) per scrittura privata, con susseguente annotazione
nell’apposito Registro dei Testamenti Biologici istituito presso
l’Amministrazione del territorio. Il ricorrente precisava di aver formulato la
richiesta al Comune via PEC, in esecuzione della procedura dallo stesso
dettata, secondo la quale il cittadino doveva richiedere un appuntamento per
depositare l’atto contenente le DAT redatte a norma dell’art. 4 L. n. 219/2017
ed allegava di aver effettuato regolarmente la procedura indicata dal Comune e
di non avere, tuttavia, ottenuto alcuna interlocuzione, nota, appuntamento o
riscontro; decorsi oltre trenta giorni e
preso atto del rifiuto ad adempiere dell’Ufficiale dello Stato Civile, formulava la richiesta oggetto del ricorso. Il Tribunale, in composizione
collegiale, accoglieva il ricorso. Il Tribunale condivideva l’impostazione data
dal ricorrente tendente ad inquadrare la fattispecie nella tipologia del
silenzio dell’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in virtù di quanto
sancito dell’art. 95 D.P.R. n. 396/2000 (Nuovo Ordinamento dello Stato Civile),
secondo cui ” ….. chi ……
intende opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in
tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una
annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui
circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato
l’atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito
l’adempimento”. Presupposto dell’azione era che l’attività richiesta dal cittadino non
fosse connotata dalla discrezionalità della Pubblica Amministrazione e che il
rifiuto di adempiere incidesse nella sfera giuridica del destinatario. Il
Tribunale, a norma del successivo art. 96
del D.P.R. 396/2000, poteva senza particolari formalità, assumere informazioni, acquisire
documenti e disporre l’audizione dell’Ufficiale dello Stato Civile. Nel caso de quo, l’inadempimento dell’Ufficiale di
Stato Civile del Comune si era consumato in materia di ricezione e raccolta
delle DAT, ossia delle disposizioni anticipate di trattamento, di cui all’art.
41. 219/2017. La norma prevedeva che “ogni persona maggiorenne, capace di
intendere e di volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di
autodeterminarsi può, attraverso disposizioni anticipate di trattamento (DAT),
esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti
sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o
terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di
nutrizione e idratazione artificiali, e può procedere alla nomina di un
fiduciario che ne faccia le veci e la rappresenti nella relazione con il medico
e con le strutture sanitarie”. Il comma 6 del predetto articolo disponeva
che “le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura
privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal
disponente presso l’ufficio dello stato civile del Comune di residenza del
disponente medesimo che provvede all’annotazione in apposito registro ove
istituito oppure presso le strutture sanitarie, quando ricorrono i presupposti
di cui al comma 7”. Ne derivava che le DAT raccolte in sede locale dovevano andare ad
alimentare la banca dati nazionale; il D.M. 10.12.2019 n. 168, disciplinava le
modalità di registrazione delle DAT nella banca dati che aveva la funzione di
raccogliere copie delle DAT, garantire il tempestivo aggiornamento in caso di
rinnovo, modifica o revoca, assicurarne la piena accessibilità sia da parte del
medico che aveva in cura il paziente, in situazione di incapacità di
autodeterminarsi, sia da parte del disponente che del fiduciario eventualmente
da lui nominato. In qualsiasi momento il dichiarante poteva revocare il
deposito del proprio testamento biologico, poteva richiederne la sostituzione o
indicare un nuovo fiduciario; in questi casi doveva ripetere tutto il
procedimento al pari di un nuovo testamento biologico e, solo il dichiarante o
il suo fiduciario, potevano richiedere la riconsegna di quanto depositato.
Per tali motivi la domanda veniva accolta integralmente;
nulla per le spese di lite trattandosi di procedimento non contenzioso attratto
nella disciplina dettata dagli artt. 737 e ss c.p.c. che veniva definito con
decreto.
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