R. Esclusa la responsabilità di un Comune per il presunto mobbing lamentato dal dipendente inquadrato come comandante della Polizia municipale. Presi in esame diversi episodi, frutto di conflittualità ma non caratterizzati da un intento persecutorio nei confronti del lavoratore. Irrilevante anche la patologia che lo ha colpito, patologia connessa con lo stress vissuto in ambito lavorativo.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 14879/20; depositata il 13 luglio)
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R. Nell’ambito dei lavori straordinari, il Condominio non può imporre i lavori in tutte le unità immobiliari anche se servono ad ammodernare l’impianto elettrico. Difatti, l’assemblea non ha il potere di invadere la sfera di proprietà dei singoli partecipanti, a meno di un’accettazione esplicita degli interessati.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 14300/20; depositata l’8 luglio)
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R. Confermata la decisione del Tribunale di sorveglianza. Decisive le relazioni della direzione della struttura, relazioni che attestano i discutibili comportamenti tenuti dal condannato. Ciò è sufficiente, secondo i giudici, per ritenere che sia venuta meno la necessaria adesione del condannato ai contenuti essenziali della misura alternativa alla detenzione.
(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 20703/20; depositata il 10 luglio)
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R. Il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento della prole, già sanzionato penalmente, non è compreso nel novero delle condotte inadempienti per le quali può essere irrogata anche la sanzione pecuniaria “amministrativa”, che invece può essere comminata per le tante condotte, prevalentemente di fare infungibile, che possono costituire oggetto degli obblighi relativi alla responsabilità genitoriale e all’affidamento di minori.
(Corte Costituzionale, sentenza n. 145/20; depositata il 10 luglio)
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In caso di mancata nomina dell’amministratore, l’assemblea, ai sensi
dell’art. 1135 c.c., ha sempre il potere di ratificare la spesa effettuata
direttamente da parte di alcuni condomini in ordine ai lavori di manutenzione
straordinaria delle parti comuni, ancorché non indifferibili ed urgenti. Ne
consegue che, in caso di ritardo nella partecipazione delle spese di
riparazione e la conseguente impossibilità di documentarle, non spetta il
risarcimento per la mancata fruizione dei benefici fiscali. Questo è quanto stabilito
dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 6,
ordinanza n. 10845/2020 depositata l’8 giugno.
Il caso. La Corte d’Appello distrettuale accoglieva l’appello formulato dal
Condominio contro la sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale
competente e respingeva l’opposizione avanzata dalla condomina contro il
decreto ingiuntivo relativo ai contributi per il rifacimento della facciata
condominiale, come da delibera assembleare. In particolare, secondo la Corte
territoriale, era stata raggiunta la prova della imputabilità al Condominio
della spesa per il rifacimento della facciata condominiale, in quanto, seppur
il contratto d’appalto aveva inizialmente visto come committenti alcuni singoli
condomini, di seguito era stato nominato un amministratore del Condominio che
aveva curato l’esecuzione del rapporto con l’impresa incaricata. Ad avviso
della Corte d’Appello, le opere di manutenzione straordinaria della facciata
erano comunque essenziali e necessarie, per lo stato in cui versava la stessa,
sicché era legittima la delibera dell’assemblea volta a ripartire le relative
spese benché l’intervento non fosse stato inizialmente approvato
collegialmente. La legittimità di tale delibera
veniva ricavata anche dal passaggio in giudicato della sentenza con cui il
Giudice di prime cure aveva rigettato l’impugnativa della deliberazione in
questione. Pertanto, la Corte d’Appello riteneva infondata la domanda
riconvenzionale risarcitoria della condomina per la mancata fruizione dei
benefici fiscali, dovendo la stessa, ove davvero non fosse più in grado di
beneficiare delle agevolazioni, imputare a se stessa il ritardo nella
partecipazione delle spese di riparazione e la conseguente impossibilità di
documentarle.
Avverso tale sentenza la condomina proponeva ricorso per cassazione
eccependo, con il primo motivo, che “le prove raccolte, ivi comprese le
fatture emesse dalla ditta appaltatrice e dal Direttore dei Lavori” erano
in direzione contraria alla imputabilità della spesa di manutenzione della
facciata al Condominio, invece ravvisata dalla Corte d’Appello. In particolare,
evidenziava la ricorrente che le fatture emesse dall’impresa appaltatrice erano
state intestate al Condominio, pur provenendo i pagamenti dai singoli
condomini, e non dall’amministratore; del resto, la rappresentanza formale del
Condominio, con la nomina di un amministratore, si sarebbe perfezionata soltanto
dopo la conclusione dei lavori. L’assemblea, secondo la ricorrente, avrebbe
dunque ratificato spese sostenute non dall’amministratore, ma dai singoli
condomini committenti, sicché soltanto costoro avrebbero potuto agire per il
rimborso. Con il secondo motivo, la ricorrente
precisava di aver rilevato la nullità della delibera in questione, in quanto
inerente altresì a lavori sui balconi di proprietà esclusiva, sicché tale
nullità non poteva dirsi coperta dal giudicato maturato sulla impugnazione
della medesima deliberazione. Con il terzo
motivo, la ricorrente eccepiva che la Corte d’Appello aveva erroneamente
escluso il nesso causale tra il comportamento messo in atto dai condomini, che
avevano affidato i lavori di rifacimento della facciata senza approvazione
assembleare, e la decadenza dal beneficio delle detrazioni fiscali. Secondo il
Supremo Collegio, “l’assemblea, ai sensi dell’art. 1135 c.c., nell’esercizio
dei poteri di gestione del condominio, ha sempre il potere di ratificare la
spesa effettuata dall’amministratore, ovvero, in caso di mancata nomina dello
stesso, direttamente da parte di alcuni condomini (come si assume avvenuto nel
caso in esame) in ordine a lavori di manutenzione straordinaria delle parti
comuni, ancorché non indifferibili ed urgenti. Non viene infatti in gioco, nel
presente giudizio, la pretesa di rimborso azionata dai singoli condomini, in
base a quanto previsto dall’art. 1134 c.c., ma proprio il potere assembleare di
approvazione, seppur in via di ratifica, delle opere di manutenzione
straordinaria e di ripartizione delle rispettive spese tra tutti i partecipanti”.
Non assumeva alcuna decisività la circostanza che il Condominio avesse
proceduto alla nomina dell’amministratore soltanto dopo la conclusione dei
lavori, in quanto l’Amministratore, per effetto della nomina ex art. 1129 c.c.,
aveva soltanto una rappresentanza “ex mandato” dei vari
condomini; sicché, la sua mancata nomina non privava questi ultimi del potere
di agire personalmente a difesa dei propri diritti, trovando piuttosto
applicazione l’art. 1105 c.c., il quale stabiliva le regole di amministrazione
della cosa comune (applicabile, in forza del rinvio contenuto nell’art. 1139
c.c. in materia condominiale), ferma la configurabilità di una ratifica
assembleare dell’operato negoziale dei singoli partecipanti mediante
approvazione del riparto dei rendiconti di spesa (Cass. Sez. 6-2, 03/04/2012,
n. 5288). Al riguardo, la Corte territoriale aveva giustamente affermato che la
ricorrente doveva imputare a sé il ritardo nella partecipazione delle spese e
la conseguente impossibilità di documentare le stesse allo scopo di poter
beneficiare delle detrazioni fiscali. Infatti, il singolo condomino che, in
ipotesi di lavori eseguiti su parti condominiali, non avesse in concreto
provveduto ai relativi pagamenti, contestando la sussistenza del proprio
obbligo di contribuzione (per essere state le opere di manutenzione
commissionate da altri comproprietari), e non si fosse potuto perciò avvalere
delle detrazioni in ragione della spesa sostenuta per l’intervento edilizio, in
forza dell’art. 1 della L. n. 449/1997, non poteva accampare alcuna
pretesa risarcitoria nei confronti dell’intero Condominio, essendo stato
proprio l’inadempimento dell’interessato la causa che aveva determinato la
perdita della facoltà di detrarre il relativo costo dall’imposta sul reddito
delle persone fisiche.
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la
ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di
legittimità.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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L’acquirente
dell’unità immobiliare che sia subentrato nel Condominio, non può essere
ritenuto obbligato in via diretta verso il terzo creditore relativamente ai
debiti sorti in un momento precedente
all’acquisto. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI
Civile – 2 ordinanza n. 12580/2020, depositata il 25 giugno.
Il caso. Un condomino, partecipante ad un
Condominio, proponeva opposizione al precetto notificatogli da un avvocato per
il pagamento della somma di Euro 8.270,66, quale quota millesimale di sua
competenza del maggior credito di Euro 99.124,98 riconosciuto a favore del
medesimo avvocato nel decreto ingiuntivo emesso a carico del Condomino a titolo
di corrispettivo di attività giudiziali e stragiudiziali svolte tra il 2002 ed
il 2008. A fondamento dell’opposizione il condomino sosteneva, tra le altre
ragioni, di non essere tenuto al pagamento pro quota del suddetto debito
condominiale per essere tale debito sorto quando egli non era ancora condomino,
avendo acquistato il proprio immobile nel 2013. Il Tribunale competente
accoglieva l’opposizione al precetto.
Avverso tale sentenza
l’avvocato interponeva gravame. La Corte
d’Appello distrettuale riformava interamente la sentenza di primo grado. Il Giudice di seconde cure fondava
il proprio convincimento su una serie di considerazioni che facevano propendere
la bilancia a favore del creditore. Dopo
aver premesso che l’art. 63 disp. att. c.c. opererebbe solo nei rapporti tra
condomino e Condominio e non anche nei rapporti tra Condomino e terzi creditori
del Condominio, riteneva il condomino fosse obbligato nei confronti dell’avv.
in forza del disposto dell’art. 1104 c.c., comma 3, applicabile al Condominio
per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c.. In particolare, secondo la Corte
d’Appello distrettuale, la disposizione per cui “il cessionario del
partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti
e non versati” induceva a ritenere il cessionario obbligato verso i terzi
in solido con cedente; né a tale conclusione ostava il riferimento letterale
della menzionata disposizione ai “contributi”, in quanto, si leggeva
nella sentenza di secondo grado, “la comunione non è dotata (salvo casi
marginali) di una struttura organizzativa complessa o di criteri di
ripartizione degli oneri particolarmente elaborati… così che la gestione si
esaurisce nella ripartizione degli oneri tra i partecipanti in proporzione
delle rispettive quote”. A sostegno della propria tesi la Corte d’appello
adduceva altresì l’esigenza, di carattere pratico, di non caricare il terzo
creditore dell’onere, potenzialmente molto gravoso, di accertare chi fossero i
componenti della compagine condominiale al momento dell’insorgenza
dell’obbligazione.
Avverso tale sentenza
il condomino proponeva ricorso per cassazione con un solo motivo, ovvero
denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1139 c.c. e dell’art.
63 disp. att. c.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in cui la
Corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo il cessionario di una unità
immobiliare di un fabbricato condominiale obbligato, ai sensi dell’art. 1104
c.c., a rispondere dei debiti del condominio verso terzi pur quando si
trattasse di debiti sorti anteriormente al sua acquisto. Secondo la Suprema
Corte l’assunto dell’impugnata sentenza contrastava col tenore letterale della
disposizione dettata dall’art. 1104 c.c., che si riferiva ai
“contributi” dovuti non versati. Equiparare, ai fini della
responsabilità del cessionario di un’ unità condominiale, la nozione di
“contributi” con quella di quota millesimale del credito vantato dal
terzo nei confronti della comunione contrastava con il canone ermeneutico,
fissato nell’art. 12 preleggi, del “significato proprio delle
parole”; il debito per “contributi” era infatti, per
definizione, un debito nei confronti degli altri comunisti, non un debito nei
confronti dei terzi. D’altra parte, la Corte osservava come “La
costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai
singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni
contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del
condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun
partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la
appartenenza di questo al condominio, in quanto è comunque la contitolarità
delle parti comuni che ne costituisce il fondamento e l’amministratore può
vincolare i singoli comunque nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato
conferitogli (Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148). Non può pertanto essere
obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del
vincolo solidale ex art. 63 disp. att. c.c., chi non fosse condomino al momento
in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese
condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria
amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della
delibera assembleare inerente i lavori”. Secondo gli Ermellini, quanto
all’assunto sviluppato nella memoria depositata dal ricorrente ai sensi
dell’art. 380 bis c.p.c., alla cui stregua la decisione della Corte d’appello
era conforme all’orientamento espresso da questa Corte nella sentenza n.
24654/10, era sufficiente rilevare che esso si fondava su una lettura errata
tale ultima sentenza. Nella sentenza n. 24654/10, infatti, si instaurava una
distinzione tra: a) spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla
conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione
di servizi nell’interesse comune; b) spese attinenti a lavori che comportino
una innovazione o che, seppure diretti alla migliore utilizzazione delle cose
comuni od imposti da una nuova normativa, comportino, per la loro particolarità
e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla
manutenzione ordinaria dell’edificio. Tale distinzione concerneva
l’individuazione del momento in cui nasceva l’obbligazione condominiale, che,
per le spese di cui sub a), coincideva con il compimento effettivo
dell’attività gestionale mentre, per le spese di cui sub b), coincideva con la
data di approvazione della delibera condominiale (avente valore costitutivo)
che disponeva l’esecuzione degli interventi. Ma, in entrambi i casi, il
soggetto su cui gravava il debito era colui che partecipava al Condominio nel
momento di insorgenza dell’obbligazione, quale che fosse tale momento (cfr.
sent. n. 24654/10, pag. 6, § 1.2: “In generale il condomino è tenuto a
contribuire nella spesa la cui necessità maturi e risulti quando egli è
proprietario di un piano o di una porzione di piano facente parte del
condominio: e siccome l’obbligo nasce occasione rei e propter rem, chi è parte
della collettività condominiale in quel momento deve contribuire”).
Per tali motivi la Corte di
Cassazione accoglieva il ricorso, cassava l’impugnata sentenza e rinviava alla
Corte di Appello distrettuale, in altra composizione.
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La controversia condominiale avente ad oggetto la domanda avanzata
dall’amministratore di condominio per conseguire la condanna di una condomina
al pagamento dei contributi è soggetta, in base all’art. 71-quater, comma 1,
disp. att., alla condizione di procedibilità dell’esperimento di mediazione. A
tale procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore previa però
delibera assembleare da assumere con maggioranza ex art. 1136, comma 2, c.c.. Questo
è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI civile – 2, ordinanza n.
10846/2020, depositata l’8 giugno.
Il caso. Un Condominio
conveniva in giudizio una condomina al fine di farla condannare al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata con la deliberazione assembleare di
approvazione del consuntivo. Il Giudice di Pace competente dichiarava improcedibile la domanda attorea in quanto il
Condominio, pur invitato dal giudice, non aveva attivato la procedura di
mediazione obbligatoria, a causa della mancata adozione da parte dell’assemblea
condominiale, nonostante il rinvio dell’incontro di mediazione, della delibera
di autorizzazione all’amministratore di parteciparvi.
Avverso
tale sentenza il Condominio interponeva gravame. Ad avviso del
Tribunale, meritava conferma la soluzione della questione raggiunta dal primo
giudice, visto, appunto, che la procedura di mediazione obbligatoria era
rimasta infruttuosa per il difetto dell’autorizzazione assembleare alla
partecipazione dell’amministratore (essendo la relativa riunione andata
deserta). La decisione del giudice di appello poggiava sul testo dell’art. 71
quater c.c., comma 3, disp. att., dovendosi nella specie dire mancata la
procedura di mediazione, che si era chiusa senza neppure sentire le parti e
tentare la conciliazione a seguito dell’inerzia dell’assemblea nel concedere la
necessaria autorizzazione. Secondo il Tribunale, occorreva distinguere il
profilo della autonoma legittimazione processuale dell’amministratore ad agire
in giudizio per la riscossione dei contributi dalla legittimazione dello stesso
a partecipare alla procedura di mediazione, spiegandosi nel secondo caso
l’indispensabilità della delibera dell’assemblea in base all’esigenza di
conferire a chi interveniva in mediazione la “possibilità di disporre
della lite, vale a dire di negoziare sulla res controversa, salva poi la
ratifica da parte dell’assemblea della proposta di mediazione”. La
sentenza impugnata osservava, dunque, come il mancato concreto svolgimento
della mediazione fosse da addebitare al Condominio attore, essendo rimasto
insoddisfatto l’obbligo previsto dal D. Lgs. n. 28 del 2010, art. 5 e
successive modificazioni di attivare la procedura di mediazione, obbligo che
comportava non soltanto l’introduzione della stessa, ma anche di presenziarvi
“munito dei necessari poteri, essendo questi necessari per il buon esito
del procedimento”.
Avverso tale decisione, il Condominio proponeva ricorso per cassazione. Gli
Ermellini rilevavano immediatamente come
il Tribunale competente avesse comunque fatto corretta applicazione del testo
dell’art. 71 quater disp. att. c.c. (inserito dalla L. 11 dicembre 2012, n.
220). Tale norma al comma 1 indicava quali fossero le “controversie in
materia di condominio” che, ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art.
5, comma 1, erano soggette alla condizione di procedibilità dell’esperimento
del procedimento di mediazione, tra le quali certamente rientrava la domanda
avanzata dall’amministratore di Condominio per conseguire di condanna di una
condomina al pagamento dei contributi (come nel caso in esame). Il medesimo
art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, aggiungeva, quindi, che “al
procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera
assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma
2”. L’art. 71 quater, comma 4, contemplava poi l’ammissibilità di una proroga
del termine di comparizione davanti al mediatore per consentire di assumere la
deliberazione autorizzativa dell’assemblea, alla quale, infine, il comma 5 di
tale disposizione rimetteva l’approvazione della proposta di mediazione, da
votare con la medesima maggioranza occorrente per garantire la partecipazione
dell’amministratore alla procedura. L’art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3,
lettera, portava, allora, a concludere, identicamente a quanto sostenuto dal
Tribunale, che la condizione di procedibilità della “controversie in
materia di condominio” non potesse dirsi realizzata allorché, come
avvenuto nel caso in esame, all’incontro davanti al mediatore l’amministratore
partecipasse sprovvisto della previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza
di cui all’art. 1136 c.c. comma 2, non essendo in tal caso
“possibile” iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo
svolgimento della stessa, come supponeva il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 8,
comma 1. Non rilevava nel senso di escludere la necessità della delibera
assembleare ex art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, il fatto che si
trattasse, nella specie, di controversia che altrimenti rientrava nell’ambito
delle attribuzioni dell’amministratore, in forza dell’art. 1130 c.c., e con
riguardo alla quale perciò sussisteva la legittimazione processuale di
quest’ultimo ai sensi dell’art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o
ratifica dell’assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all’ambito della
rappresentanza istituzionale dell’amministratore, questi non poteva partecipare
alle attività di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto
l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui
all’art. 1136 c.c., comma 2, era altrimenti comunque sprovvisto del potere di
disporre dei diritti sostanziali che erano rimessi alla mediazione, e, dunque,
privo del potere occorrente per la soluzione della controversia. Tale evenienza
non corrispondeva, dunque, all’ipotesi contemplata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n.
28, art. 5, comma 2 bis, il quale disponeva che “quando l’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al
mediatore si conclude senza l’accordo”, in quanto, ancor prima che
mancato, qui l’accordo amichevole di definizione della controversia era privo
di giuridica possibilità. Spettava infatti all’assemblea (e non
all’amministratore) il “potere” di approvare una transazione
riguardante spese d’interesse comune, ovvero di delegare l’amministratore a
transigere, fissando gli eventuali limiti dell’attività dispositiva negoziale
affidatagli. Parimenti, l’art. 1129 c.c., comma 9 (sempre introdotto dalla L.
11 dicembre 2012, n. 220) obbligava l’amministratore ad “agire per la
riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla
chiusura dell’esercizio nel quale sia compreso il credito esigibile, a meno che
non sia stato espressamente dispensato dall’assemblea”, non rientrando,
quindi, tra le attribuzioni dell’amministratore il potere di pattuire con i
condomini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi senza apposita
autorizzazione dell’assemblea.
Per tali motivi la Corte di Cassazione
rigettava il ricorso e condannava il ricorrente a rimborsare alla
controricorrente le spese sostenute nel giudizio di legittimità.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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In tema di delibazione di sentenza ecclesiastica con cui sia stata
dichiarata la nullità del matrimonio, l’ipotesi ostativa della
contrarietà all’ordine pubblico per ragioni inerenti alla tutela della
buona fede e dell’affidamento incolpevole può essere rilevata d’ufficio.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 11633/20; depositata il 16 giugno)
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R. Il volontario abbandono del tetto coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione in quanto comporta l’impossibilità della convivenza. Tuttavia, a chi ha posto in essere l’abbandono è lasciata la possibilità di provare che lo stesso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge.
(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 12241/20; depositata il 23 giugno)
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La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la censura all’art. 263
c.c. laddove non esclude la legittimazione ad impugnare il
riconoscimento del figlio da parte di chi lo abbia effettuato nella
consapevolezza della sua non veridicità.
(Corte Costituzionale, sentenza n. 127/20; depositata il 25 giugno)
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