D. Si configura il reato di furto con destrezza nel caso in cui si prende le scarpe, le si nasconde nella borsa e si rimette a posto la scatola?

D. Si configura il reato di furto con destrezza nel caso in cui si prende le scarpe, le si nasconde nella borsa e si rimette a posto la scatola?

R. Nessun ridimensionamento per la condotta insidiosa tenuta dal ladro nell’esercizio commerciale. Per i Giudici, difatti, ci si trova di fronte a un’attività volta chiaramente a buggerare il titolare del negozio.  

(Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza n. 33227/20; depositata il 26 novembre

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D. Veicolo danneggiante senza assicurazione: a chi spetta la prova?

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R. Grava sul danneggiato l’onere di dimostrare che la vettura danneggiante è priva di copertura assicurativa: in difetto, non può essere chiamato a rispondere dei danni il Fondo di garanzia per le vittime della strada.  

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 26908/20; depositata il 26 novembre)

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LA SANITA’ CALABRESE NEL CAOS…L’AVV. LUIGI CIAMBRONE “DOVREMMO RIUNIRCI E FONDARE UN MOVIMENTO DI RINASCIMENTO CALABRESE”

LA SANITA’ CALABRESE NEL CAOS…L’AVV. LUIGI CIAMBRONE “DOVREMMO RIUNIRCI E FONDARE UN MOVIMENTO DI RINASCIMENTO CALABRESE”

Ci dobbiamo chiedere come mai la politica calabrese sceglie i soliti direttori generali delle ASP e delle A.O.. Noi siamo stati per 10 anni consulenti esterni dell’ASP di Vibo Valentia e abbiamo visto cose che voi umani non potreste neppure immaginare (…Blade Runner). Gli abbiamo vinto tutte le cause in sede amministrativa, civile e penale  dando la possibilità concreta al management di poter costruire il Nuovo Ospedale. Insomma chiavi in mano…e sai cosa hanno fatto? Nulla perché volevano spartirsi tangenti a cui noi ci siamo opposti. Morale della favola? Il pool tecnico-scientifico (voluto all’epoca dalla lungimirante Doris Lo Moro) è stato smantellato e l’ospedale di Vibo ne parlano ancora oggi… La sanità calabrese non vuole management preparati ma meri fantocci proni agli interessi da cortile della politica (delibere di comodo, nomine, assegnazioni, appalti pilotati ecc.) e vuole consulenti giuridici pronti a firmare qualsiasi cosa per “legittimare” l’azione politica piegati ad interessi politico-partitici. Questi avvocati vengono remunerati subito e con parcelle gonfiate, chi come noi si è opposto al malgoverno della sanità calabrese ancora sta aspettando il saldo delle parcelle (agganciate al minimo delle tariffe forensi) da oltre otto anni…la storia finirà con il solito ricorso in sede giudiziaria… Noi che rappresentiamo l’ intellighenzia calabrese, per i risultati conseguiti sul campo e non certamente per rendite da posizione,  dovremmo ai tanti calabresi onesti un cambiamento. Dovremmo riunirci e fondare un movimento di rinascimento calabrese…ma si sa gli impegni sono molteplici e la voglia…

Violazione delle distanze legali e azione dell’amministratore senza l’autorizzazione dell’assemblea

Violazione delle distanze legali e azione dell’amministratore senza l’autorizzazione dell’assemblea

Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall’amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall’assemblea a norma dell’art. 1131 c.c., comma 1. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza n. 23190/2020, depositata il 23 ottobre.

Il caso. Il Condominio ricorrente conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale competente una condomina deducendo che la convenuta aveva edificato un fabbricato sul fondo posto a confine con l’edificio condominiale a distanza inferiore a quella di legge, chiedendo pertanto la riduzione in pristino, con la condanna al risarcimento del danno. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea.

Avverso tale sentenza la convenuta interponeva appello. La Corte d’Appello distrettuale riformava la decisione gravata, rigettando integralmente la domanda del Condominio. Rilevava che nel caso di specie era applicabile il principio della prevenzione, ma che erroneamente il Tribunale non aveva considerato che la convenuta aveva posto la sua costruzione prevenuta a norma di legge.
Infatti, il Condominio aveva costruito per primo ponendosi rispetto al confine ad una distanza di metri 5,00 dallo spiccato delle fondazioni ed a metri 3,63 partendo dagli sporti del fabbricato condominiale. L’appellante, invece, aveva successivamente costruito collocando la sua costruzione a metri 5,00 dal confine, avendo quindi rispettato la distanza prescritta dallo strumento urbanistico locale che era pari a metri 5,00 dal confine, non essendo invece rilevante il mancato rispetto della distanza tra costruzioni. Pertanto, doveva essere riformata la sentenza impugnata, laddove aveva disposto l’arretramento del fabbricato.

Avverso tale sentenza il Condominio proponeva ricorso per cassazione, lamentando il mancato accoglimento della domanda di arretramento del fabbricato della convenuta e contestando il rigetto della richiesta di risarcimento danni per la violazione delle disposizioni sulle distanze legali. Gli Ermellini dichiaravano il ricorso inammissibile a causa della carenza della valida autorizzazione dell’amministratore di Condominio da parte dell’assemblea ai fini della proposizione del ricorso. Al riguardo, il Supremo Collegio richiama il principio secondo il quale “Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall’amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall’assemblea a norma dell’art. 1131 c.c., comma 1.” Detto ciò, rilevava che nel caso de quo il Condominio non aveva provveduto a sanare la suddetta carenza con la produzione dell’originaria autorizzazione oppure con un’autorizzazione a ratifica del proprio operato.

Per tali motivi la Corte di Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile e condannava il ricorrente al rimborso delle spese di legittimità.

Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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Luci e vedute: è necessaria la coesistenza di inspectio e prospectio

Luci e vedute: è necessaria la coesistenza di inspectio e prospectio

Affinché sussista una veduta, secondo l’art. 900 c.c., è necessaria la coesistenza dei due requisiti dell’inspectio, cioè la possibilità di godere di una completa visuale frontale sul fondo del vicino e della prospectio, ovvero la possibilità di affacciarsi e guardare il detto fondo anche lateralmente ed obliquamente. La contemporanea sussistenza dei suindicati requisiti, oltre ad essere l’elemento caratterizzante della veduta, si traduce, sul piano pratico, nella possibilità, per una persona di media altezza, di avere una visuale agevole, cioè esercitabile in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza e senza l’utilizzo di mezzi artificiali. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 23952/2020, depositata il 29 ottobre.

Il caso. I comproprietari di un appartamento agivano nei confronti della proprietaria dell’immobile confinante, che, nel corso di lavori di ristrutturazione edilizia, aveva abusivamente mutato la fisionomia di una finestra, da mera luce in veduta. Gli attori chiedevano, quindi, che la convenuta fosse condannata ad operare il ripristino della finestra al suo preesistente stato di luce. Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda attorea e, conseguentemente, condannava la convenuta.

Avverso tale sentenza la convenuta soccombente interponeva appello. La sentenza di primo grado veniva completamente riformata sul presupposto che l’elemento distintivo fra la veduta e la semplice luce sarebbe la possibilità di avere, attraverso l’apertura, una visuale agevole sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi non sarebbe, invece, un elemento determinante, ai fini della detta distinzione.

Avverso tale pronuncia gli appellati proponevano ricorso per cassazione. In particolare lamentavano la violazione dell’art. 900 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e censuravano la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello aveva ritenuto che l’elemento che caratterizzava la veduta rispetto alla luce era la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi era prevista dall’art. 900 c.c. in aggiunta a quella di guardare, sicché, in date condizioni, la mancanza di quest’ultimo requisito non escludeva la configurabilità della veduta quando, attraverso l’apertura, fosse comunque possibile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice inspectio, e che, in forza di tale principio, l’apertura in questione, poiché consentiva dal fondo dominate cui ineriva un’ampia visione del fondo servente sul quale si affacciava, doveva essere configurata come una veduta e non come una mera luce. Secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello così facendo aveva violato, però, il principio per cui la sussistenza della veduta richiede non soltanto la inspectio ma anche la prospectio, e cioè l’affaccio, che consisteva nella agevole possibilità, in condizioni di sicurezza, di sporgere il capo oltre l’apertura e di guardare non solo di fronte ma anche obliquamente e lateralmente nel fondo del vicino. Secondo gli Ermellini, il Supremo Collegio  aveva ripetutamente affermato il principio per cui, “affinché sussista una veduta, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare frontalmente ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale (Cass. n. 8009 del 2012; conf., Cass. SU 10615 del 1996; Cass. n. 15371 del 2000; Cass. n. 480 del 2002; Cass. n. 22844 del 2006). L’elemento caratterizzante la veduta, infatti, è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali e affinché ciò avvenga, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto, senza ricorrere all’impiego di mezzi artificiali, ad una visione mobile e globale (Cass. n. 11319 del 2018, in motiv.; Cass. n. 346 del 2017, la quale, proprio in forza di tale principio, ha escluso che possa avere carattere di veduta un’apertura munita di una struttura metallica, incorporata nel muro di confine)”.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e cassava, con rinvio, la sentenza impugnata per un nuovo esame.

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Il vano sottoscala è proprietà esclusiva o parte comune?

Il vano sottoscala è proprietà esclusiva o parte comune?

Il singolo condomino non può vantare alcun diritto di proprietà esclusiva in virtù di un precedente testamento sul vano sottoscala il quale, per effetto del nuovo assetto immobiliare post-ricostruzione intervenuto dopo la formazione del testamento e prima della morte del de cuius, sia venuto a ricomprendersi nelle parti comuni ex art. 1117 c.c.. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 23119/2020, depositata il 22 ottobre.

Il caso. Un condomino conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale competente una condomina lamentando l’occupazione, da parte della stessa, del vano scala condominiale ubicato al piano terra. Chiedeva, pertanto, che l’androne scala del fabbricato fosse dichiarato comune a tutti i proprietari degli immobili a cui garantiva l’accesso in ragione dei millesimi di proprietà a ciascuno imputabili, con condanna della citata convenuta all’eliminazione della pavimentazione installata, del tubo in ferro infisso nel pavimento e di tutto quanto allocato nelle scale condominiali. La domanda veniva respinta dal Giudice di prime cure.

Avverso tale sentenza il condominio interponeva appello. La Corte d’appello distrettuale accoglieva il gravame e, per l’effetto, dichiarava che l’androne scala del fabbricato in questione aveva natura condominiale e, di conseguenza, condannava l’appellata ad eliminare le opere eseguite nel relativo spazio, oltre che al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. A fondamento dell’adottata decisione, i giudici di secondo grado, premessa la qualificazione della formulata domanda come domanda di rivendicazione ed individuata la porzione immobiliare oggetto di controversia, ritenevano che in virtù della documentazione prodotta era emersa la natura condominiale del controverso androne e che l’appellata non poteva vantare alcun diritto di esclusiva proprietà sullo stesso per effetto del testamento, poiché la relativa disposizione “mortis causa” relativa allo stanzino in discorso doveva considerarsi inefficace ai sensi dell’art. 654 c.c., siccome aveva ad oggetto una bene inesistente nell’asse ereditario al tempo del decesso del testatore.

Avverso tale sentenza, la soccombente proponeva ricorso per cassazione. La ricorrente sosteneva che la corte d’appello avesse erroneamente applicato l’art. 654 c.c. in una situazione in cui non si versava in tema di legato ma di istituzione di erede. La temporanea inesistenza del bene, perché in costruzione al momento dell’atto, non avrebbe dunque potuto comportare l’inefficacia della disposizione testamentaria. Gli Ermellini, pur rilevando la formale errata applicazione della norma, ritenevano infondata la censura. La sentenza impugnata aveva, infatti, appurato che lo stanzino non avrebbe potuto ritenersi ricompreso tra i beni di proprietà del de cuius e, quindi, oggetto di istituzione ereditaria. Infatti il vano, anche se esistente all’atto del testamento, non lo era più all’apertura della successione testamentaria per effetto della sopravvenuta ricostruzione dell’intero immobile che non prevedeva più il vano ripostiglio sottoscala conformemente al progetto approvato da tutti i comproprietari. In conclusione, la ricorrente non avrebbe potuto (come affermato dalla Corte territoriale seppur in applicazione erronea dell’art. 654 c.c.) vantare alcun diritto di proprietà esclusiva in virtù del testamento sul vano sottoscala il quale, per effetto del nuovo assetto immobiliare post-ricostruzione intervenuto dopo la formazione del testamento e prima della morte del de cuius, era venuto a ricomprendersi nelle parti comuni ex art. 1117 c.c..

Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

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