Condominio: la divisione dev’essere strutturale

Condominio: la divisione dev’essere strutturale

VI criteri per la divisione di un Condominio in Condomini autonomi non sono dati dalla presenza delle parti comuni ad una unità immobiliare, ma dalle caratteristiche strutturali della costruzione. Le parti prima oggetto di diritto di comunione ex art. 1117 c.c. possono infatti, nel perdurare della loro fruizione, divenire poi oggetto di diverso regime giuridico quale quello fondato sul diritto di servitù.  Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 22041/2019, depositata il 3 settembre.

Il caso. Alcuni condomini convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale competente, gli altri condomini del Condominio deducendo di rappresentare oltre un terzo dei comproprietari previsto dall’art. 61 disp. att. c.c. e, poiché l’attuale consistenza condominiale era iniqua ed inutilmente complessa, imponendo la partecipazione dei condomini a spese per spazi e servizi da cui non traevano alcuna utilità, sebbene non potessero reputarsi comuni, chiedevano che, attesa l’autonomia strutturale dei vari corpi di fabbrica presenti nel Condominio, fosse disposto lo scioglimento dello stesso Condominio e la sua scomposizione in cinque unità autonome, provvedendosi in ogni caso a dichiarare la nullità delle tabelle millesimali attualmente applicate, in quanto errate e prive di fondamento ex art. 69 disp. att. c.c., provvedendosi alla stesura delle nuove tabelle e con il riconoscimento del diritto degli attori alla ripetizione delle somme indebitamente versate sulla scorta delle tabelle errate. Disposta C.T.U., il Tribunale adito rigettava la domanda di scioglimento del Condominio, stante l’accertata esistenza di compenetrazioni ed intersezioni tra le varie unità immobiliari, tali da comportare che le stesse sarebbero ricadute in due distinti condomini, attesa anche l’anomalia rappresentata dalla permanenza dei contatori dell’acqua e del gas di uno dei futuri Condomini nell’androne di un altro Condominio. Conseguentemente, anche la domanda relativa alle tabelle millesimali veniva rigettata.

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Avverso tale sentenza le originarie parti attrici interponevano gravame e la Corte d’Appello territoriale  rigettava l’impugnazione per assenza di due condizioni prescritte dall’art. 61 disp. att. c.c.: 1. era assente il quorum, in quanto dal riparto operato dalla ctu, risultava che la collocazione di una delle unità immobiliari (sviluppantesi in verticale) impediva il raggiungimento del quorum richiesto dalla legge (un terzo dei comproprietari della parte dell’edificio di cui era richiesta la separazione), che era presente solo per una delle quattro parti risultanti dal riparto; 2. era assente quello dell’autonomia delle parti oggetto di divisione ex art. 61 disp. att. c.c.: il supplemento di ctu evidenziava che ben otto unità immobiliari sarebbero rientrate in due diversi condomini (“con una evidente situazione di interferenze e sovrapposizioni”). La carenza di autonomia strutturale non era nemmeno superabile con la predisposizione di nuove tabelle millesimali. Inoltre, la domanda relativa alla nullità delle stesse tabelle veniva respinta, non in quanto ritenuta assorbita dalla domanda principale (diversamente da quanto concluso dal tribunale), ma in quanto erronea: le tabelle erano state approvate all’unanimità nel 1995. Una volta esclusa, alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. 18477/2010), la necessità dell’unanimità dei condomini per approvare le tabelle, essendo sufficiente anche la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, era carente l’allegazione posta a supporto della domanda, mancando la puntuale individuazione delle ragioni per le quali i valori millesimali di cui alla tabella sarebbero errati e non corrispondenti all’effettivo assetto proprietario.

Avverso tale sentenza le originarie parti appellanti proponevano ricorso per cassazione. I ricorrenti affermavano la violazione degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. e 1117 cc. e cioè che: in realtà dalla ctu risultava che le parti dell’attuale Condominio erano distinte e facilmente identificabili e la divisione non aveva creato problemi nella gestione delle parti comuni; altresì, affermavano che il calcolo del quorum operato dalla Corte d’appello avesse violato la prescrizione dell’art. 1117 c.c., avendo essa escluso che la collocazione di un immobile nella proiezione verticale di altro Condominio potesse essere operata sulla base della presenza di scale, ingresso e androni necessari ad accedere allo stesso. Preliminarmente, la censura circa l’errato calcolo del quorum veniva disattesa. In primis veniva rilevato che si trattava di un accertamento di fatto operato dal giudice di merito – il quale aveva rilevato che l’unità in questione, pur accedendo dal Condominio indicato con il n. 3, andava poi a svilupparsi in direzione verticale nel Condominio indicato con il n. 4 – nell’ambito dell’indagine volta a verificare la presenza di autonomia strutturale delle parti ai fini della divisione del Condominio in via giudiziale. Secondo i ricorrenti, la presenza di parti comuni quali scale, androne, ingresso etc. doveva portare a includere l’immobile nel condominio cui le dette parti appartenevano. La Suprema Corte rilevava come sfuggiva, a tale prospettazione, la circostanza che tale valutazione qui era operata nel momento in cui il Condominio era ancora unico, non diviso, “con la conseguenza che ogni singola unità immobiliare ivi inclusa può vantare diritti di comunione sui beni rientranti nel novero di cui all’art. 1117 c.c. laddove posti a servizio della stessa”. Andava, altresì, escluso che ricorresse la dedotta violazione delle norme in tema di scioglimento del Condominio. A tal fine veniva richiamata la costante giurisprudenza della Corte che, già a far data da Cass. n. 1964/1963, aveva affermato che “a norma degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., lo scioglimento del Condominio di un edificio o di un gruppo di edifici, appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi, in tanto può dare luogo alla costituzione di condomini separati, in quanto l’immobile o gli immobili oggetto del condominio originario, possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, quand’anche restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’art. 1117 c.c..” Il tenore della norma, riferito all’espressione “edifici autonomi” escludeva di per sé che il risultato della separazione si concreti in un’autonomia meramente amministrativa, giacché, più che ad un concetto di gestione, il termine “edificio” andava riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più Condomini, doveva essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola estensione che poteva consentirsi a tale interpretazione era quella prevista dall’art. 62 citato, il quale faceva riferimento all’art. 1117 c.c. (parti comuni dell’edificio in quanto destinate in modo permanente al servizio generale e alla conservazione dell’immobile, riguardato sia nel suo complesso unitario che nella separazione di edifici autonomi). In questo ultimo caso, l’istituzione di nuovi Condomini non era impedita dalla permanenza, in comune delle cose indicate dall’art. 1117 c.c., la cui disciplina d’uso avrebbe potuto formare oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri relativi. Al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo espressamente previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare non poteva attuarsi se non mediante interferenze ben più gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri Condomini, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, era da escludere, in tale ipotesi che l’edificio scorporando potesse avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa. Trattasi di principi assolutamente condivisibili e che sono stati ripresi anche dalla più recente giurisprudenza che aveva ribadito che (Cass. n. 27507/2011) “l’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento di un condominio solo quando il complesso immobiliare sia suscettibile di divisione, senza che si debba attuare una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, mentre, laddove la divisione non sia possibile senza previa modifica dello stato delle cose mediante ristrutturazione, lo scioglimento e la costituzione di più condomini separati possono essere approvati soltanto dall’assemblea con un numero di voti che sia espressione di due terzi del valore dell’edificio e rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio”. era necessario vedere anche la Cass. n. 21686/2014 che aveva affermato che “l’espressione “edifici autonomi”, non consente di accedere all’esito interpretativo secondo cui il risultato della separazione si possa concretizzare in una autonomia meramente amministrativa, giacché, più che ad un concetto di gestione, il termine “edificio” va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, deve essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo”.  Il Supremo Collegio, poi, ribadiva come l’assenza di autonomia strutturale prescritta dalla legge non potesse essere sopperita dalla creazione di nuove tabelle millesimali, realizzando così una mera divisione amministrativa. La Corte, infine, escludeva la pertinenza del richiamo al precedente di cui Cass. n. 4439/1982, relativo ad un caso di unione, mediante abbattimento di un muro, di due unità dello stesso proprietario e successiva divisione del Condominio, dove si affermava che, dato il carattere ricognitivo dello scioglimento del Condomino ex artt. 61 e 62 disp. att. c.c., con la divisione del Condominio, quel Condomino potesse ritenersi obbligato a ripristinare la separazione ovvero autore di un’indebita imposizione di servitù, salvo che non si desse prova dell’esistenza di un unico edificio. I due casi non sono assimilabili, osservavano i giudici di legittimità, in quanto in quello di specie non era data prova che la sovrapposizione delle unità immobiliari fosse stata operata illegittimamente dopo la costruzione o non fosse invece da ricondursi alla costruzione originaria e dunque alla volontà del costruttore di dare vita ad un edificio dove i corpi di fabbrica erano privi di autonomia. In assenza di tali prove non poteva discutersi circa la legittimità delle attuali costruzioni e dunque lo stato di fatto precludeva la divisione del Condominio. Ove diversamente si concludesse per la divisione delle singole unità, si imporrebbero alle proprietà individuali limitazioni incompatibili con i presupposti richiesti dalla legge per la divisione del Condominio.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti. 

Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express

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D. Quali sono i limiti operativi dell’esimente del diritto di esercizio della difesa in giudizio?

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R. L’ambito di operatività della scriminante del diritto di esercizio della difesa in giudizio, prevista dall’art. 598 c.p. e concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti processuali e nei discorsi pronunciati nell’ambito del giudizio ordinario o amministrativo, è limitata al solo caso in cui esse risultino funzionali all’esercizio del diritto di difesa e a condizione che siano pertinenti all’oggetto del giudizio, con la conseguenza che essa non opera, qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede.    

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 22184/19; depositata il 5 settembre)

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D. Fallimento, due curatori succedutisi nel tempo: quali sono le regole per il calcolo del compenso?

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R. Tutti i curatori interessati hanno diritto di partecipare al procedimento di liquidazione. Se si succedono più curatori si applica il principio proporzionale.  

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 22272/19; depositata il 5 settembre)

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Bluff sui prodotti in menù:il ristoratore va condannato per “frode commerciale”?

Bluff sui prodotti in menù:il ristoratore va condannato per “frode commerciale”?

È inevitabile la condanna per “frode commerciale” del titolare del ristorante che utilizza prodotti congelati non segnalati e prodotti differenti da quelli indicati nel menù. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 36640/2019, depositata il 29 agosto.

Il caso. La Corte d’appello territoriale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale competente, confermava la condanna, rideterminando la pena, del titolare di un esercizio pubblico operante nel settore della ristorazione, poiché aveva posto in essere atti diretti in modo non equivoco a somministrare agli avventori, prodotti diversi da quelli pubblicizzati nei menù; in particolare, aveva utilizzato per le preparazioni pesci ghiaccio al posto dei pubblicizzati bianchetti e prodotti congelati senza la relativa specifica indicazione sul menù.

L’imputato proponeva ricorso per cassazione. La decisone dei giudici di merito veniva condivisa e confermata dalla Suprema Corte. A suo parere, infatti, era inequivoco il quadro emerso grazie al blitz nel locale: gli Operanti avevano verificato che gli alimenti giacevano nei fricongelatori senza alcuna protezione ed alla rinfusa, erano ricoperti di liquidi rappresi e presentavano tracce di rifiuti non identificati nonché tracce di bruciatura da freddo, erano ricoperti altresì di brina, segno di una lenta penetrazione del freddo con la creazione dei macrocristalli. In cucina vi era un frigorifero abbattitore di temperatura che, all’atto ispettivo, era spento ed utilizzato come dispensa. Hanno altresì verificato che non erano stati rinvenuti alimenti freschi, ma solo congelati e che a disposizione dei clienti vi erano due menù. Su uno dei due, per i gamberi, era riportata l’espressione “a seconda del mercato potrebbero essere surgelati”, mentre sull’altro era indicato che “alcuni prodotti potrebbero essere congelati”, senza indicare quali; tra gli antipasti erano poi indicati “pesci bianchetti fritti”, ma, dal controllo degli alimenti, non se n’erano rinvenuti, sicché era stata utilizzata una confezione parzialmente utilizzata di “pesci ghiaccio congelati”, che risultavano visibilmente simili ai bianchetti. Nessun dubbio, quindi, sulla responsabilità del titolare del ristorante per la frode messa in atto ai danni dei clienti. E questa constatazione, secondo gli Ermellini, non poteva essere messa in discussione dalla “acquisita dimostrazione” grazie ad alcune fatture del “quotidiano approvvigionamento di alimenti freschi” nonché del “loro costante utilizzo”: tale dato “non elide il risultato ispettivo” emerso in occasione del blitz nel locale.

Per tali motivi la Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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D. Quando può applicarsi il codice del consumo in materia di spese condominiali?

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R. La Corte di Cassazione chiarisce quando possono applicarsi le norme contenute nel codice del consumo alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore ovvero dall’originario unico proprietario dell’edificio.  

(Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 19832/19; depositata il 23 luglio)

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D. Va fuori strada il Sindaco che ordina alla Provincia il rifacimento del guard rail?

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R. Se ignoti abbandonano rifiuti a margine della strada, il Sindaco non può ordinare alla Provincia di ripristinare il guard rail danneggiato per limitare il passaggio dei trasgressori. Le funzioni di questo manufatto stradale infatti non attengono al passaggio pedonale ma alla sicurezza della circolazione.  

(TAR Campania, sez. V, sentenza n. 4368/19; depositata il 19 agosto)

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