R. Respinte le obiezioni proposte dalla moglie. Confermata la decisione d’Appello: riconosciuta la validità per lo Stato italiano della sentenza ecclesiastica che ha cancellato il vincolo coniugale. Decisivo il richiamo alla facile conoscenza per la donna della volontà dell’uomo di non volere figli durante la vita coniugale.
(Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 32027/19; depositata il 9 dicembre)
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R. Per i Giudici non vi sono dubbi sull’abuso compiuto dall’uomo sotto processo, che, a precisa richiesta, si è rifiutato di spostare l’auto, così impedendo a un’altra persona di accedere al cortile e recuperare gli attrezzi di sua proprietà.
(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 51236/19; depositata il 19 dicembre)
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Oggi festeggiamo la liberazione della parte sana della Calabria: un grazie al dott. Gratteri e alle forze dell’Ordine che oggi hanno dimostrato che non esistono più intoccabili a Catanzaro ed in Calabria!
Personalmente già 10 anni fa, pubblicamente, denunciavo il malaffare dei colletti sporchi (non bianchi) questi i video su YouTube:
https://youtu.be/xyZbSUfwwtc
Con l’importantissima decisione del 05.12.2019 (ricorso n. 9085/2019 RG) la terza sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello cautelare proposto da ANEP nei confronti della Regione Piemonte, Ministero della Salute e Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’appello cautelare è stato voluto da tutta la dirigenza ANEP, con in testa il suo Presidente Dott. Nicola TITTA, e proposto dalla partnerchip professionale dell’Avv. Antonella MASCARO, unitamente al Collega Avv. Marco CROCE, avverso una Ordinanza di rigetto del TAR Piemonte n. 355/19 che non aveva colto le fondate censure rivolte alla Deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte del 16 maggio 2019 n. 128-9035 avente ad oggetto le nuove indicazioni riguardanti il personale con funzioni di educatori professionali operanti nei servizi sanitari e socio/sanitari. Il Consiglio di Stato, capovolgendo e riformando totalmente la decisione di primo grado, in accoglimento delle censure di diritto mosse dai difensori di ANEP, ha accolto l’incidente cautelare ordinando al TAR Piemonte di fissare il merito del ricorso così statuendo: “… Ritenuto in considerazione della natura delle censure proposte…che la misura più idonea alla tutela delle esigenze cautelari rappresentate dagli appellanti, sia la sollecita fissazione dell’udienza di merito presso il TAR, ex art. 55 comma 10 cpa…P.Q.M. accoglie l’appello …e per l’effetto in riforma dell’impugnata ordinanza accoglie l’istanza cautelare in primo grado…”. Oltre ai vizi di natura amministrativa si ė avanzata una articolata eccezione di costituzionalità che dovrà, ora, essere pienamente valutata dai giudici amministrativi piemontesi a cui, i Giudici di Palazzo Spada, hanno rinviato la causa per una celere definizione nel merito. In prima battuta i giudici del TAR Piemonte non avevano rettamente inteso le censure di diritto mosse da ANEP ma ora, dopo la ineccepibile decisione del Supremo Consesso dei giudici amministrativi, dovrà rivedere tutta la parte motiva del ricorso introduttivo. Un altra vittoria di Davide contro Golia, dopo quella di giugno sempre al Consiglio di Stato attraverso il patrocinio dei medesimi difensori di ANEP gli Avv. Croce e Avv. Mascaro. Oltre alla Regione Piemonte hanno resistito all’appello cautelare di ANEP anche il Ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio dei Ministri ma le loro tesi sono state smentite dalla decisione del Consiglio di Stato che, invece, ha accolto pienamente quelle di ANEP per come strutturate dall’Avv. Antonella MASCARO e dall’Avv. Marco CROCE che hanno saputo rappresentare le ragioni dell’Associazione. Un altra decisiva vittoria di ANEP che riverbera i suoi effetti positivi in tutto il comparto degli Educatori Professionali operanti nei servizi sanitari e socio/sanitari.
Decisione che interessa 30.000 Educatori Professionali e oltre 1.000.000 di operatori socio/sanitari in tutta Italia !
Posto che l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, così come
quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, è legittima la
delibera assembleare adottata a maggioranza qualificata ex art. 1136, comma 2,
c.c. che disponga la ripartizione delle spese di manutenzione secondo criteri
differenti dalle tabelle in vigore. Questo è quanto stabilito dalla Corte di
Cassazione, sez. VI Civile – 2,
ordinanza n. 30392/2019, depositata il 21 novembre.
Il caso. Tribunale
competente emetteva decreto ingiuntivo nei confronti di alcuni condomini per il pagamento degli oneri condominiali
relativi a spese di manutenzione approvate con
delibera condominiale. Tutti i predetti decreti, emessi con clausola di
provvisoria esecutività, venivano impugnati dalle parti ingiunte, le quali
invocavano l’applicazione del regolamento condominiale in vigore che li
esonerava dall’obbligo di partecipare al riparto delle spese condominiali. Si
costituiva nei diversi giudizi di opposizione, poi riuniti, il Condominio, il
quale negava la natura contrattuale del regolamento condominiale e deduceva la
sua inopponibilità agli acquirenti dei vari appartamenti situati nello stabile.
Il Tribunale competente riconosceva
la natura non contrattuale del regolamento di condominio e quindi la sua
inopponibilità agli acquirenti dei vari appartamenti situati nello stabile, ma
rilevava che le delibere di riparto delle spese poste a base dei decreti
ingiuntivi opposti avevano suddiviso l’onere economico tra i condomini in
maniera difforme dalle vigenti tabelle millesimali. Accoglieva, quindi, le
opposizioni revocando i decreti ingiuntivi e compensando le spese del grado.
Avverso tale sentenza, interponevano appello
gli opponenti in relazione alla compensazione delle spese. Il Condominio, costituendosi in secondo grado,
invocava il rigetto dell’appello principale spiegando impugnazione incidentale
in relazione alla statuizione di revoca dei decreti opposti. La Corte d’Appello
territoriale accoglieva l’impugnazione principale, rigettando quella
incidentale, e condannava il Condominio alle spese del doppio grado.
Avverso tale sentenza il Condominio
proponeva ricorso per cassazione con un unico motivo. Il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione
dell’art. 1136 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di
Appello aveva erroneamente affermato l’insufficienza della maggioranza
qualificata dei partecipanti al condominio ai fini della modificazione delle
tabelle millesimali di riparto delle spese comuni. Secondo il ricorrente, una
volta esclusa la natura negoziale del regolamento condominiale, la
deliberazione dell’assemblea dell’ente di gestione, adottata con la maggioranza
prevista dall’art. 1136 c.c., comma 2, poteva legittimamente disporre il
riparto delle spese di conservazione delle parti comuni anche secondo un
criterio difforme da quello previsto dalle tabelle millesimali in vigore. Gli
Ermellini ribadivano il principio, posto dalle Sezioni Unite di questa Corte,
secondo cui “In tema di condominio, l’atto di approvazione delle tabelle
millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura
negoziale; ne consegue che il medesimo non deve essere approvato con il consenso
unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza
qualificata di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.” (Cass. Sez. U., Sentenza n.
18477 del 09/08/2010, successivamente confermata da Cass. Sez. 2, Sentenza n.
21950 del 25/09/2013 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27159 del 25/10/2018). Ne
derivava l’erroneità della statuizione
del giudice di appello, che – confermando sul punto la decisione del Tribunale
– aveva ravvisato la nullità delle delibere dell’assemblea condominiale con cui
erano state ripartite tra i partecipanti al condominio le spese di
conservazione e manutenzione della cosa comune, sul presupposto che la modifica
della tabella millesimale imponeva l’unanimità dei partecipanti all’ente di
gestione e non poteva essere adottata con deliberazione a maggioranza
qualificata.
Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e cassava la
sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’Appello territoriale.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express
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Il Condominio risponde, quale custode, dei danni derivanti dalle parti
comuni, mentre non ha nessuna responsabilità per quanto riguarda le parti
private. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile, –
2 ordinanza n. 16625/2019, depositata il 20 giugno.
Il caso. Una condomina conveniva,
dinanzi al Tribunale competente, il Condominio, deducendo di essere proprietaria
di un immobile, nel quale svolgeva attività di tipografia, compreso nel
complesso condominiale convenuto e sottostante ad un terrazzo di copertura di
sua esclusiva proprietà. L’attrice lamentava che, a causa di infiltrazioni
provenienti dal terrazzo, si erano verificati danni a locali e macchinari di
sua proprietà, deducendo che dette infiltrazioni fossero la conseguenza del
deterioramento della guaina di copertura del terrazzo, aggravatosi a causa
dello scarico su di essa di una serie di tubature abusive provenienti da
edifici confinanti. Il Condominio si costituiva impugnando le avverse domande e
chiedendone il rigetto. Nell’espletato accertamento tecnico preventivo,
richiesto dall’attrice, le cause delle infiltrazioni venivano individuate nell’inidoneo
impianto di raccolta delle acque, nello sversamento a cielo aperto delle
tubazioni presenti sul terrazzo, nella presenza di piccole lesioni nello stato
di impermeabilizzazione originate dalla non perfetta sigillatura dei sormonti,
nonché nella eventuale mancata verifica dello stato di conservazione delle
pluviali discendenti poste a servizio del terrazzo stesso. Il consulente
tecnico in sede di relazione di chiarimenti indicava, altresì, la rilevanza
causale delle tubazioni abusive che scaricavano sul terrazzo, tutte provenienti
da proprietà private. Il Giudice di primo grado accoglieva parzialmente la
domanda dell’attrice, condannando il Condominio al pagamento della somma
complessiva di Euro 10.500,00, oltre interessi.
Avverso
tale sentenza, l’attrice interponeva appello. La Corte di Appello territoriale negava la proprietà condominiale del terrazzo in
questione, in quanto sovrastante unicamente il piano terraneo di esclusiva
proprietà dell’opponente, costituendo di fatto un corpo di fabbrica adiacente a
quello propriamente condominiale. La sentenza di secondo grado escludeva,
pertanto, ogni responsabilità del Condominio per la mancata manutenzione del
terrazzo, anche quanto alle pluviali di proprietà esclusiva del proprietario di
questo, nonché per l’omessa vigilanza nei confronti dei condomini che avrebbero
realizzato le tubature abusive, sversando acque sul terrazzo stesso.
Avverso tale sentenza, l’opponente proponeva ricorso per cassazione con
due motivi di reclamo. La Suprema Corte, nel respingere il
reclamo, rilevava anzitutto come secondo
orientamento giurisprudenziale consolidato, “la responsabilità concorrente del
condominio con il proprietario o usuario esclusivo di un lastrico solare o di
una terrazza a livello, per i danni da infiltrazione nell’appartamento
sottostante, in base ai criteri di cui all’art. 1126 c.c., suppone che il
lastrico o la terrazza – indipendentemente dalla sua proprietà o dal suo uso
esclusivo -, per i suoi connotati strutturali e funzionali, svolga funzione di
copertura del fabbricato, ovvero di più unità immobiliari appartenenti in
proprietà esclusiva a diversi proprietari (arg. da Cass. Sez. U, 07/07/1993, n.
7449; Cass. Sez. U, 10/05/2016, n. 9449). L’obbligo del condominio di concorrere
al risarcimento dei danni da infiltrazioni cagionate dal lastrico solare o
dalla terrazza a livello che non sia comune, ex art. 1117 c.c., a tutti i
condomini, è quindi correlato all’accertamento in concreto di tale funzione di
copertura dell’intero edificio, o della parte di esso cui il bene
“serve”, in quanto superficie terminale del fabbricato”. Se, come
accertato nel caso in esame, la terrazza a livello sovrastava soltanto un piano
terraneo di proprietà esclusiva, costituendo un autonomo corpo di fabbrica
rispetto all’edificio condominiale, l’inconfigurabilità di una responsabilità
risarcitoria concorrente del Condominio, da quantificare secondo il criterio di
imputazione previsto dall’art. 1126 c.c., discendeva dal difetto della funzione
di copertura e protezione dell’edificio, che costituiva la ratio di tale
disposizione. I giudici di seconde cure avevano, dunque, correttamente escluso
ogni tipo di responsabilità da parte del Condominio per l’omessa manutenzione
della terrazza di proprietà della ricorrente, aggiungendo che la conclusione
cui era pervenuta non sarebbe mutata in riferimento alle pluviali discendenti
dalla terrazza stessa, giacché comunque, per obbiettive caratteristiche
strutturali, esse servivano in modo esclusivo all’uso o al godimento di quella
parte dell’immobile, il che faceva venir meno il presupposto per il
riconoscimento di un obbligo di curarne la manutenzione in capo agli altri
condomini. La sentenza impugnata aveva, quindi, negato la responsabilità del
Condominio ai sensi dell’art. 2051 c.c., infatti, “in tema di responsabilità
civile per i danni cagionati da cose in custodia, postula la sussistenza di un
rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento
lesivo. In tal senso, il condominio di un edificio può intendersi custode dei
beni e dei servizi comuni, e perciò obbligato ad adottare tutte le misure
necessarie affinché le parti comuni non rechino pregiudizio ad alcuno,
rispondendo dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva
di uno dei condomini. Viceversa, il singolo condomino non può pretendere di
affermare la responsabilità del condominio, a norma dell’art. 2051 c.c., per il
risarcimento dei danni sofferti a causa del cattivo funzionamento di tubazioni
di scarico delle acque destinate a servizio esclusivo di proprietà individuali,
di cui alcune (come nella specie, accertato in base a giudizio di fatto
demandato al giudice del merito) pure estranee al complesso condominiale,
essendo il condominio stesso tenuto alla custodia ed alla manutenzione
unicamente delle parti e degli impianti comuni dell’edificio. L’eliminazione
delle caratteristiche di una cosa, che rendono questa atta a produrre danno,
deve essere chiesta nei confronti del proprietario-possessore della cosa stessa,
la cui responsabilità è presunta a norma dell’art. 2051 c.c.”. Pertanto, il
singolo condomino, quale nel caso di specie la ricorrente, che subiva
pregiudizio da impianti di scarico delle acque, afferenti al servizio esclusivo
di altro condomino o di un terzo, poteva agire individualmente in giudizio nei
confronti di quest’ultimo al fine di ottenere la rimozione delle tubazioni
dannose per la sua proprietà esclusiva, senza dover attendere che si attivasse
all’uopo il Condominio.
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
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