Chi è responsabile per le infiltrazioni provenienti dal terrazzo di copertura del Condominio?

Chi è responsabile per le infiltrazioni provenienti dal terrazzo di copertura del Condominio?

In caso di  infiltrazioni d’acqua provenienti dal manufatto per la mancata manutenzione sono corresponsabili un Condominio ed il proprietario di un terrazzo ricoprente quest’ultimo. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2 ordinanza n. 6816/2021, depositata l’11 marzo.

Il caso. Con atto di citazione due condomini convenivano in giudizio la proprietaria del terrazzo di copertura del Condominio nel quale entrambi risiedevano, nonché lo stesso Condominio, affinché fossero condannati in solido all’esecuzione dei lavori necessari ad eliminare le infiltrazioni verificatesi negli appartamenti di loro proprietà in conseguenza delle precipitazioni, con la condanna altresì al risarcimento dei danni. Deducevano che la causa dei danni era da addebitare sia alla proprietaria esclusiva del terrazzo di copertura del fabbricato, sia al Condominio, che aveva omesso di assicurare la necessaria manutenzione e impermeabilizzazione della terrazza. La base normativa dell’azione dei danneggiati, infatti, era l’articolo 1126 c.c., che prevedeva che “quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”, nonché l’art. 2055 c.c. dove si leggeva al primo comma che “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno”. L’omessa manutenzione, imputabile sia al Condominio che ai condomini, era stata la causa del danno e in ragione di ciò entrambi i convenuti dovevano secondo l’attore essere condannati. Si costituiva in giudizio il Condominio, chiedendo il rigetto della domanda o, comunque, che la condanna fosse irrogata alla sola condomina che aveva omesso l’ordinaria manutenzione della terrazza. Il Tribunale competente accoglieva la domanda attorea soltanto nei confronti del Condominio.

Avverso tale sentenza il Condominio interponeva appello chiedendo l’estensione della condanna anche alla proprietaria del terrazzo. La Corte d’Appello affermava che la condanna fosse stata erroneamente comminata al solo Condominio quando, ai sensi di legge, anche la condomina proprietaria della terrazza doveva essere considerata come responsabile in solido. I giudici di secondo grado dopo avere evidenziato che dalle indagini peritali emergeva che le cause delle infiltrazioni oggetto di causa erano da individuare in parte nella non corretta impermeabilizzazione del terrazzo di copertura di proprietà esclusiva della convenuta ed in parte nelle pessime condizioni in cui versava il cornicione con l’annesso canale di gronda, riteneva che dovesse pervenirsi alla condanna in solido del condominio e della proprietaria esclusiva del bene alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9449/2016 secondo la quale “in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria; il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio”. La Corte d’Appello riformulava parzialmente la sentenza di primo grado estendendo la responsabilità anche alla condomina.

Avverso tale sentenza la parte soccombente proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1126 e 2055 c.c., in quanto, proprio alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9449/2016 non sarebbe stato possibile affermare una responsabilità soldale tra il Condominio ed i singoli condomini. Secondo gli Ermellini, i Giudici di secondo grado avevano correttamente deciso sul punto estendendo la condanna anche alla condomina e applicando così i principi dettati dalle citate Sezioni Unite n. 9449/2016. Inoltre, affermavano che, in base a quanto affermato dalle Sezioni Unite, in relazione ai danni provenienti da lastrico solare di proprietà esclusiva, sussisteva una concorrente responsabilità per la mancata manutenzione del Condominio e del proprietario. Pertanto, l’omissione di atti conservativi integrava una violazione per il Condominio per mancata conservazione delle parti comuni (nel caso il lastrico solare fungesse da copertura per l’edificio) e del Condomino ai sensi dell’art. 2051 c.c., in quanto unico soggetto custode del bene e con una cognizione diretta del suo stato di conservazione.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata con rinvio.

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Nonna uccisa in un sinistro:la nipote va risarcita senza dover provare un legame “speciale”

Nonna uccisa in un sinistro:la nipote va risarcita senza dover provare un legame “speciale”

Per ottenere il risarcimento iure proprio del danno non patrimoniale, il nipote deve fornire la prova di un rapporto di reciproco affetto e solidarietà con la defunta e non di un rapporto eccedente la fisiologica intensità delle relazioni con la nonna o un rapporto di convivenza con la stessa, che potranno invece rilevare in sede di quantificazione del danno. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 5258/2021, depositata il 25 febbraio.

Il caso. La Corte d’Appello distrettuale, confermando la pronuncia di primo grado, non riconosceva il danno non patrimoniale sofferto iure proprio dalla nipote a seguito dell’uccisione della nonna in un sinistro stradale; per i giudici di seconde cure l’esistenza di un rapporto costante di affetto e la frequentazione nei fine settimana non erano sufficienti, era necessaria la prova di un legame più forte, eccedente l’intensità fisiologica dei rapporti con l’ascendente.

Avverso tale sentenza la nipote proponeva ricorso per cassazione lamentando che il giudice di merito, pur avendo accertato che la nonna era partecipe della sua vita, che vi era frequentazione durante le riunioni familiari, nonché la cura della nipote durante i primi tre anni di vita della medesima e poi durante i fine settimana, non aveva riconosciuto il danno non patrimoniale, esigendo la prova di un legame eccedente la normale relazione affettiva fra vittima e superstite, laddove invece, in assenza di convivenza, ciò che doveva essere provata era l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e di solidarietà con il familiare defunto. Secondo gli Ermellini “In tema di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta “iure proprio” dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, poiché la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., non è limitata alla cd. “famiglia nucleare”, il rapporto tra nonni e nipoti, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, non può essere ancorato alla convivenza, escludendo automaticamente, in caso di insussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (Cass. n. 7743 del 2020, n. 29332 del 2017 e n. 21230 del 2016)”. La Suprema Corte censurava i Giudici di merito per avere confuso i criteri relativi al quantum con quello che presiedeva invece all’an debeatur. Il diritto al risarcimento per la lesione del rapporto parentale prevedeva infatti che fosse fornita la prova di “rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”, che dalla motivazione della sentenza di merito risultavano accertati e che costituivano il presupposto di fatto del danno risarcibile. L’esistenza invece di un legame eccedente l’ordinario rapporto di affetto, di cui la Corte d’Appello non aveva ritenuto essere stata fornita la prova, avrebbe potuto incidere non sull’an bensì sul quantum e, quindi, sulla liquidazione del danno, così come l’eventuale rapporto di convivenza.

Per tali motivi la Corte di Cassazione cassava la sentenza e rinviava alla Corte di Appello competente.

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L’ex moglie ha diritto all’assegno se disoccupata e in difficoltà nel cercare un lavoro

L’ex moglie ha diritto all’assegno se disoccupata e in difficoltà nel cercare un lavoro

All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 4494/2021 depositata il 19 febbraio.

Il caso. La Corte d’appello distrettuale confermava la decisione di primo grado, che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra i due  coniugi e affidato congiuntamente agli stessi la figlia minore, con domiciliazione della stessa presso la madre, cui veniva assegnata la casa coniugale, con obbligo per il marito di corrispondere alla moglie la somma mensile di Euro 300,00, a titolo di assegno di divorzio, e di Euro 450,00, a titolo di contributo al mantenimento della figlia, oltre la metà delle spese straordinarie. In particolare, i giudici d’appello sostenevano che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio si poteva desumere dal reddito percepito dal marito, dal momento che la moglie non aveva mai lavorato, e dal fatto che i coniugi vivevano in alloggio di proprietà e che non era dimostrato un rifiuto della moglie a cercare un lavoro; inoltre, non era provato che il solo marito sostenesse le spese condominiali della casa coniugale di proprietà dello stesso ma assegnata alla moglie, non poste a suo carico, o le spese straordinarie della figlia, ripartite, secondo la decisione del Tribunale, in parti uguali tra i coniugi; doveva essere mantenuto l’importo dell’assegno divorzile e di mantenimento della figlia minore, considerate, per quest’ultima, le esigenze correlate all’età ed alla frequenza della scuola elementare.

Avverso tale sentenza il coniuge proponeva ricorso per cassazione. Il ricorrente contestava la valutazione compiuta dai Giudici di merito. A suo parere, infatti, sul fronte della “determinazione dell’assegno di divorzio” non si era tenuto conto del reale “tenore di vita goduto dai coniugi durante la convivenza”, essendo il ricorrente “un operaio con reddito di 1.400 euro mensili netti e proprietario di un unico immobile, acquistato prima del matrimonio, adibito a casa coniugale ed assegnato alla moglie”, e non si era compiuta “una verifica dell’inadeguatezza dei mezzi della moglie, in rapporto alla sua capacità di trovare un lavoro”.  Altresì, il ricorrente proponeva l’ipotesi di “una riduzione  dell’assegno in favore della moglie e della figlia” evidenziando “il vantaggio economico per l’ex consorte, assegnataria della casa coniugale”, e, allo stesso tempo, si soffermava sulla “scelta, assunta di comune accordo con l’altro coniuge, di fare frequentare una scuola privata alla figlia”, annotando però che solo su di lui era ricaduto “tale onere” dal punto di vista economico. La Suprema Corte, a Sezioni Unite, con la recente sentenza n. 18287/2018, aveva chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che: “1) il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto; 2) all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate; 3) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. Pertanto, secondo gli Ermellini, nel caso de quo, il giudizio espresso dalla Corte di merito risultava corretto anche alla luce dell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nel 2018, essendosi dato rilievo alla funzione principalmente assistenziale dell’assegno divorzile, sebbene in concorso con quella perequativa e compensativa (cfr. Cass. 21926/2019), a fronte dell’accertata disparità economica tra i coniugi successivamente allo scioglimento del vincolo, della durata non breve del matrimonio e, quanto, alla richiedente l’assegno, della condizione di disoccupazione e, implicitamente, della sua oggettiva difficoltà di procurarsi un lavoro, per le condizioni di età e personali. Anche quanto alla casa coniugale, di proprietà del marito, essa era stata assegnata alla moglie solo in quanto genitore collocatario della figlia minore e la Corte di merito aveva ritenuto indimostrata la circostanza relativa al carico delle spese condominiali sul solo ricorrente. Quanto poi al contributo per la figlia minore, la censura non era pertinente al decisum, avendo la Corte rilevato che le spese straordinarie (essenzialmente quelle relativa a scuola privata cui essa era stata iscritta) andavano ripartite tra i genitori in parti uguali e non ricadevano quindi, come lamentato, solo sul padre.

Per tali motivi la Corte di Cassazione respingeva il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità.

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Alunna con problemi respiratori: non deve indossare la mascherina a scuola

Alunna con problemi respiratori: non deve indossare la mascherina a scuola

Nessun obbligo di indossare la mascherina per un’alunna con difetti di ossigenazione certificati e causati dall’uso prolungato del dispositivo di protezione individuale durante l’intero orario di lezione. Il pericolo di affaticamento respiratorio, in mancanza di costante verificabilità tramite saturimetro è infatti troppo grave ed immediato. Questo è quanto stabilito dal Consiglio di Stato, sez. III, decreto n. 304/2021, depositato il 26 gennaio.  

Il Consiglio di Stato accoglieva l’istanza cautelare proposta dai genitori di una bambina per la riforma della pronuncia del TAR Lazio concernente l’obbligo continuativo di indossare la mascherina a scuola per i minori infradodicenni.

Era emerso, infatti, che “nella classe frequentata dalla minore, non risulta – o comunque dagli atti non risulta – essere disponibile neppure un apparecchio di controllo della ossigenazione – saturimetro, strumento di costo minimo e semplicissima utilizzabilità in casi come quello prospettato, ad opera di ogni insegnante, per intervenire ai primissimi segnali di difficoltà di respirazione con DPI da parte del giovanissimo alunno”. I genitori avevano convenuto il MIUR per ottenere il riconoscimento della possibilità di non fare indossare alla figlia la mascherina di per il pericolo di affaticamento respiratorio. A sostegno di ciò, la minore, tramite i genitori, aveva documentato con certificati medici, ripetutamente, problemi di difetto di ossigenazione per l’uso prolungato del DPI durante tutto l’orario di lezione. Il Consiglio di Stato riteneva che “nelle more della camera di consiglio già fissata innanzi al T.A.R., alla minore non possa essere imposto l’uso del DPI per la durata delle lezioni, essendo il pericolo di affaticamento respiratorio – in mancanza di una costante verificabilità con saturimetro – troppo grave e immediato, né ovviamente si può ipotizzare una sospensione, sino alla decisione cautelare del T.A.R., del diritto costituzionalmente tutelato della giovane allieva di frequentare il corso scolastico”.

Per tali motivi il Consiglio di Stato accoglieva l’istanza cautelare, e sospendeva, nei confronti degli appellanti, con riguardo all’obbligo della minore di indossare il DPI durante l’orario scolastico.

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Deposito telematico: la seconda PEC determina un perfezionamento “provvisorio”

Deposito telematico: la seconda PEC determina un perfezionamento “provvisorio”

Se il momento perfezionativo del deposito telematico va cronologicamente ricondotto alla ricezione della ricevuta di accettazione (cd. seconda PEC), lo stesso è subordinato all’esito positivo dei controlli automatici (terza PEC) e manuali (quarta PEC). Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza n. 1956/21, depositata il 28 gennaio. 

Il caso. La Corte d’Appello distrettuale dichiarava inammissibile il reclamo spiegato da una s.r.l. nei confronti della sentenza dichiarativa di fallimento.

Avverso tale sentenza la società proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione dell’art. 16-bis del D.L. n. 179/2012, così come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 51, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto tardivo il deposito dell’atto di reclamo avverso sentenza dichiarativa di fallimento sul rilievo che la società reclamante non avesse prodotto la c.d. terza pec.  Secondo gli Ermellini, le Sezioni Unite di questa Corte avevano confermato il principio, già più volte affermato, secondo cui, “allorquando sia denunciato un error in procedendo, la Corte di Cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale. Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2019, n. 5640).” Tuttavia, la parte ricorrente doveva indicare gli elementi individuanti il fatto processuale di cui si domandava il riesame. In merito al perfezionamento del deposito telematico, la Suprema Corte  affermava che “va cronologicamente fissato al momento della seconda pec, come stabilisce l’invocato art. 16 bis, ma altrettanto vero è che detto perfezionamento è subordinato all’esito positivo dei successivi controlli automatici  (terza PEC) e manuali (quarta PEC), ben potendo accadere che i controlli automatici riportino un errore, ed in particolare un errore bloccante, riguardo al quale la cancelleria non può forzare il deposito, trattandosi di eccezioni non gestite o non gestibili che inibiscono materialmente l’accettazione, e, dunque, l’entrata dell’atto o del documento nel fascicolo processuale”.

Per tali motivi la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso.

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L’atto di precetto è nullo se manca la preventiva notifica del titolo esecutivo

L’atto di precetto è nullo se manca la preventiva notifica del titolo esecutivo

Il processo esecutivo è viziato da invalidità formale qualora sia iniziato senza essere preceduto dalla notificazione del titolo esecutivo e/o dell’atto di precetto. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 1096/2021, depositata il 21 gennaio. 

L’attore intimava ai fratelli precetto di pagamento della somma di Euro 120.656,61, sulla base di un rogito notarile di cessione di quote ereditarie sottoscritto fra le parti nel 2015. I debitori precettati proponevano opposizione ex art. 617 c.p.c., comma 1, lamentando, fra l’altro, che l’atto di precetto non era stato preceduto dalla notificazione del titolo esecutivo. Il Tribunale rigettava l’opposizione, rilevando che la mera contestazione formale della mancata notificazione del titolo esecutivo, non accompagnata dalla deduzione di una specifica lesione dei diritti di difesa che fosse derivata da tale vizio, determinava l’irrilevanza del vizio medesimo.

Avverso tale sentenza i soccombenti proponevano ricorso per cassazione. I ricorrenti deducevano la violazione degli artt. art. 479, 480 c.p.c., comma 2, e 617 c.p.c., sostenendo che la mancata notificazione del titolo esecutivo determinava la nullità dell’atto di precetto. Il Supremo Collegio affermava che “Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui il processo esecutivo, che sia iniziato senza essere preceduto dalla notificazione o dalla valida notificazione del titolo esecutivo e/o dell’atto di precetto, è viziato da invalidità formale, che può essere fatta valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi” (Cass. Civ. Sez. VI – 3, Ordinanza n. 24662 del 31/10/2013; Cass. Civ. Sez. III, Sentenza n. 15275 del 04/07/2006)”. 

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il motivo di ricorso, cassava la decisione impugnata e dichiarava la nullità dell’atto di precetto.

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Gentile utente, per la  redazione di una lettera e/o diffida stragiudiziale e/o atto a cura di uno dei nostri Avvocati specializzati il costo è pari ad Euro 50,00 (cinquanta/00 cent.). IVA e CPA comprese 

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Intestato a: Luigi CIAMBRONE

Il servizio deve richiedersi e si svolge  a mezzo mail a info@avvocatoexpress.it

Una volta registrato il pagamento (deve inviarci distinta di versamento se ha pagato tramite bonifico) Avvocato Express invierà mail in cui chiederá chiarimenti per redigere l’assistenza scritta (lettera, diffida ecc.). Sempre tramite mail (entro e non oltre 3 ore dalla mail/registrazione del pagamento salvo particolare complessità ) l’utente riceverà la nota legale scritta in formato word da utilizzare nel suo caso. L’utente potrà, poi, richiedere chiarimenti sino a tre mail di colloquio comprese nell’assistenza.

Attendiamo la sua ricevuta di pagamento, se ha pagato tramite bonifico, per perfezionare l’incarico.

Se ha pagato, invece, con PayPal appena il pagamento verrà registrato dal nostro Settore Contabilità riceverà mail da uno dei nostri Avvocati specializzati.

Cordialmente

AvvExpress Team, assistenza scritta