Questo è un gioco erotico di base basato su testo in Twine 2, in particolare nel formato storia Sugarcube. È un generatore narrativo procedurale; invece dei giochi erotici a cui potresti aver giocato con personaggi e trama prestabiliti, questo è un mondo aperto in cui il giocatore, un ricco proprietario di schiavi, può sbizzarrirsi. Ho giocato molto a Jack-O-O-Nine-Tails, che consiglio vivamente, ed è probabilmente la cosa più vicina ad esso: ecco un mercato di schiavi e un po’ di soldi, vai a divertirti. Ciò migliora le capacità dell’interfaccia utente di Twine 2, quindi mantenerlo in funzione è un processo continuo. La trama a discarico del gioco è che siamo venti minuti nel futuro e l’inizio del collasso ambientale e sociale ha spinto alcuni individui ricchi a creare piccole enclavi nazionali aggiuntive chiamate Città libere. Immaginate città-stato moderne, ma che seguano un tipo estremo di anarco-capitalismo. Non preoccuparti, il morbido futurismo scompare dopo due schermate e consente al giocatore di continuare il divertimento. L’elenco delle fantasie è troppo lungo per essere elencato qui, ma include molte cose estreme come l’alterazione chirurgica forzata, la schiavitù sessuale e molte altre cose legate alle fantasie di bondage. Faccio del mio meglio per separare i contenuti in modo che il giocatore non sia sopraffatto da cose a cui non si è iscritto; In particolare sono presenti contenuti per gli schiavi del cazzo, ma questi possono essere disabilitati all’avvio del gioco.
In caso di alterazione del decoro architettonico del fabbricato occorre
l’unanimità dei condomini per l’approvazione dei lavori ammortizzabili con il
beneficio fiscale denominato comunemente “Superbonus 110%”, previsto dall’art.
119 del D.L. n. 34/20202 (Decreto Rilancio). Questo è quanto stabilito dal
Tribunale Milano, sez. XIII, ordinanza, 30 settembre 2021.
Il caso. Alcuni condomini,
proprietari di unità immobiliari all’interno di un Condominio (composto da
dodici palazzine), proponevano reclamo avverso l’ordinanza con la quale l’adito
Tribunale rigettava la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività delle
delibere adottate dall’assemblea condominiale, aventi ad oggetto l’approvazione
di consistenti lavori edili del valore complessivo di oltre € 33,5 milioni di
euro, per la gran parte dei quali ammortizzabili con il beneficio fiscale denominato
comunemente “Superbonus 110%”, previsto dall’art. 119 del D.L. n. 34/20202
(Decreto Rilancio). Nello specifico, i lavori deliberati dal Condominio
consistevano nell’installazione di un cappotto termico con rimozione del
klinker che rivestiva le facciate e la sua sostituzione con il grès
porcellanato, il cambio dei colori delle facciate, una nuova fascia verticale
in corrispondenza di ciascun balcone, e l’installazione di un impianto
centralizzato di acqua calda sanitaria. In particolare, con il reclamo i
condomini lamentavano che la soluzione tecnica approvata alterava sensibilmente
lo stato di fatto, essendone difforme per colori, materiali e introduzione di
nuovi elementi architettonici, e insistevano per la nullità delle delibere in
quanto non adottate all’unanimità, in violazione dell’ultimo comma dell’art.
1120 c.c. Il Tribunale, infatti, affermava che per decoro architettonico si
intendeva “l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che ne
costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell’edificio,
nonché all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica
fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio
artistico” (Cass. nn. 18928/2020,
1286/2010, 8731/81998, 6496/1995, 10507/1994, 10513/1993), e che, per la sua
violazione, era sufficiente che venissero alterate, in modo visibile e
significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che
conferivano al fabbricato una propria specifica identità (per Cass. 1076/2005 e
Cass. 14455/2009). Nel caso de quo, era indubbio che l’aspetto estetico che
caratterizzava le facciate del Condominio avrebbe subito una definitiva
compromissione per effetto degli interventi progettati: l’installazione del
cappotto termico, infatti, avrebbe comportato il radicale mutamento esteriore
di tutte le facciate, per materiali, colori ed elementi aggiuntivi ornamentali,
in quanto la sola sostituzione del klinker, che costituiva una caratteristica
di molti fabbricati della città tipica di una precisa epoca storica, e che
imprimeva un peculiare tratto distintivo agli edifici, ne implicava la totale
alterazione sotto il profilo estetico. La delibera che approvava innovazioni
lesive del decoro architettonico, pertanto, necessitava del consenso unanime
dei condomini: il divieto previsto dall’ultimo comma dell’art. 1120
c.c., infatti, era incondizionato e consentiva anche ad un solo condomino di
esprimere il proprio dissenso e di agire per il ripristino delle
caratteristiche originarie del fabbricato; inoltre, la disciplina codicistica
non era derogata dalle disposizioni dettate dal d.l. n. 34/2020, in quanto “l’eventuale
alterazione del decoro architettonico costituisce un limite imposto alla
legittimità della innovazione diretta al miglioramento dell’efficienza energetica
del fabbricato” (Cass. civ., n. 10371/2021). Altresì, sussisteva, nel caso in
esame il periculum in mora, costituito dall’enorme pregiudizio economico
che i condomini avrebbero patito qualora, nelle more del giudizio di merito,
gli interventi sarebbero iniziati e successivamente la delibera fosse state
annullata, con conseguente impossibilità di fruire dei benefici fiscali
riconosciuti dalla legge e responsabilità per le obbligazioni pecuniarie
maturate in favore degli esecutori.
Per tali motivi il Tribunale revocava l’ordinanza cautelare
e sospendeva l’esecutività delle delibere adottate dall’assemblea del
Condominio.
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Ai due terzi della spesa ex art. 1126 c.c. deve
partecipare il proprietario di ciascun appartamento sito nella colonna
sottostante al lastrico in proporzione del valore millesimale dell’unità.
Questo è quanto stabilito dalla Cassazione Civile, sez. II, sentenza 5 novembre
2021, n. 32103.
Il caso. La Corte
d’Appello distrettuale, accogliendo il gravame avanzato dal Condominio contro
la sentenza resa dal giudice di prime cure, respingeva l’impugnazione ex
art. 1137 c.c. della deliberazione assembleare, avente ad oggetto il
rifacimento del lastrico solare in uso da un condomino, costituente copertura
di due appartamenti sottostanti. Tale delibera era stata ritenuta nulla per
mancanza della maggioranza.
Avverso tale sentenza
il Condomino proponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione e la
falsa applicazione degli artt. 1116 c.c. e 62 disp. att. c.c., e degli artt.
1123, comma e 1136, commi 2, 4, e 6 c.c.. Secondo il Supremo Collegio «In
ipotesi di lastrico solare (o terrazza a livello) di uso esclusivo (che è
quello di cui si discute nel presente giudizio, stando a quanto appare
accertato in sede di merito) trova applicazione il regime sulle spese stabilito
dall’art. 1126 cc.c.. Questa norma, obbligando a partecipare alla spesa
relativa alle riparazioni del lastrico solare o terrazzo di uso esclusivo,
nella misura di due terzi, “tutti i condomini dell’edificio o della parte
di questa a cui il lastrico solare serve”, si riferisce a coloro ai quali
appartengono unità immobiliari di proprietà individuale comprese nella
proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali,
pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei condomini ai cui
appartamenti il lastrico stesso non sia sovrapposto» (cfr. Cass. Sez. 2,
28/08/2020, n. 18045; Cass. Sez. 6-2, 07/10/2019, n. 24927; Cass. Sez. 6 – 2,
10/05/2017, n. 11484; Cass. Sez. 2, 04/06/2001, n. 7472; Cass. Sez. 2,
15/04/1994, n. 3542; Cass. Sez. 2, 16/07/1976, n. 2821 del Cass. Sez. 2,
29/01/1974, n. 244). Altresì, «l’obbligo di partecipare alla ripartizione dei
cennati due terzi della spesa non deriva, quindi, dalla sola, generica, qualità
di partecipante del Condominio, ma dell’essere proprietario di un’unità
immobiliare compresa nella colonna d’aria sottostante alla terrazza o al
lastrico oggetto della riparazione. I proprietari di una delle unità
immobiliari sottostanti coperte dal lastrico o dal terrazzo sono così obbligati
in proporzione al valore della medesima, mentre il proprietario o titolare
dell’uso esclusivo del lastrico o della terrazza non ricorre nella frazione dei
due terzi della spesa, salvo che non sia altresì proprietario di un immobile
sottostante» (Cass. n. 11449/1992, n. 5125/1993 e n. 3542/1994). La regola era
che «ai due terzi della spesa ex art. 1126 c.c. partecipava il
proprietario di ciascun appartamento sito nella colonna sottostante al lastrico
in proporzione del valore millesimale dell’unità» (Cass. n. 1451/2014). Ancora,
«ove un lastrico solare o una terrazza a livello svolga funzione di copertura
di vani sottostanti, se anche l’utilità sia comune a due soli partecipanti,
operano tutte le norme condominiali in tema di organizzazione e specialmente
quelle procedimentali sul funzionamento dell’assemblea, restando unicamente
sotto il profilo dell’elemento personale» (Cass. n. 2046/2006). Nel caso de
quo, i giudici di seconde cure avrebbero dovuto valutare la validità della
delibera assembleare.
Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e rinviava la
causa alla Corte di merito in diversa composizione.
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Il consuntivo per successivi periodi di gestione che,
nel prospetto dei conti individuali per singolo condomino, riporti tutte le
somme dovute al condominio, comprensive delle morosità relative alle annualità
precedenti, una volta approvato dall’assemblea, può essere impugnato ai sensi
dell’art. 1137 c.c., costituendo altrimenti esso stesso idoneo titolo del
credito complessivo nei confronti di quel singolo partecipante, pur non
costituendo un nuovo fatto costitutivo del credito stesso. Questo è ciò che è
stato stabilito dalla Cassazione civile, sez. VI – 2, ordinanza, 12 ottobre 2021,
n. 27849.
Il caso. Il Giudice di pace
ingiungeva ad un condomino il pagamento il pagamento di Euro 4.406,11 in favore
del Condominio in base alla delibera assembleare di approvazione del consuntivo
2017 e del bilancio preventivo 2018. L’ingiunto condomino proponeva opposizione
sostenendo di aver già versato, ad estinzione dei debiti di cui al consuntivo
2017, l’importo di Euro 3683,43. Il giudice di pace confermava il decreto
ingiuntivo.
Avverso tale sentenza
il condomino interponeva appello. Il giudice di seconde cure respingeva l’appello,
rilevando che la delibera di approvazione delle spese relative a gestioni
precedenti al 2017, posta a fondamento della domanda monitoria, non era stata
impugnata benché l’appellante avesse partecipato alle assemblee. Secondo la
sentenza, nessuna contestazione poteva esser più mossa alla deliberazione
condominiale neppure da un punto di vista formale, poiché il consuntivo
conteneva l’indicazione delle causali delle spese anche con riferimento alle
gestioni pregresse, spese cui doveva concorrere anche il ricorrente.
Avverso tale sentenza
il condomino proponeva ricorso per cassazione lamentandosi in particolare del
fatto che il giudice di secondo grado avesse ritenuto definitiva la delibera di
approvazione dei consuntivi per mancanza di impugnazione. I giudici di
legittimità affermavano che “il consuntivo per successivi periodi di gestione
che, nel prospetto dei conti individuali per singolo condomino, riporti tutte
le somme dovute al condominio, comprensive delle morosità relative alle
annualità precedenti, una volta approvato dall’assemblea, può essere impugnato
ai sensi dell’art. 1137c.c., costituendo altrimenti esso stesso idoneo titolo
del credito complessivo nei confronti di quel singolo partecipante, pur non
costituendo un ‘nuovo fatto costitutivo’ del credito stesso” (cfr. Cassazione
Civile n. 4489/2014; Cassazione Civile n. 20006/2020). In tal caso vigeva il principio che “ nel
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di
contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su di esso
gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale con cui
siano state approvate le spese, nonché dei relativi documenti” (Cassazione
Civile n. 7569/1994). Altresì, sostenevano che “La delibera condominiale di
approvazione costituisce, così, titolo sufficiente del credito del condominio e
legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna
del condomino a pagare le somme: l’ambito dell’opposizione è ristretto alla
verifica della (perdurante) esistenza e validità della deliberazione
assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere
(Cassazione S.U. n. 26629/2009; Cassazione Civile n. 5254/2011; Cassazione
Civile n. 4672/2017). In sostanza,
dall’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, che è munito
della forza vincolante propria degli atti collegiali, ai sensi dell’art. 1137
c.c., comma 1 (Cass. n. 4306/2018), discende l’insorgenza, e quindi anche la
prova, dell’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a
contribuire alle spese ordinarie per la conservazione e la manutenzione delle
parti comuni dell’edificio” (Cassazione Civile n. 11981/1992). Nel caso de quo,
il giudice di secondo grado aveva rilevato che la delibera di approvazione del
consuntivo 2017 non era stata impugnata, benché il condomino fosse presente
all’assemblea, deducendone correttamente che nessuna contestazione poteva esser
sollevata nel giudizio di opposizione, essendosi la delibera ormai consolidata.
Per tali motivi, la
Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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L’uso esclusivo della
facciata condominiale dell’edificio ad uno soltanto dei condomini, sia pure al
fine specifico di installarvi pannelli pubblicitari, comporta di per sé la
sottrazione agli altri partecipanti al Condominio del diritto di godimento
della cosa comune loro spettante ed il correlativo svuotamento della relativa
proprietà nel suo nucleo essenziale. Questo è ciò che ha deciso la Corte
d’Appello di Milano, sez. III, sentenza 09 luglio 2021 n. 2190.
Il caso. Il Condominio
aveva chiesto al giudice adito la rimozione delle strutture per i pannelli
pubblicitari apposti dalla convenuta condomina sui frontespizi dell’edificio
condominiale. Il giudice respinge la domanda considerando che “al momento di
costituzione del condominio, coincidente con la prima vendita di una singola
unità immobiliare da parte dell’originario proprietario in virtù di clausole
contenute nel relativo atto, anche mediante eventuale richiamo di un previo
regolamento di condominio, è lasciata all’autonomia delle parti la possibilità
di sottrarre alla presunzione di comunione almeno alcune delle parti altrimenti
comuni”.
Avverso tale sentenza il
Condominio interponeva appello eccependo l’errata conclusione del giudice di
prime cure e, in particolare, l’inconferenza ai fini della decisione della
sentenza n. 24301/2017 della Cassazione. La Corte d’Appello distrettuale
osservava che il giudice di primo grado si era basato su un orientamento in
base al quale l’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio riconosciuto, al
momento della costituzione di un Condominio, in favore delle unità immobiliari
in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incideva
non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul
riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini, che avveniva secondo
modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti
presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c.. Questo diritto non era riconducibile al
diritto reale d’uso previsto dall’art. 1021 c.c. e, pertanto, oltre a non mutuarne
le modalità di estinzione, era tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai
successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accedeva (Cassazione Civile,
sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24301). Tale provvedimento aveva ad oggetto il
diverso caso in cui l’unico proprietario dell’intero edificio aveva concesso
l’uso esclusivo di una porzione del cortile al primo acquirente di una delle
unità immobiliari dello stabile, fino ad allora interamente di sua proprietà).
Sotto questo specifico profilo emergeva l’assenza di una “frizione” con uno dei
principi cardini in materia di diritti reali ovvero il numerus clausus quale
espressione della tassatività legislativa delle diverse figure di ius in re.
Non si discorreva della “creazione” negoziale di una peculiare forma di diritto
reale autonomo ma soltanto, della conformazione del diritto di partecipazione
all’uso della cosa comune secondo un criterio non paritario. Criterio pattuito
in via negoziale e non oggetto di mera esecuzione fattuale dal condomino. Il
citato uso non veniva scorporato dalla proprietà solitaria ed esclusiva del
cespite facente parte del Condominio essendo a questa indissolubilmente legato
e non alla “persona fisica” che ne era titolare. La convenuta non avrebbe
potuto certo disporre dello stesso senza disporre dell’unità solitaria che ne
fondava il diritto di esercizio maggiore in luogo degli altri condomini. Ne
conseguiva che il titolo negoziale che siffatta attribuzione avesse contemplato
implicava di verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili,
se, al momento di costituzione del Condominio, le parti non avessero voluto
trasferire la proprietà ovvero, sussistendone i presupposti normativi previsti
e, se del caso, attraverso l’applicazione dell’art. 1419 c.c., costituire un
diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c. ovvero, ancora se sussistessero i
presupposti, ex art. 1424 c.c.,
per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso
esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e
perpetuo (ovviamente inter partes) di natura obbligatoria (Cassazione
Civile, S.U. 17 dicembre 2020, n. 28972). Pertanto, secondo il nuovo
orientamento “i condomini non possono costituire un diritto reale di uso
esclusivo, perpetuo e trasmissibile, a carico di una parte comune dell’edificio
condominiale e a favore di un condomino, ostandovi i principi del numerus
clausus e della tipicità dei diritti reali”. Detto ciò, i Giudici di
seconde cure osservavano che in sede di costituzione del Condominio gli
originari e unici proprietari dell’edificio non avevano inteso riservare a sé
la proprietà delle facciate ma soltanto il diritto di uso esclusivo. Anche ove
si potesse ricondurre alla figura del diritto reale d’uso di cui all’art. 1021
c.c., come in astratto ipotizzabile secondo la stessa Cassazione Civile, S.U.
17 dicembre 2020, n. 28972 (ma escluso in concreto dal giudice di prime cure),
il diritto d’uso esclusivo delle facciate attribuito a sé dagli originari
comproprietari dell’intero stabile al momento della costituzione del Condominio
(coincidente con il primo atto di vendita), dovrebbe comunque escludersi la
cedibilità a terzi del diritto medesimo, atteso l’espresso divieto sancito in
proposito dall’art. 1024 c.c. (e ciò
contrariamente a quanto affermato, prima dell’intervento delle Sezioni Unite da
Cass. Civ., sez, II, n. 24301/2017). Da
ciò sarebbe conseguito, comunque, la insussistenza in capo alla condomina di un
diritto d’uso esclusivo delle facciate dello stabile opponibile alla
collettività dei condomini. Pertanto, richiamando
i principi delle Sezioni Unite, i condomini non potevano costituire un diritto
reale di uso esclusivo perpetuo e trasmissibili, a carico di una parte comune
dell’edificio condominiale e a favore di un condomino.
Per tali motivi la
Corte d’Appello accoglieva l’interposto appello e condannavano la condomina alla rimozione dei pannelli pubblicitari.
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